Tanta voglia di censura

In merito a un piccolo episodio televisivo

L’episodio riguardante la trasmissione satirica Anni 20 messa in onda dalla seconda rete RAI nei giorni scorsi, di per sé, non significa gran che: è uno dei tanti incidenti in cui il servizio pubblico televisivo è incappato nel corso degli anni. Si tratta di una breve striscia satirica in cui l’Unione europea viene ferocemente presa in giro per certe sue scelte nutrizionali e politiche: lo sdoganamento dei vermi come cibo, del vino annacquato, del latte di piselli; ma anche il Recovery Fund, il disegno di legge Zan, l’ossessione vaccinale.

La cosa in sé, ripetiamo, è solo un breve filmato più o meno divertente in cui si fa della satira politica, come è stata fatta mille e mille altre volte in RAI. Quello che è preoccupante, invece, è la reazione della politica, o meglio di una certa parte politica. Beppe Grillo a suo tempo e, prima di lui, Dario Fo avevano insegnato che in RAI chi tocca la politica muore. Oggi, l’episodio di Anni 20 lo conferma, con qualche aspetto peggiorativo.

Le rivoltanti scelte gastronomiche dell’Unione sono apparse subito di una demenza assoluta e chiaramente orientate a favorire una certa produzione alimentare dei paesi del nord, e hanno avuto come reazione, per ora, una risata di dimensioni continentali. Guai invece a ironizzare sul resto (omotransfobia, Recovery Fund, vaccinismo): si rischia di desacralizzare quegli idoli che la sinistra ha trasformato in totem impalati sul terreno italico ed europeo, enormi zattere ideologiche su cui ha raccolto quel che resta delle sue genti.

La reazione degli esponenti DS è stata infatti psicotica, orripilata, decisamente sopra le righe. Il partito più europeista fra gli europeisti ha gridato al cielo e alla terra la sua indignazione e, naturalmente, ha chiesto subito provvedimenti ai vertici RAI, fra i quali si è distinto Fabrizio Salini che è stato descritto come “furioso”. E’ pertanto facile pronosticare un imminente futuro di disgrazia per la povera trasmissione condotta da Francesca Parisella, e Giorgia Meloni si è subito chiesta se siamo prossimi a vedere nel codice penale il reato di eurofobia.

Al di là di questo episodio, che resta comunque circoscritto alla cronaca televisiva, vale invece la pena di soffermarsi su di una nuova pericolosa tendenza mondiale -che però in Italia assume toni più accentuati e inquietanti- che potremmo definire “penalizzazione del dibattito civile”, nel senso che sempre più spesso viene chiesto genericamente di trasformare le idee in illeciti, e alcune di esse addirittura in reati.

Ora, a parte il disegno di legge Zan -che rappresenta forse il punto più basso dell’involuzione normativa nel nostro paese portando ad ulteriori pessime conseguenze la già pessima legge Mancino- un disegno di legge che trasforma in reato non pochi aspetti del dibattito culturale e civile e irroga sanzioni penali all’espressione delle idee, si è affermata una tendenza per cui sempre più aspetti del nostro vivere civile non conformi alle ideologie dominanti vengono sanzionati indirettamente.

Agli autori di Anni 20 non verranno certo applicate pene detentive o pecuniarie, ma sicuramente non potranno più lavorare in RAI; chi sceglierà liberamente di sottrarsi alla paranoia vaccinale di stato non verrà (per ora) sanzionato penalmente ma gli verranno sottratte alcune significative libertà, come quella di circolazione; a chi produce video o sostiene tesi non conformi alla correttezza politica dominante già oggi è precluso l’accesso a molte piattaforme social; i medici che scelgono cure alternative rispetto a quelle imposte dai protocolli ufficiali o dagli ordini professionali vengono sospesi o espulsi; i pubblici dipendenti che non si vaccinano sono fortemente limitati nei loro diritti lavorativi tramite minacce più o meno esplicite nel silenzio assoluto delle organizzazioni sindacali; il diritto di critica giornalistica nei confronti della magistratura è punito a suon di querele il cui esito è deciso da magistrati; la critica verso il Presidente della Repubblica può comportare l’applicazione rigorosa dell’art. 278, come nel recente caso riguardante Marco Gervasoni; e si può proseguire.

Un popolo come quello italiano, che ha vissuto sulla sua pelle un regime illiberale come quello fascista, e che poi, nei decenni successivi, ha sempre respirato a pieni polmoni l’aria pura della libertà di espressione nel dibattito pubblico si trova oggi a tollerare supinamente queste limitazioni -e parliamo ovviamente solo della libertà di parola- con una rassegnazione che appare inspiegabile, se non sulla base di una mutazione antropologica assai preoccupante.

Certe restrizioni, di cui abbiamo prima dato solo qualche esempio, avrebbero portato, anni fa, in piazza centinaia di migliaia di persone indignate. Oggi le piazze sono vuote e mute. La spiegazione potrebbe stare nel divieto di assembramento che la legislazione sanitaria ci ha autoritariamente imposto; ma è una spiegazione debole, anche perché il dissenso si potrebbe agevolmente manifestare in altre forme, cosa che però non avviene: basti pensare al silenzio condiscendente dei mezzi di comunicazione “ufficiali” o “ufficialisti” che rarissimamente obiettano qualcosa, e ancora una volta il caso Anni 20 da cui siamo partiti è significativo.

Come mai è avvenuto tutto ciò?

Azzardiamo una spiegazione del tutto anticonvenzionale e che sicuramente indignerà qualcuno. La spiegazione sta nelle forze politiche di sinistra e, in particolare, nel Partito Democratico che, dopo esser stati per anni e anni, in questo paese, i Padroni del Discorso schierati senza se e senza ma a favore di ogni possibile libertà di espressione, oggi hanno cambiato fronte e, avendo conquistato con mezzi obliqui il potere in una nazione che non li vota, usano questo potere in una maniera così cinica e brutale da non tollerare più neppure il dissenso. Il PD e i suoi alleati, compreso un Movimento Cinque Stelle ormai senza riferimenti ideali e politici, hanno assunto una mentalità da ultima spiaggia ben sapendo che, perso il potere oggi, difficilmente potranno recuperarlo per via elettorale.

Ecco allora l’arroganza del disperato, che mantiene il potere colpendo chi dissente, come in certi regimi asiatici. Ecco che nasce la gran voglia di censura che il PD e i suoi alleati dimostrano ad ogni occasione, la loro gran voglia di un sovietismo mai pienamente superato. Immaginiamo cosa potrebbe essere una legge Zan in mano a quella parte della magistratura ideologicamente vicina al PD e alla sinistra.

Ma soprattutto quella parte politica è fieramente e pericolosamente anti-italiana: ancora oggi il PD e alleati vedono nell’Unione europea una struttura ideologica e politica in grado di correggere gli italiani a calci e spintoni, e quindi del tutto affine alla loro mentalità autoritaria, censoria e genericamente illiberale proveniente dal loro passato e rigenerata nel presente.

Ecco perché prendere in giro l’Europa e le sue assurdità è, per la sinistra, inaccettabile e provocatorio e quindi degno di sanzioni, qualunque esse siano, penali o non penali. Nulla salus extra Europam: è la nuova teologia piddina e la sua nuova sua ragione di vita, dopo aver buttato in mano alla destra una classe operaia che non crede più a quei partiti narcisisti e imborghesiti che hanno sostituito Soros a Gramsci, Draghi a Di Vittorio e l’Inno alla Gioia all’Internazionale.

 

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 19/05/2021