Oltre la Costituzione

Una pericolosa deriva

Dunque la riforma istituzionale che si attendeva da molti anni è arrivata. Peccato che se ne siano accorti in pochi, anzi in pochissimi. E la cosa più strabiliante è che la colonna portante di tale riforma, cioè la Costituzione repubblicana, è rimasta del tutto invariata.

Un tempo ci raccontavano che ogni cambiamento nell’assetto istituzionale dello stato doveva passare attraverso un procedimento di revisione costituzionale, quello previsto dall’articolo 138 della stessa Costituzione. Procedimento lungo, complesso, rischioso, che richiede un ampio accordo fra le forze politiche parlamentari e che, proprio per questo, è stato attuato poche volte nella nostra storia repubblicana.

Oggi però ci si accorge che la Costituzione può essere modificata senza passare attraverso quel processo. Tramite un colpo di stato con i carri armati in piazza e i generali a Palazzo Chigi? No, semplicemente con una duplice strategia politica di aggiramento e dimenticanza delle norme costituzionali.

Ci siamo già intrattenuti su come il precedente governo Conte e in parte anche il presente governo Draghi, sfruttando il presunto stato di emergenza pandemico, abbiano prodotto e mantenuto una serie di norme limitative di libertà costituzionali senza che nessuna forza politica -e soprattutto la Presidenza della Repubblica- avessero nulla da ridire. Non è necessario abolire formalmente le norme costituzionali, basta far finta che non esistano: se nessuno strilla, il gioco è fatto. E in pochissimi hanno strillato, e comunque nessuno ha dato loro ascolto, e le modifiche costituzionali sono state imposte nei fatti. Il golpe è avvenuto elegantemente, in un silenzio assordante.

Ma sta anche avvenendo altro, sempre sotto il profilo istituzionale.

Il Recovery fund, come tutti sanno, è il piano di investimenti europeo volto a rilanciare il sistema economico continentale. E fin qui nulla di particolarmente critico, neppure per il nostro paese, se si eccettua il fatto che quelle ingenti risorse potevano agevolmente essere reperite dalle singole nazioni semplicemente ricorrendo ai mercati finanziari, in tempi rapidissimi e senza condizionalità, forse a condizioni leggermente più onerose, ma sicuramente con una procedura più agile e libera per tutti.

Si è preferito, per ragioni oscure (o forse fin troppo chiare), erigere invece un incredibile mausoleo politico- burocratico-contabile che opererà -se opererà- in tempi biblici e con procedure complesse, barocche e vessatorie soprattutto per quei paesi, come l’Italia, che sono sommerse da un debito pubblico colossale e da una amministrazione pubblica storicamente inefficiente. Ma tant’è: così hanno deciso le oligarchie europee e italiane, contro ogni razionalità e interesse nazionale.

Questa scelta ha prodotto, da noi, il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza), anche qui un monumentale coacervo di piani generali, piani settoriali, linee guida, indirizzi operativi e progetti più  meno dettagliati che si estende per oltre trecento pagine e che dovrà piacere oggi, ma soprattutto in futuro, ai grandi poteri di Bruxelles, pena l’utilizzo del cosiddetto “freno a mano”, cioè la facoltà per quei poteri di bloccarci ogni erogazione se non soddisfatti dell’impianto o dell’esecuzione del nostro operato.

E fin qui tutto rientra in un complesso di scelte politiche ed economiche scellerate messe in piedi dagli ultimi due governi. In fondo, da uno sprovveduto come  Conte e da un fedele mandatario delle volontà e degli interessi europei come Draghi non ci si poteva aspettare altro. Quello che invece è più interessante e preoccupante è la modalità istituzionale con cui tutto ciò viene realizzato.

Si tratta di una modalità che, come dicevamo, va a snaturare sempre di più il processo politico-decisionale  previsto dalla carta costituzionale.

Intanto un progetto discutibile e di grandissimo impatto economico come il Recovery-PNRR proviene in gran parte da un potere straniero, almeno nel suo impianto programmatico. Si tratta di un progetto nato a Bruxelles, cresciuto a Bruxelles, strutturato a Bruxelles secondo finalità che possono anche essere estranee ai nostri interessi nazionali.

E questo potrebbe essere parzialmente giustificato se si trattasse esclusivamente di interventi nel settore economico, ma Bruxelles ci chiede anche interventi in settori come la pubblica amministrazione e, soprattutto, la giustizia e su cui non si sa che competenza possa avere l’Unione europea, settori che dovrebbero invece rientrare nelle scelte squisitamente pertinenti alla politica italiana nell’esercizio di quella sovranità che l’articolo 1 della Carta costituzionale riserva al nostro popolo.  

Qui si aprirebbe però il tema incommensurabile della sovranità nazionale, che la Costituzione all’art. 10 ammette possa essere limitata in certe condizioni ma non ceduta, come invece sta ormai avvenendo da tempo, con modalità assai opinabili, nei confronti dell’Unione europea. Un tema però non affrontabile in questa sede.

Un aspetto su cui vale invece la pena di riflettere è la struttura tecnica messa in piedi da Draghi per gestire tutto l’impianto del PNRR, una struttura che taglia semplicemente fuori alcune realtà insignificanti come il parlamento, le regioni, gli altri poteri locali. Tutto verrà accentrato in una “cabina di regia” gestita dalla presidenza del consiglio, dal ministero dell’economia e da una schiera di tecnici di nomina governativa e coordinato da un costituendo “servizio centrale per il PNRR” che dovrà dare attuazione alle scelte tecniche nell’ambito di un piano quinquennale che si estenderà fino al 2026. Una vera struttura sovietica nel cuore di una democrazia occidentale.

Si viene cioè a creare un organo tecnico, dotato di amplissimi poteri decisionali, in grado di gestire una quantità immensa di risorse finanziarie e di incidere in maniera profonda sulle strutture dello stato, al di fuori di ogni previsione costituzionale. Si badi bene: questi organi tecnici non sono consultivi (e pertanto forse compatibili con l’assetto costituzionale) ma decisionali ed esecutivi, quindi veri e propri nuovi autonomi poteri dell’ordinamento statuale.

Non stiamo a riflettere sul fatto che questi organismi avranno una capacità di spesa che, se Bruxelles dovesse in qualche momento futuro interrompere le erogazioni finanziarie, ricadrà interamente sul bilancio dello stato, aumentando il debito pubblico, e obbligando il parlamento a prenderne atto in sede di approvazione del bilancio stesso. Nessun problema con l’articolo 81 della Costituzione?

Si potrebbe continuare, ma riteniamo queste argomentazioni più che sufficienti per mettere in allarme tutti coloro che credono ancora nella Costituzione repubblicana come baluardo all’arbitrio del potere. Un baluardo che, nella migliore tradizione liberale, non può essere concepito come un cancello che si apre e si chiude secondo le esigenze del momento. A meno che non si voglia inserire in essa il concetto di stato di emergenza, che oggi non esiste, ma a patto che tale innovazione venga a sua volta normata con rigore, precisione e infinita cautela.

Altrimenti tanto vale diventare britannici, e adottare una costituzione consuetudinaria, non scritta. Ma abbiamo noi la secolare e solida tradizione democratica degli inglesi?

E, soprattutto, ve la immaginate una costituzione flessibile in mano a cinque stelle e piddini?

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Articolo pubblicato il 31/05/2021