Don Bosco e la "Questione sociale"

Comunismo, liberismo o monarchia?

Durante i moti del 1848 a Torino don Bosco è in prima linea con i suoi ragazzi e – volente o nolente – deve respirare l’aria viziata della politica che ammorba la capitale del Regno in quest’anno rivoluzionario.

Don Giovanni Bosco è un uomo molto intelligente e comprende che non può e non deve schierarsi con nessun partito politico e, men che meno, con nessuna corrente.

In questo periodo tutti i politici, o aspiranti tali, cercano di tirare il clero per la tonaca; vogliono accaparrarsi i voti dei fedeli. Don Bosco e i suoi collaboratori capiscono che non possono farsi trascinare in questo circolo vizioso e prendono una decisione decisamente saggia: se si vuole fare un po’ di bene, senza avere problemi o ostruzionismo, bisogna mettere da parte ogni politica.

Questo non significa che don Bosco non capisce la politica o non ha una propria idea ma, semplicemente, che è saggio e pragmatico. Lui sa benissimo che il Re nomina Perrone come primo ministro pur non sopportandolo; sa anche benissimo che Re Carlo Alberto caccia via il fidatissimo La Tour nonostante fino a pochi giorni prima lo considerasse un indispensabile collaboratore; … la politica è varia e variegata e un uomo di Dio non può farsi tirare in queste bagarre mondane e tendenziose.

Don Bosco, con fare tipicamente piemontese, afferma deciso: “Nessun partito mi avrà mai!”. A lui non interessano la sinistra e la destra ma solo l’anima dei suoi ragazzi che va salvata; la pancia vuota dei suoi ragazzi da sfamare e la formazione dei poveri ragazzi della periferia torinese. Le priorità di don Bosco sono queste e le riassume in una sua tesi politica: la politica del Padre Nostro.

Ciononostante ogni tanto capita a tutti di dover prendere posizione e, quando questo accade, don Bosco non ha dubbi e si schiera con il Papa ripetendo mnemonicamente e testualmente le sue parole. Gli esperti di storia della chiesa sanno che “ad obbedire non si sbaglia mai” e don Bosco sa bene che obbedendo al Papa non può cascare in errore.

Don Bonetti, nelle sue cronache del 1862, su tale atteggiamento scrive poche righe interessanti riportando le precise parole di don Bosco: «Quest’oggi mi sono trovato in una casa dove ero circondato da una schiera di democratici. Dopo aver parlato di diverse cose indifferenti, il discorso cadde sulle cose politiche del giorno. Quei liberaloni volevano sapere che cosa pensasse don Bosco dell’andata dei Piemontesi a Roma (siamo a 8 anni da Porta Pia). Risposi recisamente: io sono col Papa, sono cattolico, obbedisco al Papa ciecamente. Se il Papa dicesse ai Piemontesi “Venite a Roma”, allora io pure direi “Andate”. Se il Papa dice che l’andata dei Piemontesi a Roma è un furto, allora io dico lo stesso… Se vogliamo essere cattolici, dobbiamo pensare, credere, come pensa e crede il Papa».

Sempre nel 1848 viene pubblicato il “Manifesto dei Comunisti” scritto da Karl Marx. Qualcuno pensa che sia un libro che passerà inosservato ma – ahinoi – sappiamo benissimo che è un libro che ha avuto l’effetto dell’erba cattiva ed infestante e che ancora nel terzo millennio viene propagandato, soprattutto nelle scuole.

La teoria marxista sin dagli esordi è «una presa di posizione radicale e violenta nella “questione sociale” che agita ormai da decenni le nazioni del nord - Europa. È una denuncia drastica delle classi sfruttatrici, e l’appello alla rivoluzione violenta per “rovesciare il sistema” fondato sull’ingiustizia» (Teresio Bosco, Don Bosco – Una biografia nuova, Editrice LDC).

Don Bosco capisce bene ciò che è il comunismo e il suo confidente don Lemoyne, a tal proposito dice: «Egli fu tra quelli che avevano capito fin dall’inizio, e lo disse mille volte, che il movimento rivoluzionario non era un turbine passeggero, perché non tutte le promesse fatte al popolo erano disoneste, e molte rispondevano alle aspirazioni universali, vive dei proletari. Desideravano d’ottenere eguaglianza comune a tutti, senza distinzioni di classi, maggior giustizia e miglioramento delle proprie sorti. Per altra parte egli vedeva come le ricchezze incominciassero a divenire monopolio di capitalisti senza viscere di pietà, e i padroni, all’operaio isolato e senza difesa, imponessero patti ingiusti sia riguardo al salario sia rispetto alla durata del lavoro».

Nonostante ciò don Bosco rimane fermo sulle sue posizioni e continua a dire: “Nessun partito mi avrà mai!”. Non si schiera con nessuno e non patteggia per nessuno; non si batte contro qualcuno e non chiede a nessuno di ostacolare qualcuno. Egli dialoga con i poveri ma anche con i ricchi ed è proprio da questi ultimi che spesso ottiene donazioni per aiutare i suoi ragazzi. Il povero ha bisogno del ricco per mangiare e, allo stesso modo, il ricco ha bisogno del povero per esercitare la carità cristiana. Con un linguaggio economico potremmo dire che don Bosco fa incontrare la domanda e l’offerta.

Quando i suoi Salesiani gli chiedono come comportarsi in merito alla politica lui risponde risoluto: «nel mondo vi devono essere anche di quelli che s’interessano delle cose politiche, per dare consigli, per segnalare pericoli o per altro; ma questo compito non è per noi poveretti».

I Salesiani hanno appreso talmente bene questo insegnamento che lo storico Giacomo Martina afferma che «i Salesiani della prima generazione, quando arrivavano in certe cittadine romagnole abitate da rossi e mangiapreti, sembravano destinati a un fallimento sicuro. E invece attaccavano con l'oratorio e la banda musicale, e dopo poco tempo erano amici di tutti». Stare fuori dalle fazioni politiche aiuta a stare con tutti e a consegnare a ciascuno il prolifico seme del Vangelo.

A conclusione si può dunque dire che don Bosco non è stato né comunista, né liberale, né monarchico; egli è stato saggio, prudente, caritatevole ma, soprattutto, obbediente al Papa ed alla gerarchia. I suoi capisaldi sono stati questi in fondo: il Vangelo, Maria Ausiliatrice e il Papa.

Quando pensiamo all’atteggiamento dei piemontesi non possiamo non pensare che molti siano come don Bosco. Il popolo piemontese è fedele, saggio e prudente. Qui da noi non ci sono mai forti sbalzi di ideologia e di valori ma – da buoni “bogianen” – siamo lineari sulle posizioni e sulle scelte.

Andrea Elia Rovera

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Articolo pubblicato il 15/05/2021