La Medicina dei faraoni
Il dio Thot e Sethi I

Di Riccardo Manzini

La malattia, intesa come sofferenza debilitante dell’organismo, accompagna l’esistenza di qualsiasi essere vivente. Già l’uomo primitivo ha lasciato testimonianze di tentativi di cura con erbe e con svariate sostanze, spesso somministrate in associazione a riti ascrivibili a pratiche magiche propiziatorie.

Quando le prime civiltà umane entrarono nella “storia condivisa”, l’aspetto terapeutico venne ad assumere un ruolo indispensabile, spesso documentato da significativi reperti. In sintesi, il ciclo della vita che prevede la malattia, il più delle volte anticamera della morte, ha sempre alimentato la continua e costante ricerca di un risolutivo rimedio terapeutico.

Si può pertanto constatare come l’evoluzione delle civiltà antiche sia costantemente accompagnata dallo sviluppo delle pratiche medico-terapeutiche coeve. Una realtà complessa, meritevole di approfondimento.

Ci giunge in merito un articolo del dr. Riccardo Manzini - medico chirurgo ed egittologo di lungo corso – che affronta l’importante tematica della “Medicina dei faraoni”, da noi riportato con il ricco corredo di immagini.

Nel ringraziare l’Autore, per la sua precedente e attuale collaborazione, auguriamo buona lettura (m. b.).

 

La Medicina dei faraoni

 

Nei film mitologici degli anni ’60 compaiono sovente medici egizi presentati come dei subdoli avvelenatori (slide 1). Ovviamente la realtà quale emerge dagli studi non solo è molto differente, ma la stessa medicina moderna trova le sue origini nell’antico Egitto.

Per quanto, infatti, i mezzi terapeutici a loro disposizione fossero molto limitati e non abbiano mai cercato, anche per impossibilità tecnica, di analizzare un effetto per risalirne alla causa (per cui bisognerà attendere l’Illuminismo), riuscirono ad elaborare una evoluta medicina empirica grazie alla mentalità utilitaristica ed allo spirito osservatore della natura tipici di quella cultura.

Esemplificativo è che tra gli insegnamenti ad un aspirante medico vi fosse l’obbligo durante la visita di rilevare i metu (in pratica le nostre arterie), perché “tutti i metu vanno al [pulsano come il] cuore”, completando il concetto con “...riguardo al soffio che entra nel naso, esso entra nel cuore e nei polmoni; sono essi che lo danno a tutto il corpo”. L’ammirazione per questi antichissimi insegnamenti egizi, che oggi sembrano ovvi, deriva dal fatto che il concetto di circolazione sanguigna e di apparato cardiorespiratorio furono riconosciuti solamente da Andrea Vesalio, un anatomista fiammingo vissuto nel 1500 della nostra era.

Queste conoscenze, l’esperienza di secoli di pratica ed un’organizzazione sanitaria molto avanzata portò la medicina egizia ad eccellere ed i suoi medici a godere di una fama eccezionale in tutto il mondo antico, come testimoniato da numerosi documenti. Tra questi spiccano le lettere del sovrano ittita Hattusili a Ramesse II, del principe dei Mitanni Shamda-Adda ad Amenhotep III o del persiano Ciro al faraone Amasi in cui richiedevano l’invio di un “medico di palazzo” per risolvere problemi sanitari non curabili dai propri esperti.

Il medico egizio (slide 2) era inserito in una struttura gerarchica suddivisa in controllori, sovrintendenti, ispettori, medici di corte, medici del re e medici della regina, ed in ognuna di queste categorie vi erano specialisti dei vari organi e distretti.

Tutti i medici si preparavano da soli le medicine e dovevano operare secondo regole codificate e comprovate dall’esperienza equivalenti ai nostri protocolli medici, tanto che se si attenevano ad essi non erano imputabili qualunque fosse stato l’esito, ma se ne derogavano erano perseguibili.

La professione medica si acquisiva nelle scuole, vere istituzioni deputate alla conservazione della cultura, le quali non avevano un indirizzo specifico ma in esse lo studente imparava a leggere e scrivere copiando ripetutamente testi classici e manuali, e da cui ne uscivano scribi, funzionari, architetti, maghi, sacerdoti o medici, tutti in possesso quindi delle medesime conoscenze.

Fortunatamente ci sono giunti numerosi di questi testi scolastici di argomento vario da cui abbiamo appreso molte notizie sulle loro conoscenze. Per quanto riguarda l’ambito medico è significativo che vi fossero vere enciclopedie suddivise in capitoli specifici relativi alle malattie interne, a quelle dei vari apparati ed organi, alla ginecologia, alle malattie chirurgiche ed al loro trattamento, ma anche le invocazioni agli dèi (slide 3). È significativo che tra gli insegnamenti si inviti sempre a dare grande spazio alla parola, perché con questa “si possono guarire molte malattie”.

Altri papiri medici sono specifici, come quelli pediatrici, quelli farmacologici comprensivi delle benedizioni da recitarsi durante la preparazione dei farmaci, o quelli riguardanti l’ambito chirurgico ed i traumi divisi per zone anatomiche, in cui vengono descritti numerosi casi comprensivi di diagnosi e prognosi, la tecnica di immobilizzazione degli arti fratturati, le procedure chirurgiche (slide 4) ed il trattamento delle ferite.

Esemplificativo degli insegnamenti riportati in questi papiri è l’accuratissima descrizione della sintomatologia di una ferita cranica penetrante in cui si invita il medico ad una visita accurata: “Se tu esamini un uomo che ha una ferita sulla testa che perfora il cranio devi palpare la sua ferita e valutare se ha l’incapacità a guardarsi le spalle essendo il suo collo rigido, la difficoltà ad aprire la bocca, la saliva che scende dalle labbra, ed il sangue che cola dalle narici e dalle orecchie; dovrai immobilizzargli il collo e potrai dire... è un male che curerò (prognosi fausta), è un male che non si cura (prognosi infausta) oppure è un male con cui combatterò (prognosi riservata)”.

Malgrado questa modernità scientifica è evidente che esistesse uno stretto legame medicina–religione–magia, ma in questo caso la religione, gli incantesimi e le formule magiche fungevano solo da supporto ai rimedi scientifici. A differenza, infatti, dalle altre civiltà antiche in Egitto non esisteva un dio della medicina; vaghi legami esistevano solamente con il dio-ibis Thot (slide 5) in quanto custode del sapere, con la dea-leonessa Sekhmet (slide 6) che essendo in grado di inviare pestilenze le si attribuiva anche la capacità di guarirle, con la dea-scorpione Serqet (slide 7) o con il dio della magia Heka (slide 8).

Forse in relazione alla pratica della mummificazione (slide 9) avevano buone conoscenze anatomiche degli organi addominali e toracici e del cuore, ritenuto l’organo centrale della fisicità e dello spirito, mentre molto scarse erano quelle del cervello in quanto estraneo a quella pratica.

Malgrado questa limitazione è però significativo del loro spirito di osservazione che fossero a conoscenza che il cervello era rivestito da una membrana (la dura madre) e che fosse racchiuso dal liquido cefalo rachidiano: “Quando la rottura del cranio è grande si rompe la membrana che racchiude il cervello e si apre una breccia nel fluido che è all’interno della testa”.

Anche per quanto riguarda i vasi sanguigni (i metu) degli arti le loro conoscenze erano particolarmente attente, in quanto segnalano l’esistenza di “sei metu che percorrono gli arti superiori” che noi sappiamo essere le 2 arterie brachiali, le 2 ulnari, le 2 radiali.

Grande spazio negli insegnamenti era dato alla terapia e quindi ai farmaci ed ai presidi da adottare i quali, seppur utilizzati empiricamente, si sono dimostrati da analisi moderne avere per gran parte una qualche validità scientifica. Sebbene i rimedi a disposizione dei medici fossero infatti molto limitati e rudimentali, è significativo che i principi attivi di alcuni di questi siano tuttora presenti nella nostra farmacologia, ovviamente in forma più evoluta e raffinata.

Le sostanze farmacologiche, a base minerale vegetale od animale, venivano utilizzate come principio attivo o come eccipiente, ed erano estratte con acqua, alcool (birra o vino) od olio, quindi macinate, cotte, filtrate e miscelate con grasso o miele. In rari casi nella preparazione era richiesto l’intervento della magia.

L’analisi dei loro presidi farmacologici sarebbe lunghissima, ma merita sottolinearne alcuni per la appropriatezza dimostrata, come la malachite che inibisce gli pseudococchi, il sale comune che disidrata i tessuti e quindi ha grandi qualità antisettiche, il miele che è un potente disinfettante con proprietà antibatteriche anticoleriche ed anti-salmonella, o il ricino.

Particolarmente utilizzato era il “dattero del deserto” (Balanites aegyptiaca) (slide 10) il quale, oltre ad impieghi di efficacia dimostrata in molte patologie, era consigliato per la contraccezione, confermata in tempi moderni per il contenuto in ormoni corticoidi.

Accanto a questi presidi ottimali ve ne erano ovviamente altri piuttosto “fantasiosi”, come l’utilizzo dell’aglio e della cipolla da porre davanti alla tana dei serpenti per tenerli lontani, o tritati finemente e miscelati alla birra come rimedio al morso dei serpenti, gli escrementi di coccodrillo per la contraccezione, le urine di ragazza per ringiovanire o gli impiastri di topo contro la calvizie.

Come tutti gli accadimenti non spiegabili anche la medicina era vissuta presso tutti i popoli come un misto di scienza, religione e magia, per cui non deve stupire che anche la medicina egizia sia un loro connubio, ma in Egitto la religione e la magia furono sempre utilizzate come appoggio alla scienza e mai come sostitutive. Solamente nel caso di malattie di origine ignota la causa veniva attribuita ad eventi od influenze soprannaturali, ma anche in quei casi i medici cercarono sempre rimedi nella natura.

Dalla fedeltà delle loro raffigurazioni (slide 11), dalle ormai numerose indagini anche strumentali effettuate sui resti umani e dall’analisi dei loro testi di medicina, si sono potute definire le malattie più ricorrenti cui i medici egizi cercarono di porre rimedio (slide 12).

A causa della brevissima aspettativa di vita (30÷40 anni), da queste ricostruzioni si è compreso che le patologie della vecchiaia o le neoplasie erano rare, mentre molto diffuse erano le parassitosi, la tubercolosi e la malaria, le epidemie di peste e vaiolo, i traumatismi e la carie dentaria.

La medicina egizia, quindi, è ben lungi dall'essere quella fonte cinematografica di intrugli velenosi, ma è altrettanto lontana dalle fantastiche oscure conoscenze affermate dalla “scienza non ufficiale”, come se ciò che non può essere comprovato costituisca una prova di verità.

Quello che emerge è l'ingegnosità di una cultura che ha preferito dedicarsi a speculazioni culturali e scientifiche utilizzando quanto esistente piuttosto che dedicarsi alla guerra, traendo preziosi insegnamenti dall'osservazione della natura che la resero famosa ed unica nel mondo antico (slide 13), i cui insegnamenti hanno costituito la base della nostra scienza medica.

Riccardo Manzini

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Articolo pubblicato il 08/06/2021