Aziende zombie

Sussidi pubblici e produttività delle imprese

Covid, killer silenzioso e micidiale, matricola 19 al soldo della famigerata ISCV, la International Sacra Corona Virus, ha provocato anche ferite profonde nel tessuto sociosanitario e nel sistema economico della nostra comunità, che vede tante imprese, vittime di una nevrosi collettiva, vagare per strade dissestate, inebetite come zombie, non più vive, ma nemmeno morte.

Usciremo dalla pandemia, ma “non sarà come riaccendere la luce” dopo una lunga interruzione di corrente” ebbe a dire Draghi, il quale ha aggiunto che per ritornare alla normalità “sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche”. Sono state parole pesanti come macigni, buttate lì, poteva sembrare, con una certa spregiudicata indifferenza quando si presentò in Parlamento per la fiducia al suo insediamento a capo del nostro Governo, ma erano già nel solco della relazione(*) resa a ottobre 2020 dal G30, l’organizzazione internazionale di finanzieri e accademici  da lui presieduta, per la quale non erano da favorire le “aziende zombie”.

Aziende zombie sono quelle che continuano a stare in piedi solo con gli esigui prestiti ricevuti da qualche banca, in difficoltà anch’essa, per la quale potrebbe essere esiziale la elevata perdita di propri crediti e che continua pertanto a prestar soldi col contagocce ad imprese fondamentalmente insolventi, che potrebbero trascinarla nel loro fallimento, ma che sono talvolta “troppo grandi per fallire”. È ormai un aforisma, questo detto di Takeo Hiranuma, Ministro delle Finanze del Giappone, dove il fenomeno si è manifestato in tutta la sua drammaticità nella recessione del suo “Decennio perduto”, che chiuse il secolo scorso.

Per alcuni osservatori, i risvolti economici della pandemia rimandano alle devastazioni della Seconda guerra mondiale, cui però l’Italia ha fatto seguito col boom degli anni Cinquanta e Sessanta. Se è vera quindi la teoria dei corsi e ricorsi storici, che rappresentano il cammino dell’umanità, come ci ha insegnato Giovambattista Vico, dobbiamo attenderci pertanto la sospirata ripresa e il rifiorire della vita.

Lungo la nostra strada dissestata, Draghi ha piantato i cartelli dei LAVORI IN CORSO, anticipando che “la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare”. Al momento, sono ancora poco apprezzabili i risultati di queste scelte da lui intraprese, ma sembra che alla lentezza del nostro passato andare stia facendo riscontro una più che proporzionale velocità degli addetti ai lavori nel Governo Draghi. Intanto, ancora 40 miliardi sono stati appena trasferiti dalle casse pressoché esauste dello Stato a quelle dei privati con l’ultimo suo decreto. “Last but not least”? Ultimo ma non ultimo? No: l’ultimo! Abbiamo seri motivi per crederlo. Si vales, vàleo.

armeno.nardini@bno.eu

(*) https://group30.org/publications/detail/4820 - Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid: Designing Public Policy Interventions.

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Articolo pubblicato il 25/04/2021