La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Un atroce delitto nei sotterranei della Chiesa della Consolata

Raccontiamo un Cold Case avvenuto nella Torino del 1893, in una location veramente impensabile. Domenica 19 febbraio viene massacrata a martellate la signora Francesca Rosanino vedova Viotti, proprietaria di un avviato negozio di mobili usati, alloggiato nei sotterranei della Chiesa della Consolata, con accesso dalla via Giulio.

La storia è iniziata nel pomeriggio di sabato 18 febbraio, quando un giovanotto sui venticinque anni, decentemente vestito, si è presentato alla vedova Viotti dicendole di voler comperare dei mobili. È sceso con lei nell’ampio sotterraneo, ma si è mostrato incerto e ha detto di voler tornare il giorno seguente. La signora gli ha fatto osservare che era domenica e il suo magazzino era chiuso. 

Il giovanotto le ha spiegato che, come impiegato, non poteva farle visita in un giorno feriale e ha insistito per ritornare alla domenica. 

Accondiscendente, la vedova Viotti gli ha detto di passare da lei, nella sua vicina abitazione, in via Giulio 18, all’una e trenta, per una visita al magazzino nel giorno festivo. 

Così alla domenica lo sconosciuto si presenta a casa della vedova Viotti all’ora concordata. 

La donna sta terminando di pranzare: gli offre da bere e lui accetta. Poi, prese le chiavi, scendono negli oscuri corridoi del magazzino sotterraneo. Prima di uscire, la Viotti dice alla sua persona di servizio, Margherita Alimandi, di prepararle il caffè che avrebbe preso dopo mezz’ora.

La serva della Viotti, non vedendola tornare, dopo due ore, va a cercarla e la trova cadavere col corpo orrendamente sfracellato. Giace a terra in fondo all’ultimo corridoio, illuminato da una finestrella prospicente la piazzetta della Consolata. Ha il capo contro un mobile, il volto quasi irriconoscibile per il sangue raggrumato che lo copre, gli occhi appaiono spalancati e terrorizzati, il braccio destro è alzato con la mano insanguinata contratta in atto di difesa. I vestiti appaiono in disordine, una tasca rovesciata, due bottoni del corsetto strappati e l’apertura allargata. 

Intorno al corpo, al suolo si è formato un lago di sangue.

A un metro e mezzo dal cadavere si trova l’arma del delitto: un grosso martello, col manico staccato dalla mazza per il forte colpo vibrato.

La serva corre a dare l’allarme, arrivano gli inquirenti e iniziano le indagini.

L’assassino ha colpito la Viotti nella parte destra della nuca, che appare notevolmente depressa per il colpo ricevuto. Si sospetta che volesse già ucciderla il giorno precedente, ma non è riuscito a farla andare fino all’estremità del sotterraneo come invece domenica. Inoltre, la serva non li ha mai abbandonati.

La vedova Viotti era una buona donna di 69 anni, che, poco legata ai parenti, un po’ avara e bigotta, faceva vita assai ritirata. È rimpianta da tutto il vicinato. Considerata molto danarosa, si diceva che tenesse sempre nascosto in seno il suo portafoglio, per paura che le fosse rubato. Questo spiega lo sparato del corpetto aperto. Portava un grosso e bellissimo orologio con una catenella, entrambi d’oro massiccio. 

Portafoglio, orologio e catena non vengono trovati. Si dice che probabilmente nel portafoglio vi era una grossa somma di denaro, sulle 12 o 15 mila lire. L’assassino non le ha preso gli anelli, ancora alle dita, e nemmeno gli orecchini. Dopo l’omicidio ha chiuso la porta della stanza a con un giro della chiave, lasciata poi nella toppa.

Gli inquirenti pensano a un efferato delitto a scopo di rapina. Ritengono che i vestiti in disordine e le gonne sollevate siano conseguenza della lotta sostenuta dalla donna, usando anche le ginocchia per difendersi.

Le indagini proseguono al lunedì mattina, mentre una folla di curiosi sosta davanti alla porta del magazzino, esprimendo ogni sorta di commenti.

Nel pomeriggio, al cimitero, si svolge l’autopsia: la vittima ha ricevuto quattro martellate alla testa e cinque coltellate, tutte al collo e alla faccia. A un braccio appaiono dei lividi, prodotti dalla caduta oppure dalle mani dell’assassino.

La Questura indaga con i suoi migliori funzionari, tra questi il delegato Emiliano Falzoni. Si pensa anche a un delitto per spirito di vendetta. Forse ci sono dei complici. Vengono effettuati vari arresti.

Sull’assassino non c’è nessun indizio. 

Testimone principale è la serva Alimandi che lo ha visto quando si è presentato a casa della Viotti. Spesso in questi delitti le persone di servizio sono coinvolte. Ma Margherita Alimandi, di 43 anni, è al di sopra di ogni sospetto: è stata per sei anni al servizio di una famiglia della zona quei paraggi e da quasi due anni lavorava per la Viotti. Tutto il quartiere è certo della sua fedeltà.

Al sabato sera, quando il presunto assassino ha salutato la Viotti sulla porta dopo la sua prima visita, dandole appuntamento per il giorno seguente, è stato notato anche dal cavalier Alessandro Trombetta, fabbricante di acque gassose al n. 5 di via Bellezia. 

La serva e il Cavalier Trombetta sono i testimoni chiave delle indagini che procedono con i sistemi dell’epoca, puntando al mondo della malavita cittadina, in particolare ai pregiudicati e agli informatori. 

Ad esempio, si accerta che il giorno del delitto una prostituta nota come Stivalin dëscobi era al caffè di via Giulio in compagnia di due uomini: dalla finestra potevano vedere il magazzino e uno degli uomini si è assentato. Ma non sono coinvolti. 

Nelle indagini per quello che i giornali definiscono «L’assassinio della rigattiera», il delegato Falzoni pare trovare una pista. Gli informatori parlano di un noto pregiudicato, certo O., sospettato, ma senza prove, dell’omicidio di un cameriere del Caffè Mogna. Si sa che O. è venuto a Torino un paio di giorni prima dell’omicidio di via Giulio, proveniente da Ventimiglia dopo essere stato espulso dalla Francia. Non si è presentato in Questura, come avrebbe dovuto fare, ed è ripartito per ignota destinazione un giorno o due dopo l’assassinio della Viotti.

Ricercato dalla Questura di Torino, è riuscito a sfuggire ma la polizia francese lo ha trovato e arrestato a Nizza dove si è ammalato ed è perciò rimasto in attesa di guarigione. 

I suoi connotati corrispondono a quelli dell’assassino ed è perciò atteso con ansia a Torino. Ma quando finalmente arriva, sul finire di giugno, Margherita Alimandi, già serva della rigattiera, non lo riconosce.

O. deve essere rilasciato in libertà, anche se gli infliggono l’ammonizione. 

La Questura prosegue nelle ricerche dell’assassino. Al tempo, l’impegno dei poliziotti è notevole perché in Torino gli efferati e misteriosi omicidi sono numerosi e non sempre i risultati corrispondono alle aspettative.

Margherita Alimandi è andata ad abitare a Saluzzo, suo paese natio. Per il confronto è stata chiamata a Torino, dove ha un ulteriore momento di celebrità. Il cronista della Gazzetta Piemontese ricorda che, quando la donna era ancora a Torino, un giorno passando in piazza San Giovanni, si è vista davanti l’assassino, che sostava nei pressi dell’ufficio di collocamento di cuochi e camerieri. Agitata e sconvolta, si è precipitata alla Sezione Dora della Questura. Numerosi agenti sono stati sguinzagliati nella speranza di catturarlo, ma forse il sospetto si era accorto del turbamento della donna ed era sparito.  

«Il feroce briccone continua a rimanere perfettamente ignoto!», questo a fine giugno il commento giornalistico per questa pista ormai andata a vuoto.

Si torna a parlare dell’omicidio della vedova Viotti, mercoledì 22 novembre 1893, quando la Gazzetta Piemontese annuncia l’arresto del presunto assassino. Il giorno seguente il giornale scrive che «La notizia di questo arresto ha prodotto in città una grande e favorevole impressione; ad alcuni parve che un grave peso fosse loro tolto dallo stomaco, che un incubo si dileguasse».

Nei teatri, nei caffè, in famiglia e al passeggio si è parlato di questo arresto. Si attende il confronto con Margherita Alimandi. L’operazione è stata condotta dal delegato Pietro Caselli, della Sezione di P.S. Monviso. L’arrestato si chiama Alessandro Fino, già imbianchino e da pochi mesi portinaio nel palazzo di via Lagrange 20, di proprietà dei signori Cacherano di Bricherasio. I sospetti sul Fino pare siano nati da una lettera anonima. All’epoca dell’omicidio dimorava in Vanchiglia, in via Buniva. Era poi andato ad abitare nel palazzo Bricherasio, nello stesso isolato della Questura, al tempo ancora alloggiata in via dell’Ospedale (oggi via Giolitti) al civico 2, di fianco alla Chiesa di Santa Cristina.

Alessandro Fino viene riconosciuto dal cavalier Trombetta, il fabbricante di acque gassose. Ma, già ai primi di dicembre, anche questa pista si rivela poco consistente.  La Alimandi non lo riconosce con certezza, si parla di una supertestimone che lo avrebbe visto uscire dopo l’omicidio e la si cerca invano. Il suo avvocato difensore Poddigue scrive una toccante lettera alla Gazzetta Piemontese, il 9 dicembre 1893.

Per farla breve, il 22 marzo 1894, Alessandro Fino è rimesso in libertà. 

La Sezione d’accusa ha dichiarato il non luogo a procedere per insufficienza di prove. «E così il Fino è restituito all’affetto della famiglia e segnatamente della vecchia madre e della moglie, le quali sempre lo credettero e proclamarono innocente dell’efferato assassinio che gli veniva imputato», questo il commento del cronista della Gazzetta Piemontese

Il feroce omicidio della vedova Viotti è rimasto ben presente agli uomini della giustizia e ai cronisti tra il finire del XIX Secolo e l’inizio del successivo. Il 2 novembre 1899, quando viene uccisa a martellate la portinaia di via Magenta n. 5 il cronista lo definisce «...orribile e misterioso avvenimento, che ricorda nei suoi particolari l’assassinio, ancora invendicato, della vedova Viotti nei sotterranei della Consolata». L’uccisore della portinaia sarà poi identificato in Enrico Ballor, serial killer noto come “il martellatore”, studiato da Cesare Lombroso.

Nel 1903, il sostituto Procuratore Giovanni Battista Avellone, pubblica uno studio sui clamorosi delitti insoluti torinesi e a questo proposito scrive: «Molti anni or sono, la vedova Viotti fu rinvenuta cadavere, col capo sfracellato da martellate e col corpo contuso ed ammaccato, in un sotterraneo ad uso magazzino di mobili, in via della Consolata (l’assassino fu un precursore del feroce Enrico Ballor il martellatore); nulla fruttarono le prime solite febbrili indagini della polizia… poi il silenzio e l’oblio! Chi l’assassino? Un reo ignoto!».

Dopo 128 anni, Francesca Rosanino vedova Viotti attende ancora verità e giustizia.

 

Giovanni Battista Avellone, Rei ignoti e delinquenza incoraggiata, in MalanniFogli di studio, Origlia, Festa e C., Torino, 1903.

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Articolo pubblicato il 27/05/2021