Il Torneo del Drago.

Un fugace evento che coinvolse gran parte degli abitanti di Sciolze, un piccolo paese della collina torinese.

Ciclicamente nel corso degli anni assistiamo a eventi legati al Carnevale. Alcuni di essi sono continuità di tradizioni che si perdono nel lontano passato, mentre altri sembrano improvvisamente sbucati dal nulla, pur dichiarando di riferirsi anch’essi ad un fastoso ipotetico trascorso. Universalmente noto è il Carnevale per eccellenza: quello di Rio de Janeiro. In Italia i più famosi sono quelli di Venezia e Viareggio; però, praticamente, quasi ogni città o paese ha sviluppato un proprio evento al riguardo. Solo alcuni non hanno, o non hanno più, nulla di simile.

Tra questi ultimi Sciolze (To) ormai non aveva più una tradizione carnevalesca e per ovviare a tale mancanza l’associazione “Proposta di Spazio nuovo” nel 1994 decise di fare qualcosa. Fu così che un ristretto gruppo di associati si radunò per “ideare e progettare qualcosa di stimolante”, che fosse nel contempo occasione di coinvolgimento generale nel divertimento, ma anche esperienza istruttiva e non troppo costosa. Così nacque la proposta di creare un evento che potesse richiamare un ipotetico lontano passato e potesse, attraverso un’azione nel presente, diventare una tradizione.

 

Furono poste le basi per istituire un torneo in cui quattro squadre di assalitori, muniti di catapulte, dovessero sfidare un drago. Creato il canovaccio del progetto tutti i presenti divennero parte attiva per realizzare direttamente, o far realizzare, ogni cosa necessaria.

 

Molti furono coinvolti; oltre al resto degli associati, altre associazioni, gli alunni e le maestre della scuola locale, il gruppo scout, e anche semplici cittadini, trascinati nell’iniziativa dall’onda dell’entusiasmo collettivo. Ci fu chi si cimentò nel costruire le armi di offesa o difesa, chi nel confezionare le armature ricavate da sacchi dell’immondizia, chi assemblando le catapulte ricavate da parti di attrezzi sportivi anfibi, chi nel modellare con cartoncini gli emblemi e i copricapi. Ma certamente l’apporto più qualificato lo diede un artista locale che, oltre ai bozzetti a colori delle bardature delle quattro squadre degli assalitori e dei difensori, eseguì artigianalmente la splendida testa del drago e le creste dorsali. Tutti parteciparono allo sviluppo del corpo del drago entro la cui pancia fu stipata una moltitudine di palloncini colorati.

 

Il giorno del torneo tutto si svolse in una caotica allegria che non risparmiò neppure gli spettatori, poiché ognuno di loro poteva vantare la presenza di quale che parente o conoscente nella simpatica baraonda.

 

Drago, difensori e squadre di assalitori con le catapulte, prima di affrontarsi, sfilarono per le vie del paese in un chiassoso colorato corteo per giungere in piazza Vittorio Veneto, dove si schierarono e diedero inizio alla battaglia.

 

L’impresa di colpire il drago non fu mai cosa facile trattandosi di catapultare dei palloni di gomma piuma, piuttosto leggeri e dalla traiettoria imprevedibile, in un preciso punto vulnerabile, detto “l’occhio del drago”, un canestro da centrare fissato al suo collo, mentre tutto l’insieme veniva mantenuto in movimento continuo da due “serventi”, risultando assai sfuggente.

 

Dopo tutto il movimento convulso tra lanci e recuperi di palloni, terminato il tempo a disposizione, la battaglia ebbe fine. La vittoria avrebbe arriso al drago solo se nessun pallone avesse raggiunto ed infilato il canestro; in caso contrario sarebbe stata dichiarata vincitrice la squadra che aveva ottenuto più canestri.

 

Ma, stabilito il risultato, niente avrebbe potuto fermare la distruzione della pancia del drago ad opera di tutti i partecipanti. Di conseguenza i palloncini gonfiati presenti al suo interno (simbolicamente rappresentanti le vittime che il drago aveva mangiato durante la sua vita)) furono liberati e lasciati volare via, o fatti scoppiare, in una sarabanda incredibile tra urla e schiamazzi.

 

Un gran divertimento che però non divenne “tradizione” perché fu riproposto solo per i due anni successivi e poi scomparve nuovamente nell’oblio del nulla da cui era scaturito.

 

Come da tradizione, invece, seguì la sorte di tutte le cose belle e divertenti come ricordato nel famoso detto della nonna: “un bel gioco dura poco!”

 

Così fu!

 

schemi, grafica, foto e testo

pietro cartella

 

Foto e documenti dall’archivio.

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Articolo pubblicato il 20/05/2021