Una mano tesa
Vittorio Emanuele I, Re di Sardegna - Giovanni VI, Re di Portogallo

Giovanni VI del Portogallo e Vittorio Emanuele I al tempo dell’esilio (di Alessandro Mella)

Più volte ho avuto modo di parlare dei legami secolari tra le case reali del Portogallo e quella di Sardegna, poi d’Italia, e tra i loro popoli.

Legami non solo politici e diplomatici ma, talvolta, anche umani, solidali e sinceramente animati da affezione e vicinanza.

Due popoli, e due corone, vicine in tanti momenti difficili, nelle avversità, nelle gioie e nei dolori.

Questa piccola vicenda ha, in realtà, un valore profondo. Siamo negli anni turbolenti che corsero tra la fine del ‘700 e la prima decade dell’800.

La Rivoluzione Francese aveva creato incredibile burrasche in un’Europa terrorizzata dai fiumi di sangue che avevano rosseggiato le strade malferme di Parigi. Un turbinio di violenza che si era andato ridimensionando nel tempo ma aveva lasciato l’angoscia che quelle idee potessero migrare oltre i confini francesi e minare la stabilità delle altre monarchie europee.

Se Napoleone aveva, asceso al potere, posto fine agli eccessi rivoluzionari, al terrore, alle violenze, era pur vero che, tuttavia, a parte di quei valori egli non aveva del tutto rinunciato. Anzi, le aquile dei reggimenti imperiali avevano preso a portarli in giro per il continente infervorando generazioni di patrioti, liberali, aspiranti rivoluzionari e pensatori ormai legati alle baionette parigine.

Questo clima aveva fatalmente innescato un lungo ciclo di guerre poiché, a lato della sete di conquiste dell’Impero Francese, si affiancavano le coalizioni europee che di continuo andavano a formarsi per tentare di fermare l’imperatore.

Il Regno di Sardegna ed il Regno del Portogallo, con alterne vicende, finirono per essere travolti dalle armate napoleoniche e quindi per essere occupati od annessi da quel nemico potente e temuto.

Il Portogallo veniva da anni difficili. La regina Maria I, defunta poi nel 1816, aveva dato segni di squilibrio e malessere fin dal 1792 e suo figlio Giovanni VI aveva dovuto prendere le redini del Paese per tentare di salvarlo dalle enormi difficoltà che lo tormentavano.

Nel frattempo, a Torino, il re Carlo Emanuele IV, pio e devoto ma di poco polso, non aveva saputo opporsi con l’energia e l’astuzia necessaria alla seconda calata di Napoleone in Italia ed occupato il perduto Piemonte, si era rifugiato in Sardegna per poi abdicare, da lì a poco, a favore del fratello Vittorio Emanuele I.

L’esilio nell’amata isola aveva posto fisicamente al sicuro la Casa di Savoia ma aveva compromesso le finanze di un regno mutilato, spossato, sfiancato da anni di guerre e da due invasioni subite nei territori continentali. Una situazione infelice destinata a protrarsi fino alla caduta del “grande corso”.

L’eco delle sventure sabaude era, tuttavia, giunto a Lisbona ove il reggente aveva provato un moto di dolore per le sorti infauste del sovrano sardopiemontese al punto da decidersi ad un gesto grazioso di cui si ha poca memoria e che emerse, in seguito alle ricerche del De Sonnaz, in una lettera del conte di Chialamberto, ministro degli esteri del regno, il quale accennò, infatti, ad una comunicazione ricevuta dal suo corrispettivo collega portoghese:

 

«Avant hier S.E. D. Juan d’Almeida a eu la bonté de m’annoncer confidentiellement, mais officiellement, que S.A.R. le Prince Régent venait d’assigner une somme annuelle de 25.000 cruzados pour concourir à l’entretien de S.M. et de la Maison de Savoie, bien fanché, m’a-t-il ajouté, quel es charges dont se trouvent accablées les financese de l’Etat ne lui permettent pas de faire tout ce qu’il auroit souhaité pour le Roi Parent et Ami. Je n’ai pas manqué de m’étendre en remerciments vers S.E.»

 

«L'altro ieri S.E. Juan d'Almeida è stato così gentile da informarmi in via confidenziale, ma ufficialmente, che Sua Altezza Reale il Principe Reggente aveva appena assegnato una somma annuale di 25.000 cruzados per aiutare a mantenere Sua Maestà e la Casa di Savoia, molto in difficoltà, mi ha aggiunto, anche se gli oneri con cui sono appesantite le finanze dello Stato non gli permettono di fare tutto ciò che si sarebbe desiderato per il Re, Genitore e Amico. Non ho mancato di estendere i miei ringraziamenti a S.E.»

 

Una somma importante se si pensa che essa equivaleva a più di 80.000 lire (circa 80.250) italiane del tempo.

I fatti non furono, purtroppo, ugualmente generosi con Giovanni VI poiché anch’egli dovette, nel 1807, lasciare il Portogallo per recarsi in esilio in Brasile in seguito all’avanzare delle stesse armate francesi.

Grato per l’aiuto, Vittorio Emanuele I mantenne a Cagliari un minuscolo corpo diplomatico che si componeva dei soli ministri di Inghilterra e Russia e soprattutto del fedele delegato diplomatico del Portogallo.

Poi la Storia voltò pagina ed i due sovrani rientrarono in patria al precipitare delle aquile imperiali di Francia.

Il sovrano di Sardegna rientrò a Torino e qui regnò fino al 1821 quando, onorevolmente per non sparare sul popolo insorto e non tradire la parola data alle potenze straniere, abdicò in favore del fratello Carlo Felice.

Giovanni VI in ricordo degli anni difficili delle guerre napoleoniche fondò, per gratificare chi gli era rimasto fedele ed aveva lottato per la libertà portoghese, il Real Ordine di Nostra Signora di Vila Vicosa che oggidì è patrimonio dinastico della Real Casa del Portogallo con gran maestro il Capo della Real Casa del Portogallo, Dom Pedro Duca di Braganza e di Loulè, per cancelliere Dom Nuno Cabral da Camara Pereira Marchese di Castel Rodrigo e Connestabile del Portogallo e per rappresentante il Conte Giuseppe Rizzani Delegato degli Ordini Dinastici Portoghesi per l’Italia, la Repubblica di San Marino e la Santa Sede. Ordine che molte volte ha ornato ed orna il petto di molti italiani.

Nel 1826 a Giovanni VI successe la nipote D.na Maria II mentre nel 1831 a Carlo Felice, a Torino, successe il nipote Carlo Alberto che, altra curiosità della storia, concluse proprio in Portogallo, in doloroso esilio, la sua esistenza terrena.

Piccoli frammenti di una storia comune che ha reso fratelli sovrani e popoli.  Genti che ancora oggi si dimostrano pronte a tendersi la mano come quando, pochi anni fa, gli aerei antincendio italiani volarono in soccorso delle devastate foreste portoghesi. La storia, a volte, si ripete anche nella solidarietà, fraternità ed amicizia. Cioè nel modo migliore e, credo, quello che tutti preferiamo.

Alessandro Mella

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Articolo pubblicato il 12/04/2021