Storia di Livia

La ragazza che diede il nome alla montagna” – si legge nel sottotitolo. Il Campanile Livia, che la ricorda, è una delle guglie del gruppo Fiamme di pietra sul Corno Piccolo del Gran Sasso d’Italia, 2912 metri di altezza, teatro dell’alpinismo appenninico e palestra sportiva dell’autore, esperto escursionista e sciatore.

Nella sua prima opera non professionale Paolo Stern, presidente di una delle maggiori società di consulenza italiane, già autore di testi di diritto del lavoro, non si smentisce e trova il modo di scrivere anche questo: “Invecchiare in una società, che quando finisce la tua vita lavorativa lo considera un problema, non è semplice”.

Contro ogni classica tecnica narrativa, la quale impone di tenere avvinto il lettore fino all’ultima pagina, cui farlo correre pur nel tardo della notte per scoprire l’assassino del giallo o dipanare l’arcano costruttivo della trama, di Livia conosciamo come finisce la storia addirittura nella prefazione: “morì sul Gran Sasso a soli 16 anni”. Potremmo dunque a quel punto riporre in biblioteca il tascabile, imputandogli il difetto di mancanza di “suspence”; ma, quanto letto sulla quarta pagina di copertina e sulle alette, intriga veramente molto.

Il lettore, che non si ferma alle apparenze di quel che accade di solito e va in cerca della diversità nella consuetudine, scopre così come il collante che lega a questo tascabile è nella prosa asciutta e incisiva delle pagine di passione e di amore per la montagna e per la grande storia. Ne scopriamo così, con l’autore, l’angolo occupato dalla famiglia Stern, la sua, e lo spazio, che ci prende, preso dalla “piccola storia” di Livia, nel breve tratto a cavallo della “catastrofe annunciata dal balcone di Piazza Venezia da Benito Mussolini il 10 giugno del 1040”.

Asettico il racconto del Gran Consiglio, che ne decretò la fine politica: “Se un capo supremo allontana da sé la responsabilità, non è più né capo, né tantomeno supremo”. Distaccata, eppur coinvolgente, la cronaca della sua morte e dello scempio del suo corpo a piazzale Loreto a Milano, con quello di Claretta Petacci.

Il Duce, dopo l’armistizio di Cassabile, era agli arresti a Campo Imperatore, sul Gran Sasso: questo scenario della sua prigionia e della sua liberazione, rocambolesca nella descrizione dell’autore, è lo stesso delle escursioni di Livia.

 

In montagna ci si diverte solo se si ritorna a casa”. Ma Livia un giorno fu fermata su quella montagna dal capo cordata scivolato dinanzi a lei. Era il suo istruttore. Penzolava nel vuoto. Le gridò di tagliare la corda e lasciarlo andare: “Il tempo decide per noi quando noi non decidiamo in tempo”.

 

La descrizione essenziale del dramma improvviso smuove la empatia per questa giovinetta, di cui non conosciamo molto dall’autore, ma della quale ci innamoriamo subito, di un amore che non potremo esprimerle e che non fece in tempo a dichiararle l’aitante Omero, il Lupo del Gran Sasso, il comandante partigiano Maitardi, medaglia d’oro della Resistenza, morto a 22 anni. “Livia e Omero, due storie che finirono troppo in fretta - Due ragazzi pieni di vita e di passione per la montagna... travolti entrambi dalla grande storia”, l’uno caduto per la libertà d’Italia, l’altra, “mentre ascendeva alla luce”.

Dove finisce la terra e comincia il cielo le nostre domande sul mondo si fanno più pressanti”.

 

Si vales, vàleo. - armeno.nardini@bno.eu

 

Paolo STERN – STORIA DI LIVIA - Edizioni del Gran Sasso – Roma – Marzo 2020 – Pagine 128 – Euro 15,00 –

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Articolo pubblicato il 12/06/2021