Rane bollite

L’offensiva contro la libertà di espressione

Molti dei nostri lettori conoscono senz’altro il principio della Rana bollita di Noam Chomsky illustrato in Media e potere del 2014. Mettete una rana in una pentola d’acqua e accendete il fuoco: se alzate troppo la fiamma, la rana avvertirà subito il calore e l’istinto di sopravvivenza la farà balzare immediatamente fuori dalla pentola e la salverà; viceversa, se aumentate la fiamma molto lentamente, quando la rana si accorgerà del calore sarà già parzialmente bollita e non avrà più le forze per saltare fuori e così morirà in pentola.

Questa storiella è in realtà la metafora del nostro tempo, sotto molti aspetti: il totalitarismo aumenta  subdolamente, come il confortevole tepore dell’acqua tiepida per l’animaletto di Chomsky, ma molti di noi cominciano ormai ad avvertire un certo bruciore sulla pelle.

Non torniamo sull’argomento delle libertà costituzionali disinvoltamente violate sotto pandemia, ma concentriamoci su di un aspetto più specifico: quello della libertà di pensiero. Una libertà che da qualche secolo è  considerata la chiave di volta della democrazia moderna. Non è possibile pensare la civiltà odierna senza libertà di pensiero e di parola. Eppure da qualche anno assistiamo, se non proprio alla sua soppressione, quanto meno a continui tentativi di soppressione, o comunque di forte limitazione.

Byoblu del 26 aprile riporta che una società finlandese, Utopia Analytics, che si occupa di analisi di contenuti testuali, immagini e video, ha ricevuto dal ministero della giustizia di quel paese l’incarico di redigere uno studio, cofinanziato dall’Unione europea, sull’incitamento all’odio in rete. In un periodo di due mesi la società ha rilevato quasi 300.000 esempi di hate speech su un totale di dodici milioni di commenti postati su siti finlandesi (Facebook, Twitter, Instagram e altre piattaforme). Ora, non stupisce il fatto che una azienda privata elabori una ricerca sul “linguaggio d’odio” in rete, qualunque cosa questa espressione significhi, preoccupa il fatto che questo studio sia stato commissionato da una istituzione pubblica come un ministero della giustizia, per di più col sostegno di un’altra istituzione pubblica come l’Unione europea.

Che le espressioni di odio in rete, o in qualunque ambiente pubblico, siano detestabili è cosa assolutamente scontata. Quello che fa venire un brivido è che gli Stati vogliano cominciare ad occuparsene. Un secondo brivido è che lo vogliano fare gli stati liberali e democratici, dal momento che nessuno si meraviglia se gli stati autoritari o totalitari, come la Cina o la Turchia o l’Arabia Saudita da sempre esercitano un ferreo controllo sulle libertà dei loro cittadini. Un terzo brivido nasce poi dalla considerazione che il sistema finlandese -fortunatamente solo allo stadio progettuale- si basa non già su un controllo delle opinioni effettuato da funzionari umani dotati di raziocinio ma su algoritmi impersonali a cui è stato affidato il compito di individuare i fantomatici discorsi d’odio. Un quarto brivido scorre infine se si considera l’assoluta genericità di queste eventuali figure di illecito, che restano totalmente indeterminate e, quindi, spalancano sia agli algoritmi sia a chi li elabora un immenso territorio di arbitrarietà.

La nostra preoccupazione di liberal-democratici è che fenomeni sicuramente criticabili come l’espressione di odio, di idee razziste, suprematiste, sessiste, stiano passando sempre di più dalla sfera della riprovazione morale o sociale a quella della repressione giuridica. Fenomeni che dovrebbero essere combattuti con la cultura, l’educazione, e, al limite, con una forte riprovazione sociale oggi cominciano ad essere fronteggiati con norme giuridiche ad hoc e con sanzioni soprattutto penali.

Ora, il nostro sistema giuridico ha sempre fornito ai cittadini gli strumenti normativi per difendere la propria dignità ed onorabilità: querela per diffamazione o ingiuria (almeno fino al 2016, in cui quest’ultimo reato è stato depenalizzato) e tutela dinnanzi alle giurisdizioni civili. Se poi alle offese seguono comportamenti più gravi il codice penale offre una tutela ancora più forte.

Nel 1993 la Legge Mancino ha poi introdotto una ambigua normativa, di assai dubbia costituzionalità, apparentemente volta a punire “incitamenti” o atti rivolti all’odio o alla discriminazione razziale, religiosa, nazionale, ma di fatto facilmente estensibile anche alle opinioni che in qualche modo possono essere ricondotte a quelle fattispecie. E’ una vera e propria legge creatrice di reati d’opinione che, per certi versi, la trasferisce nella legislazione dei paesi autoritari. Una legge che, in mano a un giudice politicizzato o ideologizzato, può facilmente diventare un micidiale strumento di oppressione.

Qualcuno ha pure sostenuto che è cosa buona e giusta privare della libertà di espressione chi, una volta al potere, toglierebbe la libertà di espressione agli altri secondo la nota argomentazione di Locke per cui "i  papisti non devono godere del beneficio della tolleranza, perché, dove hanno il potere, si ritengono obbligati a negare la tolleranza agli altri" (Lettera sulla tolleranza). Con una simile affermazione, probabilmente, ai sensi della Legge Mancino, oggi Locke finirebbe in carcere.

Un pericolo ancora maggiore viene dal disegno di legge Zan-Scalfarotto, fortunatamente ancora impantanato in Parlamento (anche l’emergenza pandemica qualcosa di buono ha prodotto), che è di fatto un ampliamento della Legge Mancino a nuovi reati d’opinione riguardanti la sfera sessuale. La normativa contenuta nel disegno di legge apre una prospettiva di controllo culturale e sociale di proporzioni enormi. Di fatto, nessuno potrà più sentirsi al sicuro quando vorrà parlare, scrivere, comunicare opinioni che non siano in linea con il pensiero dominante politically correct. Zan, Scalfarotto, il PD, i loro amici saranno il vostro Grande Fratello.

Magari aiutati da quel carrozzone che è la Commissione contro l’Odio (nome straordinariamente orwelliano) presieduta da Liliana Segre, donna di grande dignità, ma meritevole di miglior sorte che non la conduzione di un organismo di dubbia civiltà e costituzionalità, essendo destinata, anche qui, a perseguire fumosamente comportamenti altrettanto fumosi, e assai facilmente soggetta a una deriva politica di sinistra, e quindi naturalmente intollerante; e da cui ci attendiamo facilmente nuove proposte di leggi liberticide.

Aggiungiamo ancora la demenza di certi atteggiamenti accademici negli Stati Uniti dove il politically correct si è sposato con il rivendicazionismo dei neri e delle altre minoranze favorito dal nuovo clima politico di Biden e della Harris, e dove ha scatenato un’offensiva oscurantista verso la cultura “bianca” in cui la Howard University di Washington ha smantellato il dipartimento di studi classici, accusato di suprematismo occidentale. Stupidità violenta e pericolosa che per ora è limitata agli Usa, paese notoriamente senza profonde radici culturali, ma che può facilmente valicare l’Atlantico sul vento della follia e raggiungere anche noi, visto il clima che si sta instaurando in Europa e in Italia.

E noi, povere rane in via di bollitura? Forse qualche speranza ci resta se sapremo reagire con determinazione e con la violenza delle nostre opinioni e della nostra cultura liberale contro la violenza autoritaria che “loro” stanno dispiegando contro di noi, proprio come diceva Locke. 

E qui mi fermo perché sospetto che questo, per “loro”, sia già un discorso d’odio, e probabilmente un algoritmo nascosto da qualche parte mi ha già schedato.

 

P.S. Ricordate l’articolo precedente sulla Superlega calcistica? Forse quei fatti ci hanno dato un altro insegnamento: che quando vai toccare interessi, affetti, passioni fortemente radicati nella gente (in questo caso i tifosi di calcio) si possono frenare o addirittura ribaltare gli interessi dei potenti e costringerli a fare marcia indietro. Proviamo ad imparare, e forse salteremo fuori dalla pentola di Chomsky.

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Articolo pubblicato il 28/04/2021