
Pensieri liberi sulla visione dell'Universo di Dante Alighieri
La Divina Commedia, la Vita Nova ed il Convivio rappresentano delle autentiche miniere traboccanti di dati, di metafore, di allegorie e simboli, che inducono gli studiosi ad immergersi nel pensiero del più grande Poeta della storia.
In occasione delle celebrazioni per il settimo centenario dalla Sua morte, che avvenne, il 14 settembre 1321, si sono tenuti a ritmo serrato convegni, conferenze e approfondimenti pubblici, spesso utilizzando il nuovo strumento della “visione digitale”.
Un “effetto collaterale” della presenza di un virus che ha sicuramente cambiato molte delle nostre abitudini.
Conferenze on-line alle quali hanno potuto partecipare migliaia di persone, pubblicate successivamente sul web per consentire a chiunque di vederle o rivederle, sembrano aver sostituito le sale gremite con poche decine o forse qualche centinaio di individui.
Durante questi convegni abbiamo ascoltato numerosi studiosi descrivere con argomentazioni dettagliate, le proprie posizioni su un tema difficile e spinoso come quello della autentica fede religiosa di Dante.
Il Poeta sembra essere impermeabile alle riflessioni di letterati, filosofi e teologi, rendendo pleonastiche le loro affermazioni, a volte ridicolizzandole.
Dante seguace di Tommaso d’Aquino? Dante eretico cataro? Dante gnostico? Fedele d’Amore, Templare, Alchimista… Mago???
L’illusione, dovuta alla propria supponenza, ci induce a classificare l’inclassificabile, a circoscrivere nelle proprie convinzioni pseudo culturali, chi, come Dante, è assolutamente indecifrabile e inavvicinabile.
La Commedia, ad esempio, dovrebbe essere intesa analizzando tutti i sopracitati aspetti dello scibile, e molti altri, evitando le nefaste conclusioni semplicistiche che a partire dai banchi di scuola, sembrano infettare con la propria virale stupidità coloro che si avvicinano al Poeta per comprenderlo.
Il punto in effetti è proprio questo.
Come può essere possibile avere l’arroganza di pensare di comprendere un Poeta come Dante?
Solo un vero genio potrebbe tentare nell’impossibile impresa di svelare l’autentico pensiero, un genio che dovrebbe essere in grado di produrre, egli stesso, un capolavoro analogo al suo.
Un genio che dovrebbe possedere una cultura storica, scientifica e umanistica pari alla sua, una capacità creativa straordinaria da farlo innalzare alla gloria già in questa vita… proprio come successe a Dante.
Tornando alle considerazioni suggerite all’inizio nel Lavoro del Poeta troveremo delle affermazioni declinate dai dannati che potrebbero essere tanto false quanto vere. Le ipotesi, ad esempio, sulla trascendenza o immanenza di Dio, che tanti cervelli hanno fatto letteralmente fondere, restano senza apparente risposta.
Da un lato Tommaso d’Aquino propone una visione cristiana ove Dio risulterebbe essere una presenza trascendente, tale ipotesi sarebbe dimostrata dal fatto che Dante "vede" realmente il volto di Dio, quindi si potrebbe essere indotti a pensare che il Creatore si trovasse in un punto noto del Paradiso, in un angolo del Cielo ben preciso e geograficamente identificato.
Eppure, Dante, sembra prendersi gioco di tale banalissima interpretazione offrendo una insolita chiave di lettura del Paradiso a tutti coloro che non si accontentano delle prime interpretazioni:
nella prima terzina del I Canto del Paradiso leggiamo:
La gloria di colui che tutto move
per l’universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
Nell’ultima terzine e nel verso orfano del XXXIII Canto del Paradiso leggiamo:
A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle.
Trovare nel primo e nell’ultimo verso della Cantica la parole “move”, conoscendo un poco Dante, sembra evidentemente una voluta coincidenza.
In effetti come molti critici hanno notato, Dante, apre e chiude un cerchio che rappresenta la vera metafora del Paradiso.
Un cerchio non ha inizio e fine e non presenta un punto preciso che possa identificare sulla circonferenza né il Creatore, né qualsiasi espressione di trascendenza.
…per l’universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
Per coloro che nutrissero dubbi a riguardo basti la semplice lettura di questi versi che seguono il primo.
La Presenza di Dio è percepita in tutto l’universo, con delle gradazioni che sono il frutto delle potenziali capacità di comprensione dei singoli esseri che popolano il Creato.
Sembra chiaro che al centro della Terra, il punto più fondo e oscuro dell’Universo, la presenza divina possa essere difficilmente percepita, ma questo è solo un problema del percipiente… non di Dio…
Nell’illuminante commento della compianta Anna Maria Chiavacci Leonardi, leggiamo a proposito degli ultimi versi:
…ma già volgea…: ma anche se non si vede più, ora che la visione si è dileguata dalla sua mente, egli è ormai già stabilito nell’eterno e non mutabile stato d’amore che volge intorno a Dio l’universo. Quello stesso amore che muove gli astri (quindi eternamente uguale) volgeva il mio desiderio e la mia volontà come una ruota che si muove di moto uniforme…
La presenza pervasiva del Creatore non è forse sinonimo di immanenza?
Una risposta corretta, a mio modesto avviso, potrebbe essere: anche!
Per definire Dio dovremmo esser come Lui o più grandi di Lui.
Una pulce non potrà mai avere una precisa idea di come sia fatto un elefante anche se è nata e vissuta sulla sua spessa epidermide.
Limitiamoci quindi a studiare e ad approfondire sia Dante che Dio senza l’arrogante pretesa di comprende né l’uno né l’Altro.
Giordano Bruno qualche secolo dopo il Poeta giunse alla felice conclusione che Dio fosse Immanente e Trascendente al tempo stesso, forse parafrasando i mistico cabalista Moses Cordovero, che nel XVI secolo pubblicò il Pardes Rimonim, il Giardino dei Melograni, descrivendo il concetto di divinità, Ayn Soph, come un’Entità così indefinibile da non essere neppure lontanamente determinabile …
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Articolo pubblicato il 17/06/2021