Gli svizzeri respingono la legge per il dimezzamento delle emissioni
Si è concluso in un clima festoso il vertice G7 a Carbis Bay, in Cornovaglia, nel Sudovest dell’Inghilterra, sotto la presidenza britannica.
“Agenda condivisa per una azione globale per ricostruire meglio": ecco il nome del documento elaborato al termine del vertice (il primo dallo scoppio della pandemia) dei capi di Stato e di governo del G7. In 25 pagine i leader tirano le conclusioni di tre giorni di lavoro su vaccini, Recovery, clima e multilateralismo, impegnandosi in un difesa delle prerogative dell’Occidente a non lasciarsi colonizzare dalla Cina, paese che, tra le altre carenze riscontrate, non rispetta i diritti civili.
Il piatto forte è stata la "Rivoluzione Verde", con l'impegno condiviso al rispetto dell'Accordo di Parigi, alla neutralità climatica entro il 2050 e alla riduzione di almeno il 50 per cento delle emissioni climalteranti entro il 2030, a cui si aggiunge l'obiettivo di proteggere almeno il 30% degli habitat terrestri e marini, sempre entro il 2030;
Infatti, anche tutte le altre questioni ruotano attorno al cambiamento climatico, vero, primo, quasi unico obiettivo della politica globale dei sette grandi. Tutto parla di natura al summit: dalla cerimonia di apertura, all'appello del segretario generale dell'Onu, Guterres, che parla di emergenza climatica, fino alle contestazioni di ecologisti che accusano i leader mondiali di non fare abbastanza. Cambiamento climatico è la coppia di parole in assoluto più ripetute dai leader presenti in Cornovaglia. Essi hanno citato stime su quanto le loro economie potrebbero perdere in caso di riscaldamento globale. Ma si tratta di proiezioni tutte teoriche.
Stranamente non hanno parlato dei costi (certi) delle politiche anti-riscaldamento globale. Per raggiungere e doppiare gli obiettivi annuali degli Accordi di Parigi, si è dovuto subire un 2020 di pandemia e lockdown. In soldoni ed al di fuori dei temi aulici e degli abbracci condizionati di Biden ai leader presenti, i costi delle ampollose dichiarazioni e degli impegni ribaditi, cadranno sulle spalle ignare dei cittadini europei.
Sugli stessi temi, domenica in Svizzera si è svolto un referendum e lo scenario è opposto.
La popolazione svizzera non vuole nuove norme e più tasse per ridurre le proprie emissioni. La maggioranza dell'elettorato ha così respinto la nuova legge sul CO2.
Dopo tre anni di dibattiti in Parlamento e una campagna che ha diviso sia il mondo economico che i movimenti per il clima, la nuova legge sul CO2 - considerata un pilastro della politica climatica della Confederazione - è stata respinta alle urne. Un po' a sorpresa, considerando il vantaggio dei favorevoli nei sondaggi, il testo è stato bocciato dal 51,6% dei votanti.
A far pendere l'ago della bilancia sono stati i Cantoni più rurali. La partecipazione al voto è stata del 58,9% degli aventi diritto.
Si tratta di una vittoria dell'Unione democratica di centro (UDC) , unico partito ad opporsi alla revisione in Parlamento. Secondo loro, la nuova legge era inefficace ed eccessivamente onerosa per cittadini e aziende: sarebbe costata alla collettività e all'economia dai 30 ai 40 miliardi di franchi e l'onere aggiuntivo per una famiglia di quattro persone sarebbe stato di almeno 1500 franchi all'anno, hanno detto.
La normativa aveva come obiettivo il dimezzamento, dei gas effetto serra, emessi dalla Svizzera rispetto al 1990, entro il 2030 conformemente agli impegni assunti nel quadro dell'Accordo di Parigi sul clima. Essa si basava in gran parte sul principio "chi inquina paga", con una ridistribuzione alla popolazione e alle imprese della maggior parte delle tasse riscosse.
Approvata dal Parlamento nel settembre 2020, la nuova legge conteneva misure relative ai veicoli stradali, al traffico aereo, alle emissioni industriali e al risanamento degli edifici. Prevedeva in particolare una tassa compresa tra i 30 e i 120 franchi sui biglietti aerei di voli in partenza dalla Svizzera, un incremento da 5 a 12 centesimi al litro del sovrapprezzo che gli importatori di carburanti avrebbero potuto applicare a benzina e diesel e un aumento della tassa CO2 sul gasolio.
Una legge ritenuta giustamente sbagliata.
Il fatto che un'approvazione avrebbe aumentato i prezzi per chi si muove in auto, per il riscaldamento e le vacanze è stato recepito, si è rallegrato il deputato dell'UDC Mike Egger, aggiungendo che una legge con così tanti articoli è tutt'altro che liberale e ingabbia l'economia. L'influenza a livello globale della Svizzera, che ha già fatto molto per la protezione del clima, è piccola, ha detto.
La bocciatura di domenica scorsa è stata accolta con soddisfazione anche da una parte degli attivisti per clima. "La legge sul CO2 andava nella direzione sbagliata: prendeva di mira le persone e tralasciava i grandi inquinatori", ha commentato a Keystone/ATS Franziska Meinherz, del comitato referendario per un'ecologia sociale.
"Il risultato mostra che la popolazione non vuole misure che provocano un rincaro" nella vita di tutti i giorni, ha detto Meinherz, membro del collettivo Sciopero per il clima. La legge, ha aggiunto, avrebbe definito la politica climatica per dieci anni e la Svizzera avrebbe proseguito sulla sua traiettoria attuale. A suo avviso, per raggiungere la neutralità climatica già nel 2030, come chiede il collettivo, bisogna innanzitutto intervenire nei settori che generano più emissioni.
Anche il governo svizzero riconosce le carenze della legge bocciata dal referendum.
"La proposta era probabilmente troppo carica", ha dichiarato in conferenza stampa la ministra dell'ambiente Simonetta Sommaruga. Le proposte troppo ampie fanno sempre fatica a imporsi in quanto possono essere attaccate su molteplici aspetti, ha detto. La bocciatura odierna è un 'no' alla legge sul CO2, non un 'no' alla protezione dell'ambiente, ha sottolineato, riconoscendo tuttavia che ora diventa più difficile raggiungere gli obiettivi. Nella piccola, ma democratica Svizzera è nato un dibattito. Se ne è parlato diffusamente e, nonostante il voto parlamentare, il popolo ha deciso.
In Europa, sino ad ora nessuno è intervenuto a tutela del contribuente ed il dibattito non si è allargato, ma è rimasto ingessato nelle lobby ambientalste,. Se gli impegni del G7 troveranno attuazione, per mantenere questo ritmo, da qui al 2050, occorrerebbe l'equivalente di un lockdown delle maggiori economie mondiali ogni due anni. Ciò comporta una perdita di competitività rispetto a potenze emergenti che non applicano politiche climatiche (se non sulla carta e a modo loro), fra cui soprattutto la Cina.
Se lo scopo del G7 è vincere la competizione con la Cina e al tempo stesso quella di fermare il cambiamento climatico, arriverà il momento della scelta, prima o poi. Si vedrà cosa interessa realmente di più.
Sorge una domanda che non è prematura. Se oggi i popoli europei dovessero valutare i deliberata del G7, quale sarebbe il risultato?
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Articolo pubblicato il 15/06/2021