Paolo VI: il Papa che amò la Chiesa

Divenuto reazionario per aver promulgato l'Humanae Vitae

Paolo VI, il papa che chiuse il Concilio Vaticano II e che ha governato la Chiesa per ben quindici anni (1963-1978), così come Pio IX, prima venne acclamato come un papa rivoluzionario, poi soprattutto dopo aver promulgato l’enciclica “Humanae vitae”, diventa reazionario e conservatore. Marco Invernizzi, reggente nazionale di Alleanza Cattolica, tra quelli che hanno criticato aspramente Paolo VI indica gli intellettuali della cosiddetta “Scuola di Bologna”, fondata da Giuseppe Dossetti, “lo hanno biasimato accusandolo, più o meno esplicitamente, di essere stato l’affossatore del Concilio dopo la sua elezione e negli anni successivi alla chiusura dei lavori conciliari”.

 

Come sempre chi critica i pontefici sono spesso gli intellettuali e non tanto il popolo, così anche Paolo VI finisce sotto torchio, di questi studiosi di Bologna che in pratica hanno egemonizzato per mezzo secolo l'interpretazione del Vaticano II leggendolo come un evento di rottura con la storia precedente della Chiesa. “In questa lettura non c'era posto per Paolo VI, se non come il Papa che ha spento lo "spirito del Concilio" limitandosi ad applicarne la "lettera". Ma la cosa inquietante - per Invernizzi - è che questi stessi uomini sono stati principalmente i gestori della presentazione di Paolo VI emersa sulla stampa e sulle radio e televisioni in questi giorni. È stato così perlomeno sorprendente ascoltare Alberto Melloni "spiegarci" e "raccontarci" Paolo VI alla Rai, proprio lui che è il discepolo di Giuseppe Alberigo (1926-2007) che a sua vota è il discepolo di don Dossetti, che proprio Paolo VI fece allontanare dai lavori conciliari”.

 

Invece una studiosa che racconta con equilibrio che cosa è stato Paolo VI, è Giselda Adornato, che ha scritto una biografia, dal titolo, “Paolo VI. Il coraggio della modernità, Edizioni San Paolo (2008), peraltro è uscita sempre per la stessa casa editrice, un’altra biografia su papa Montini in occasione della beatificazione. Per il momento faccio riferimento a quella del 2008. Nella presentazione al testo il cardinale Dionigi Tettamanzi sottolinea il carattere missionario di papa Montini, citando la stupenda esortazione apostolica, “Evangelii nuntiandi” e proprio qui sta il cuore di Paolo VI, quello che non sa solo conoscere le pecore nell’ovile, ma va a cercare le altre, in una tensione che non deve avere tregua, spinta dall’amore.

 

Papa Montini amava con cuore pastorale, amava con cuore missionario. Tettamanzi coglie un aspetto dell’evangelizzazione che il libro sottolinea: è la gioia dell’evangelizzazione, alla quale papa Montini ha dedicato l’esortazione apostolica “Gaudere in Domino”, “è una gioia che tutt’oggi va ridestata e stimolata, - scrive il cardinale - soprattutto nelle non poche situazioni pastorali in cui la speranza sembra spegnersi”. Infatti, per Paolo VI, il cristianesimo è per certi aspetti pessimista, ma nello stesso tempo è anche ottimista, anzi, alla fine prevale sempre l’ottimismo, pertanto il papa invita i fedeli a fare “l’apologia della gioia cristiana”.

 

Saltiamo i primi tre capitoli del libro e passiamo subito al IV, quello del pontificato, che si colloca in un’epoca storico-ecclesiale di transizione e di mutamento, sia a livello civile che religioso. Dal benessere procurato dai vari “miracoli economici”, si può già intravedere la massiccia secolarizzazione di massa di tutte le società europee. Mentre nell’Europa orientale, le chiese cattoliche subiscono vere e proprie persecuzioni, da parte del totalitarismo comunista. Infatti, afferma il cardinale Casaroli, “Per la prima volta - nella storia stiamo assistendo a una lotta freddamente voluta e accuratamente preparata dall’uomo contro ’tutto ciò che è divino.

 

In Italia oltre alla secolarizzazione, la Chiesa deve affrontare il più forte partito comunista d’Occidente e si parla di “Chiesa assediata”. Intanto i vescovi italiani studiano il laicismo, producendo nel 1960 un documento profetico, col titolo appunto “Il laicismo”, dove si denuncia la scristianizzazione della società italiana ad opera del secolarismo. Il testo purtroppo è stato trascurato, se si fosse preso in considerazione si sarebbe potuto provare a scongiurare quella deriva sociopolitica e culturale che ha portato verso sinistra, tanto mondo cattolico.

 

Il 29 settembre Paolo VI apre il secondo periodo del Concilio Ecumenico Vaticano II, mettendo al centro Cristo, principio, via, guida, speranza, termine.  Il Concilio secondo papa Montini dovrà promuovere il rinnovamento interiore della Chiesa stessa, senza rottura con le sue tradizioni. I fini che egli assegna al Concilio sono pastorali, tuttavia,” viene celebrato per risvegliare, rinnovare, purificare, ammodernare, intensificare, dilatare la vita della Chiesa, che è in cerca di nuove vie per annunciare Cristo”. Inoltre, Paolo VI ricorda che tra le finalità assegnate da Giovanni XXIII “vi era la presentazione integra della dottrina cattolica e l’affermazione del Magistero della Chiesa; se essa rinvigorirà il suo Spirito, nello sforzo continuo di fedeltà a Cristo, avrà una fraterna e apostolica capacità di avvicinare l’uomo”.

 

Un tema che è stato spesso evocato durante il Concilio è trattato come un “feticcio” è quello dell’aggiornamento, il papa lo cita diverse volte durante il suo pontificato. Ma per Paolo VI, “l’aggiornamento nella Chiesa non implica un cambiamento, ma un progresso; col progresso una stessa cosa si accresce, col cambiamento diventa un’altra. Per il Papa deve crescere dunque l’intelligenza della verità, ma nella stessa dottrina”. Sono questi temi che poi spesso troveranno faticosa attuazione da parte del pontefice durante il concilio.

 

Altra parola feticcio è quella del dialogo, a questo proposito la Adornato, scrive: “E’ evidente che chi ha interpretato questo papa come moderno perché uomo del dubbio, ha travisato proprio l’interpretazione della teoria del dialogo, le cui radici affondano per i cattolici, secondo Paolo VI, nella conoscenza della verità e nella tensione alla conversione dell’interlocutore”. In un suo appunto sulla questione della libertà religiosa, il papa scrive: “Libertà religiosa (…) da stabilirsi nel: - dovere della ricerca della verità; - dovere dell’insegnamento della verità; - dovere della professione e della difesa della verità religiosa, che è oggettivamente una sola e che nella sua pienezza è quella della rivelazione cristiana, custodita e insegnata dalla santa Chiesa cattolica”.

 

In conclusione dei lavori del Concilio il Papa ricorda che “dottrinalmente egli non può che difendere il deposito che Cristo ha consegnato a Pietro ed esservi fedele, ricordando anche la fermezza di S. Paolo, l’apostolo dell’universalità della Chiesa: ma aggiunge che ‘le vérité est proche,  proche de l’amour’”. Il testo della Adornato dà conto dei tanti viaggi di papa Montini, un’anteprima rispetto a poi quello che è stato San Giovanni Paolo II. In particolare, si sofferma su quello in Terrasanta, ma ci sono anche quelli in Italia.

 Il Papa vede la spiritualità del Concilio accostata alla storia del Samaritano. Il Concilio “è un solenne insegnamento ad amare l’uomo per amare Dio e in questo senso tutto il suo svolgimento ha riguardato la glorificazione dell’amore di Dio (…)”.

 

Paolo VI nonostante la tentazione della vecchiaia, non intende riposarsi, quindi dopo il Concilio inizia nelle udienze generali del mercoledì una vera e propria catechesi per una corretta lettura dei suoi documenti, “il grande catechismo dei tempi nuovi”. Già il 6 dicembre 1965 comincia a precisare quale sia la vera “coscienza postconciliare” e mette in guardia chiarendo che cos’è stato il Concilio: “Il Concilio non ha inaugurato un periodo di incertezza dogmatica e morale, di indifferenza disciplinare, di superficiale irenismo religioso, di rilassamento organizzativo; al contrario esso ha voluto iniziare un periodo di maggiore fervore, di maggiore coesione comunitaria, di maggiore approfondimento culturale, di maggiore spiritualità ecclesiale”.

 

Papa Montini ha combattuto durante il suo pontificato per far interpretare in maniera giusta il Concilio, ha condannato sia la versione “progressista” che quella “tradizionalista”. L’interpretazione del Concilio è una battaglia che dura ancora, “la lettura del Concilio come “riforma nella continuità”, - scrive Invernizzi - ha faticato a imporsi e ancora oggi trova ostacoli a penetrare nell’opinione pubblica, in parte anche per la sudditanza nei confronti degli intellettuali della ‘Scuola di Bologna’, che si sono annidati nelle redazioni di molti mezzi di comunicazione da dove continuano a fornire la loro lettura dei fatti”.

 

 

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 14/06/2021