La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Bussa alla porta l'assassino, con un mazzo di gladioli

Siamo in Borgo San Donato, al civico 42 di via Principessa Clotilde, in un elegante palazzo affacciato sulla piazza Barcellona. È il 10 agosto 1978 e siamo in piena stagione estiva. Verso le 16:00, due inquiline del secondo piano salgono al quarto per controllare l’appartamento del fratello di una di loro, partito per le ferie. Le due donne notano che la porta dell’appartamento dirimpetto a quello del fratello, dove abita la signora Irma Quaranta, è socchiusa e lo zerbino è in mezzo al pianerottolo.

Allarmate, le due donne scendono, chiamano un vicino, che sale, entra nell’appartamento, ispeziona le stanze, in grande disordine e, scopre il corpo della padrona di casa, legato sul letto. L’uomo chiama la Polizia. Gli agenti della volante sperano che la donna sia ancora viva, tagliano lacci e bende, tentano di farle bere un po’ d’acqua. Ma quando il corpo si accascia scivolando dalle loro mani, devono arrendersi. Arrivano i funzionari e il medico legale.

La morta è Irma Quaranta vedova Sacchi, di 68 anni. Originaria di Saint Front, nel Cuneese, abitava a Torino da oltre quarant’anni. Col marito, morto sei anni prima, ha gestito un negozio di casalinghi in via Mazzini angolo via Fratelli Calandra. Una bottega sempre in espansione, nota e apprezzata anche in provincia che Irma ha continuato a tenere in attività anche dopo la perdita del marito. «Era una donna energica, forte e coraggiosa - dicono i vicini - che ha lavorato fino a quando le forze l’hanno sorretta».

All’inizio dell’anno ha ceduto la bottega, dopo lunga riflessione, e si è ritirata nel suo alloggio di via Principessa Clotilde, dove era andata ad abitare fin dalla sua costruzione nel 1935: silenzioso e tranquillo, con mobili antichi e austeri quadri alle pareti. Si recava talvolta dai parenti e, di recente, aveva trascorso tre settimane a Villar Perosa. Alla fine di luglio era tornata a Torino e si dedicava, quasi in modo maniacale, alla pulizia della casa, che teneva lucida come uno specchio.  

Ogni mattina, intorno alle 11:00, era solita uscire per la spesa. Lo ha fatto anche il giorno della sua morte, ha girato per mezz’ora fra le bancarelle del mercato di Piazza Barcellona. Ha comperato frutta e verdura, è rientrata alle 11:35. Ha parlato con un ambulante da cui si serviva abitualmente e con una vicina.

Sono gli ultimi che l’hanno vista viva.

Irma Quaranta ha portato i pacchi in cucina, ha sistemato gli acquisti in frigo. Per sfaccendare in casa si è spogliata e ha indossato una vestaglia azzurra a pois e comode ciabatte.

Per gli inquirenti è facile riscontrare come l’assassino si sia introdotto in casa: a ora imprecisata, è arrivato con un mazzo di gladioli multicolori, rimasti a terra sull’uscio di casa, ancora avvolti in un foglio di carta trasparente, tenuti assieme da un sottile filo di ferro. Quando Irma gli ha aperto la porta, l’ha aggredita, trascinata in camera e legata al letto, premendole sulla bocca un paio di calze. Lei è morta, soffocata dal bavaglio, mentre il malfattore, forse con l’aiuto di un complice, ha messo sottosopra l’appartamento nel palazzo semivuoto.  

Irma ha fatto blindare la porta e installare tre serrature con robusti chiavistelli, ma non ha pensato a uno spioncino. Due catenelle le permettevano di socchiudere appena l’uscio, ma per vedere chi suonava o bussava, doveva sempre aprire. Probabilmente ha fatto così, ma vedendo il mazzo di gladioli ha finito per aprire la porta. Anche se energica, diffidente, sospettosa - secondo le definizioni dei vicini e dei parenti - ha finito per aprire la sua porta blindata come ipnotizzata da quel mazzo di fiori.

Un momento di curiosità pagato con la vita.

Si cercano i fratelli della donna. Viene rintracciato l’ingegner Ernesto, di 63 anni, dirigente industriale, residente a Moncalieri. Ermelinda, di 66 armi, titolare di un’agenzia d’investigazione, è in vacanza in Sardegna, e giungerà a Torino soltanto in un secondo tempo.

Cominciano a emergere le difficoltà di questa indagine.

L’unica traccia in mano alla Polizia, il mazzo di fiori usato per farsi aprire, presto si rivela inutile.

Cosa ha rubato l’assassino? Nessuno è in grado di dirlo, nemmeno il fratello («Raramente parlavamo dei suoi affari») e la sorella («In casa non teneva mai denaro o gioielli»), tanto meno i coinquilini («Pochissimi di noi sono entrati qualche volta in casa sua»). Forse non lo si saprà mai.

Il comportamento iper-riservato della signora non è l’ideale per una fruttuosa indagine.

L’assassino aveva saputo della cessione del negozio e sorvegliava da tempo la sua vittima, per studiarne le abitudini? Oppure si tratta di un maniaco che terrorizza le donne sole? Il disordine dei cassetti aperti, delle cassepanche sottosopra fa addirittura pensare che gli aggressori fossero almeno due.

L’autopsia chiarisce l’ora e le modalità della morte. Irma ha pranzato verso le 12,30 e la sua morte è ricondotta intorno alle 16:00, poco prima della scoperta del suo corpo da parte delle vicine.

È morta soffocata: il rapinatore l’ha spinta con violenza, facendola cadere. Probabilmente è rimasta tramortita. È stata trascinata nel letto con una mano premuta sul viso, legata e imbavagliata con tre calze di nylon annodate dietro la nuca. Era priva di sensi, altrimenti avrebbe tentato disperatamente di strappare il bavaglio che la soffocava: non le sarebbe stato difficile, perché aveva le mani legate con un metro da sarto, sul petto, non dietro la schiena, e le gambe impastoiate con una camicia fatta a brandelli.

Il rapinatore non voleva ucciderla, l’ha legata mani e piedi per immobilizzarla.

La ricostruzione della Polizia fornita dai giornali propende per un furto finito male, compiuto da almeno due uomini, uno dei quali conosceva bene le abitudini di Irma Quaranta. Nessun ulteriore elemento verrà a confermare o smentire questa ipotesi. Nel giro di pochi giorni l'interesse giornalistico per il caso viene a calare per poi esaurirsi dopo che Stampa Sera ha trovato un precedente caso analogo, avvenuto a Oulx nel 1971 (*).

Le indagini si arenano e Irma Quaranta entrerà nei periodici elenchi giornalistici di casi insoluti di donne uccise in casa da assassini rimasti sconosciuti.

 

Uno di questi elenchi è già comparso in concomitanza con la sua morte: La Stampa e Stampa Sera ricordano casi analoghi di donne uccise, insoluti, in primo luogo l’omicidio di Maria Carli, una pensionata che la settimana precedente è stata soffocata con un cuscino nel suo letto, nel suo alloggio di via Serrano 2, in Borgo San Paolo.

Seguono considerazioni sull’uccisione di donne sole, anziane, sole e indifese nella grande città che d’estate si svuota: due casi nel 1978, tre nel 1977, altri nel 1976, uno nella stessa via Principessa Clotilde, al civico 12.

Nei vari casi alcune situazioni differiscono, le analogie si trovano nella scelta della vittima, sempre anziana, e del luogo, in palazzi semivuoti, dove le invocazioni d’aiuto non sono udite. Le tracce sono labili, insufficienti e l’assassino è sempre riuscito a evitare la cattura. Così la paura cresce e diventa incubo. Ma i giornali mentre rievocano il clima di paura cittadino ci tengono anche a precisare che se Irma Quaranta è la quinta donna uccisa in casa in meno di due anni, non tutti questi delitti sono opera della stessa mano.

Comunque sia, il caso dell’uccisione di Irma viene archiviato come delitto “ad opera di ignoti”.

Viene da chiedersi cosa pensasse lei del caso della donna uccisa in via Principessa Clotilde 12 qualche anno prima, del quale doveva essere, almeno vagamente, al corrente.

 

(*) Camilla Faure, pensionata di 61 anni, è stata trovata il 21 ottobre 1971 morta soffocata con mani e piedi legati e un bavaglio alla bocca, nel suo alloggetto, in viale degli Alpini 1, vicino alla Stazione Ferroviaria di Oulx, in Alta Valle di Susa. Sul tavolo della cucina si trova un mazzo di rose rosse, ancora avvolto nel cellophane, usato come pretesto per farsi aprire la porta dalla Faure, anziana, sola e diffidente. La donna aveva venduto un mese prima alcuni terreni e ne aveva ricavato alcuni milioni. L’alloggio è sottosopra ma non si è potuto accertare se vi fossero oggetti d’oro. Come nel caso di Irma Quaranta – scrive Stampa Sera – si tratta di donne sole, tradite nella buona fede, per la piacevole sorpresa di ricevere dei fiori; vi è stato un bottino insignificante e l’omicidio, non previsto dagli aggressori, è stato conseguente all’uso del bavaglio.

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Articolo pubblicato il 17/06/2021