La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

La ladra di mariti

Accadde al commissariato è un film del 1954, diretto da Giorgio Simonelli, che narra la giornata lavorativa del dirigente di un Commissariato di Polizia di Roma, impersonato da Nino Taranto, che vede sfilare nel suo ufficio una serie di curiosi personaggi, interpretati da volti noti della commedia italiana.

Pochi anni prima, a Torino, al Commissariato di Polizia San Paolo si è verificato un singolare episodio che sarebbe stato sicuramente inserito nell’ipotetica sceneggiatura di una versione torinese del film romano.

Lo conosciamo dalla lettura della Cronaca Cittadina de La Stampa del 13 settembre 1951.

 

Un rincresciosissimo episodio si verificava ieri a mezzogiorno dinanzi al portone di un piccolo stabilimento di borgo San Paolo: le quindici giovani operaie dipendenti della ditta erano appena uscite quando fra di loro s’accendeva una furiosa baruffa. Anzi, erano quattordici di loro che si scagliavano accanitamente contro la quindicesima, una bella ragazza, bruna ed elegante, Ardita M***, di 19 anni, domiciliata in via Di Nanni: tutte le gridavano «Svergognata! Indegna!» e la M*** si difendeva balbettando frasi incoerenti, pallida e stravolta.

Infine, dalle parole si passava alle mani e la ragazza si buscava parecchi pugni e ceffoni: dopo di che, avvinghiata successivamente da due compagne che apparivano più esasperate delle altre, finiva a terra e riceveva il resto sotto forma di graffi e di tirate di capelli.

Quando intervenivano alcuni passanti e disperdevano le donne, la M*** era già alquanto malconcia: piena di lividi, di solchi sanguinosi e praticamente seminuda, ché, nel connesso dibattersi, il vestito le si era tutto spaccato, e aperto davanti e dietro e lacerata era la sottoveste, con larghissimi squarci, tanto che si vedevano abbondanti porzioni di pelle. Le calze di «nylon» erano andate in brandelli e una scarpa non si trovava più. Spettinata e singhiozzante la M*** si faceva accompagnare al commissariato San Paolo, in via Cesana, e denunciava il fatto al funzionario dottor Micalizzi.

- Ma le ragioni di tanta furia?

- Non ci sono, dottore, non ci sono!

- Possibile? Eppure... un motivo...

- Così, dottore, per cattiveria d’animo, per invidia... Sono l’ultima arrivata, sono state assunta sei mesi fa... non so perché, non mi hanno potuto soffrire, mai, sin dal primo momento hanno cercato di farmi dispetti...

Il funzionario, però, non rimaneva soddisfatto delle spiegazioni che gli apparivano troppo semplicistiche. E inviava sul posto, cioè alla fabbrica, un maresciallo onde condurre una sollecita inchiesta fra le quattordici operaie responsabili dell’aggressione.

Il sottufficiale metteva così in luce una storia singolare. La M*** non aveva mai parlato cordialmente con nessuna di loro, si teneva sempre in disparte, aggrottata e silenziosa. Ma ascoltava con grande attenzione tutti i discorsi che si facevano attorno a lei. Le quattordici lavoranti erano tutte giovani e chi aveva il marito, chi l’amante, chi il fidanzato: e le confessioni, i racconti, le confidenze, l’esibizione di fotografie si incrociavano a ritmo continuo. Dal canto suo la M*** nulla diceva ma non si lasciava sfuggire una parola e chiedeva sempre di poter osservare le foto.

Così, a poco a poco, era venuta conoscere indirettamente tutti gli uomini delle compagne: infine, scelti i migliori e conoscendone connotati e abitudini, li avvicinava e, essendo fornita di vistose grazie, facilmente li «soffiava» alle legittime spose o fidanzate. Con successo gettava le reti cinque o sei volte.

Ma evidentemente la cosa non poteva durare.

Una delle operaie individuava nella M*** l’amante del marito: e un’altra la identificava per la ragazza con cui il fidanzato aveva trascorso una piacevole serata in un albergo della collina: e un’altra assodava che era la M*** con cui l’amico, quasi ogni sera, spariva verso le stradicciole oscure della periferia... Lo sdegno scoppiava fra le operaie, si teneva un breve consiglio di guerra e si decideva di infliggere alla temeraria una severa lezione.

Più tardi le cose si sono complicate poiché la M*** è stata ricoverata in osservazione all’ospedale: può darsi che il referto medico indichi, per la guarigione, più di dieci giorni, nel qual caso la P. S. dovrà procedere contro le quattordici percuotitrici. D’altro canto esse hanno già presentato al commissariato un lungo esposto in cui vengono precisati, con testimonianze, i torti subiti ad opera della M***.

 

Il cronista, un po’ perbenista, lo definisce un episodio “rincresciosissimo” mentre il titolista ci marcia sopra (“Denudata e percossa per gelosia da alcune compagne di lavoro”).

In realtà, si tratta di una manifestazione della sempiterna gelosia femminile: la conosceva bene William Shakespeare, quando scriveva che «I clamori avvelenati di una donna gelosa sono più micidiali dei denti di un cane idrofobo».

Ma, in questo caso, quello che appare sicuramente inusuale è il numero di donne che aggrediscono la «svergognata», per usare la definizione riferita dal cronista. E dietro queste donne si intravede un corrispondente numero di uomini, mariti, amanti, fidanzati, tutti stregati dalla nostra protagonista, Ardita di nome e di fatto, nel suo ruolo di “ladra di mariti”!

Già, perché se la genesi di questo caso è evidente, a renderlo eclatante sono i numeri: cinque o sei gli uomini irretiti con successo dalle sue «vistose grazie» e addirittura quattordici le colleghe, unite da solidarietà vendicatrice. E la loro vendetta dall’aggressione con vie di fatto si dilata al lungo esposto presentato alla Polizia dove «vengono precisati, con testimonianze, i torti subiti ad opera della M***».

Molto probabilmente non conoscevano l’affermazione di Oscar Wilde: «Le donne brutte sono sempre gelose dei loro mariti. Le donne belle non ne hanno mai il tempo. Sono sempre così occupate a essere gelose dei mariti delle altre».

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Articolo pubblicato il 13/05/2021