Elezioni in Iran : vince l'estremismo Sciita

La tredicesima elezione presidenziale premia l'ultraconservatore persiano Ebrahim Raisi

La ex terra degli "Shahan Shah" (Re dei Re), si trova, dopo la rivoluzione del '79, sotto una delle più cruente e sanguinarie teocrazie islamiche della Storia. 

Ieri si è tenuta la tredicesima elezione presidenziale nella Repubblica Islamica dell'Iran. Purtroppo molte speranze di cambiamento sono state disattese. 

La popolazione, pressata da una forte propaganda anti-occidentale, ha votato in maggioranza(nonostante la scarsa affluenza alle urne) per il leader più estremista del Medio Oriente: Ebrahim Raisi.

Per Costituzione(si fa per dire), il presidente iraniano è il più alto funzionario eletto direttamente nel paese, il capo del Potere esecutivo e il secondo funzionario più importante dopo il leader supremo. I suoi doveri sono simili a quelli dei capi di stato in altri paesi, tranne per il fatto che le forze armate, il Potere giudiziario, la televisione di stato e altre importanti organizzazioni governative sono tutte sotto il controllo del massimo leader religioso sciita, ovvero la guida suprema (Rahbar) e ayatollah Khamenei. Il quale guida il Paese dal '79. 

L'Ayatollah ha il compito di nominare i sei membri religiosi del Consiglio dei Guardiani della Costituzione, il quale approva le candidature alla presidenza della repubblica (il suo giudizio è insindacabile) e certificare la loro competenza e quella del Majles, al pari delle più alte cariche giudiziarie. La guida suprema è inoltre comandante in capo delle forze armate. In sua assenza il potere è esercitato da un consiglio di capi religiosi, scelti da un'assemblea di esponenti religiosi sulla base del loro curriculum e del grado di stima goduto presso la popolazione.

Questo stato di cose rende quindi qualunque presidente in carica un fantoccio nelle mani dell'Ayatollah e del Consiglio dei Guardiani.

I poteri, molto estesi, della Guida Suprema sono elencati nell’articolo 110 della Costituzione iraniana. Tra le varie funzioni, oltre a supervisionare ed indirizzare il sistema politico iraniano, la Guida è Comandante in capo delle forze armate, controlla gli apparati di sicurezza e le principali fondazioni religiose (Bonyad), affida e revoca l’incarico del Capo del sistema giudiziario, del Capo di Stato maggiore dell’esercito regolare (Artesh), del Comandante del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (Pasdaran), del Capo della Polizia, del Presidente delle emittenti radiotelevisive nazionali e dei giuristi del Consiglio dei Guardiani della Costituzione.

Nei regolamenti interni è previsto che può registrarsi come candidato presidenziale qualsiasi cittadino iraniano nato in Iran che crede in Dio e nella religione ufficiale dell'Iran (Islam Sciita), che sia sempre stato fedele alla costituzione(ovvero alla figura dell'Ayatollah) e che abbia almeno 40 anni e non oltre i 75. 

Un'organizzazione chiamata Consiglio centrale per la supervisione delle elezioni presidenziali, sotto gli auspici del Consiglio dei guardiani, si occupa di esaminare l'idoneità dei candidati registrati e seleziona un numero da candidare. In questo perenne status dittatoriale, la propaganda di Regime ha fatto leva su due concetti fondamentali: Il primo è che i presidenti precedenti renderebbero instabile il Paese, poichè non durerebbero a lungo per motivi anagrafici; il secondo è che fin'ora il vecchio presidente è stato troppo accondiscendente verso l'Occidente "corrotto" ed "infedele".  Ebrahim Raisi, invece, è stato fin da subito presentato dai "grandi" interpreti della Sharia come il condidato ideale per giudare l'Iran verso una terza fase di Islamizzazione, la quale prevederebbe una ancor più radicale restrizione delle libertà individuali. 

 

Il difficile rapporto con gli Stati Uniti

 

L'elezione presidenziale in Iran incombe su Washington mentre tratta con Teheran per riportare gli Stati Uniti nell'accordo sul nucleare. "Vedremo cosa succederà", ha detto la vice segretario di Stato Usa Wendy Sherman, durante un evento del German Marshall Fund, ammettendo che le elezioni potrebbero "complicare" i progressi fatti nelle ultime settimane di trattative a Vienna.

Raisi, favorito alla successione di Hassan Rohani, che con Barack Obama aveva firmato nel 2015 il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) dal quale Donald Trump nel 2018 è uscito, è stato sanzionato dagli Stati Uniti nel 2019 per violazione dei diritti umani, compresa l'esecuzione di minori e le torture di prigionieri. Raisi, capo della magistratura iraniana sostenuto dall'ayatollah Khamenei, è stato coinvolto anche nella brutale repressione delle proteste del Movimento Verde, ragazzi e ragazze dei quali non si sa più nulla.

Washington naturalmente non negozierebbe direttamente con il presidente iraniano ma la sua elezione rafforzerebbe anche le critiche alla Casa Bianca negli Stati Uniti perché Biden viene considerato troppo morbido con Teheran.

I repubblicani sono contrari al rientro degli Stati Uniti nell'accordo nucleare mentre funzionari americani parlano di passi avanti concreti, con il team a stelle e strisce guidato dall'inviato speciale per l'Iran Robert Malley.

Il nuovo presidente entrerà in carica ad agosto, mentre l'Iran cerca di salvare il suo logoro accordo nucleare con le maggiori potenze e di liberarsi dalle sanzioni punitive degli Stati Uniti che le hanno provocato una brusca recessione economica, i diplomatici iraniani sono stati impegnati in colloqui per rilanciare l'accordo nella capitale austriaca, Vienna. 

La partita sul nucleare iraniano è ancora aperta, nonostante gli ammiccamenti dei Lib-dem, lo stesso Biden dovrà fare i conti con un Pentagono che mai vedrà di buon occhio una minaccia dell'Mondo libero.

 

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Articolo pubblicato il 20/06/2021