Emanuele Gianturco: Un giurista per la Nuova Italia

di Alessandro Mella

Emanuele Gianturco nacque ad Avigliano, nel potentino, il 20 marzo del 1857. Anni di grande fermento nei quali, tra tante difficoltà, l’Italia nasceva ed iniziava a muovere i suoi primi passi.

Il nostro si recò, assai giovane, a studiare a Napoli dove ebbe modo di laurearsi in Giurisprudenza ma anche d’affinare la sua passione per la musica diplomandosi Maestro della stessa al conservatorio. Una passione, occorre aggiungere, che coltivò tutta la vita.

Nel 1864, l’11 dicembre, sposò Remigia Guariglia, amatissima moglie che gli diede diversi figli: Mario, Giulio, Leone, Elio Cesare, Paolina, Adriana e la piccola Margherita che purtroppo morì in tenera età.

Gli ideali di quel tempo, la passione civile, e l’impegno sociale lo travolsero portandolo a ricoprire un gran numero di incarichi della massima importanza.

Nel 1893, dal 15 maggio al 22 ottobre, fu nominato Sottosegretario al Ministero di Grazia e Giustizia nel primo governo del più grande statista dell’Italia postunitaria: Giovanni Giolitti.

Poco dopo Rudinì, nei suoi governi tra il 1896 ed il 1897, lo volle Ministro dell’Istruzione Pubblica, incarico molto difficile in un’Italia con tante aspirazioni e piaghe da sanare e soprattutto tanta gente ancora priva della benché minima istruzione. Fu in questo periodo che il Gianturco si rese responsabile, gran merito, dell’acquisizione e pubblicazione dei manoscritti leopardiani provenienti dall’eredità Ranieri.

Nel 1897 fu, per un breve periodo, Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti incarico che riprese nel 1900 e 1901 nel governo Saracco.

Dal 1906 al 1907 fu invece Ministro dei Lavori Pubblici e la sua carriera politica vantò anche, per tre volte, la vicepresidenza della Camera dei Deputati.

Di fede liberale, uomo di modernissime vedute, tentò di dare al diritto moderno un assetto rinnovato, attento ai mutamenti sociali che già Giolitti aveva colto. Non si poteva, del resto, fingere di non capire i fermenti tanto della borghesia in costante mutamento tanto (e soprattutto) delle grandi masse proletarie ed operaie.

Tutto questo pur tentando, faticosamente, anche di dare voce alle istanze ed esigenze del Mezzogiorno d’Italia, a Montecitorio e nella politica nazionale.

L’impegno politico, vissuto così intensamente, gli valse la stima ed il rispetto dei più nonché l’affezione di Casa Savoia che gli concesse la Gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia e la Commenda del sabaudo Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.

Ma la sua opera fu assai apprezzata anche all’estero ed il Gianturco si guadagnò anche la stima e la simpatia del sovrano del Portogallo che gli conferì la Gran Croce del Real Ordine di Nostra Signora di Vila Vicosa.

Onore ancor oggi patrimonio dinastico della Real Casa del Portogallo con gran maestro il Capo della Real Casa del Portogallo, Dom Pedro Duca di Braganza e di Loulè, per cancelliere Dom Nuno Cabral da Camara Pereira Marchese di Castel Rodrigo e Connestabile del Portogallo e per rappresentante il Conte Giuseppe Rizzani Delegato degli Ordini Dinastici Portoghesi per l’Italia, la Repubblica di San Marino e la Santa Sede. Ordine che molte volte ha ornato ed orna il petto di numerosi italiani.

Quest’importante concessione, tra l’altro, ebbe funzione nobilitante così che la genealogia del Gianturco comparirà nell’ormai prossima XXXIII edizione dell’Annuario della Nobiltà Italiana (Parte III - Cavalleresca) diretto da Andrea Borella.

Tuttavia, proprio nel pieno del suo operare, un male incurabile si manifestò nella vita del nostro e questi fu costretto a lasciare il ministero fino a quando, dopo tanto patire, si spense nella sua casa di Napoli il 10 novembre 1907. Tutti i giornali d’Italia ne diedero notizia in un clima di generale sconforto per la scomparsa di un galantuomo probo ed onesto.

La Stampa di Torino del 11 novembre 1907 gli dedicò la prima pagina ed a pagina 2, tra l’altro, scrisse:

 

Le esequie di Gianturco sono state fissate per martedì alle ore 10. Sua Maestà il Re ha telegrafato a donna Remigia Gianturco «La Regina ed io ci associamo al di lei dolore e le inviamo le nostre più sentite condoglianze». Hanno telegrafato poi l’on. Giolitti, tutti i ministri, i sottosegretari di Stato e numerosissimi senatori e deputati.

La “Gazzetta d’Alba”, il 19 novembre, con toni polemici che riflettono lo scontro dei tempi, ne rievocò la figura facendola propria. Lo si percepisce dalle parole di strenua difesa della visione cattolica della società:

 

È morto lunedì, a Napoli, l’onorevole Gianturco, ministro dei Lavori Pubblici, che i giornali dicevano in via di miglioramento. Aveva soli 50' anni di età. Era un uomo di chiarissimo ingegno, un vero Selfman, perché si è fatto da sé colla sua costante energia, con una volontà che non conosceva ostacoli, con uno studio incessante. Fu professore di Diritto Civile all’Università di Napoli e più volte ministro. Innumerevoli gli affari uffici pubblici da lui onorevolmente sostenuti. Il forte lavoro che dovette sostenere nel regolare, come ministro dei L. P., il passaggio delle ferrovie allo Stato, fu quello che logorò la sua fibra e la causa precipua della sua morte. Dopo di questo breve cenno una cosa ancora ci preme di notare: che l’onorevole Gianturco morì cristianamente, regolando le cose della coscienza con sacerdoti che amorosamente l’hanno assistito e ricevendo tutti i carismi della religione. È un ottimo buon esempio che volle dare alla desolata consorte e tenera famiglia. In mezzo all'onda di incredulità e di immoralità che dilaga, l’esempio nobilissimo, che ne viene dalla morte cristiana, di Emanuele Gianturco, è altamente confortante. Intorno alla religione è una congiura settaria di nemici; la coscienza cristiana subisce un fiero assalto dalla deleteria opera quotidiana della stampa amorale della massoneria, del socialismo e di una pseudo-democrazia che vuole infranto anche il nome stesso di Dio. Ebbene, un uomo ricco di ingegno, dalla parola fascinatrice, dal pensiero, moderno un uomo giunto ai supremi fastigi del potere, dopo una vita illuminata da tutte le virtù famigliari e civili, muore santamente, abbracciando con entusiasmo quella fede, che sempre sorrise all’anima sua! O poveri pigmei del pensiero laico, sciocchi predicatori della coscienza laica, tutti quanti siete, in alto, in basso, inchinatevi all’esempio di quest'uomo, cui né il sapere, né il potere preclusero la visione cristiana del cielo. Inchinatevi! inchiniamoci tutti! Dalla bara, che passa, di Emanuele Gianturco, esce un raggio di sole che sbaraglia tutte le fosche ombre dell’incredulità!

 

Più sobrio e laico fu il ricordo che la “Gazzetta delle Alpi” diede lo stesso giorno sulle sue pagine:

Pietosamente circondato dai suoi cari, dopo lunga e serena agonia, ieri alle 15.40 si è spento in Napoli Emanuele Gianturco. Quantunque l'immatura perdita fosse preveduta, che sapevasi purtroppo come il male da cui era minato più non gli avrebbe concessa lunga esistenza, pur la notizia della morte dell'eminente uomo politico e giureconsulto, ch'era una delle più belle figure del Parlamento, ha suscitato in tutta Italia un senso di vivo dolore. Circa tre anni orsono l'on. Gianturco si accorse del piccolo tumore che ha avuto poi esito così fatale. Si trattava di una neo-produzione in corrispondenza del pavimento della bocca, ai lati del frenulo della lingua. Egli era nella sua villa di Avigliano quando fece la triste scoperta. Ne parlò a suo fratello prof. Vincenzo che lo fece visitare dal professore senatore D'Antona, che fece l'esatta diagnosi della malattia. Gianturco insisteva allora per sapere la verità. Il senatore D'Antona disse: “Non posso e non debbo tacere la verità. Si tratta di epitelioma, cioè della forma tipica del cancro”. Il malato era conscio della gravità del suo stato. Ed incontrandosi con un amico, che non vedeva da lungo tempo, e col quale aveva avuto dissensi politici, Emanuele Gianturco, che aveva il collo gonfio, colle lagrime agli occhi, disse: “Per me tutto è finito”. (…) È un vero lutto per il Parlamento nostro, quello d'oggi; con Emanuele Gianturco scompare, come già dicemmo, una delle più spiccate personalità parlamentari, dall'elevato ingegno, dall'anima nobile e dalla rettitudine specchiatissima. Egli ebbe, come tutti i forti, vivaci avversari; ma, come tutti i buoni non ebbe nemici, perché egli fu grandemente buono, veramente, con tutti e sempre.

Diversi anni dopo, nel 1926, il paese natio, Avigliano, gli dedicò un monumento che ancora oggi domina la piazza che gli fu dedicata.

A perpetuarne la memoria, oltre a numerose pubblicazioni, è anche la benemerita fondazione che ne porta il glorioso nome: https://www.fondazionegianturco.it/

Un nome che suona caro agli italiani che ancora hanno a cuore la propria storia nazionale. Fatta di quei grandi uomini politici, noti e meno noti, che tra fine Ottocento ed inizi del Novecento costruirono il nascente Stato italiano.

Alessandro Mella

 

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Articolo pubblicato il 03/05/2021