
Tributo a un personaggio del passato abbastanza sconosciuto.
Rudy, il nome d’arte di Rodolfo Pietro Filiberto Raffaello Guglielmi, uno scapestrato giovanotto imbarcato sul Cleveland da Genova nel dicembre 1913 per raggiungere New York il 23 dello stesso mese: un ragazzino che aveva compiuto diciotto anni da poco, ma che aveva già dimostrato la sua inquietudine e la poca adattabilità alle regole di un’Italia meridionale dalle tradizioni secolari. Il padre, veterinario, era morto in giovane età lasciando la famiglia senza una figura maschile che potesse dare un metodo educativo efficace per l’esuberanza adolescenziale di chi dimostrava di essere “anomalo” nel senso di ipercinetico e volontà di divertimento.
Già durante la navigazione il giovane Rudy aveva scritto alla madre una preziosissima lettera nella quale emergeva il nucleo di quello che sarebbe stata la sua carriera di seduzione attraverso la danza. Raccontava di due signorine che gli avevano insegnato dei nuovi passi e la cui conoscenza lo aveva portato a cambiare il biglietto di seconda classe per viaggiare in prima, dove tutto “era molto diverso”.
Dall’arrivo nella Grande Mela al contatto per il film “I quattro cavalieri dell’Apocalisse” nel 1921 non tutto era stato idilliaco: cameriere, giardiniere, taxi-dancer, comparsa con ruoli di personaggio spregevole, ma soprattutto focoso italiano immigrato con tanta voglia di emergere e dimostrare il proprio fascino… fortemente caratterizzato da segno del Toro, dove Venere impera.
Proprio sull’immagine del toro che ci sembra doveroso far luce.
Il Toro, immagine archetipica della Grande Madre ha un significato profondo nella sua vita in quanto, se da una parte è all’Amore che fa riferimento, non bisogna dimenticare l’Hathor egizia che accoglie le anime dei morti nell’Aldilà: inno alla vita e alla vita oltre alla vita.
Non c’è dubbio che Rudy abbia avuto una vita ben maggiore dopo la sua morte, avvenuta nell’agosto 1926 a soli 31 anni.
La causa? Una peritonite, una ferita nell’intestino che ricorda molto la tragedia del torero Gallardo, interpretato in “Sangue e Arena”, il film tratto dall’omonimo romanzo di Vicente Blasco Ibáñez.
Raccontano, infatti, di quanto l’attore fosse stato attratto da questo personaggio, tanto da aver frequentato precedentemente più di una corrida e di aver collezionato oggetti riferiti allo spettacolo.
Un personaggio che lo avrebbe “risucchiato” e da cui non sarebbe riuscito a liberarsi completamente: il discorso sulla “possessione” di una Musa negli artisti sarebbe davvero troppo lungo, anche se estremamente interessante!
Inoltre il legame spezzato con Natasha Rambova, una Grande Madre molto introdotta nel gruppo di studio “La società Teosofica” (fondato da Madame Blavasky unitamente al colonnello Henry Steel Olcott) aveva influito negativamente sul suo stato di salute e lo aveva portato anche all’assunzione di farmaci poco idonei.
Natasha Rambova era stata, oltre che moglie, sua manager imponendo il rifiuto di copioni troppo banali e commerciali - a suo dire - per il personaggio che intendeva fare emergere: lo scontro con la dirigenza della Paramount era costata a Valentino l’allontanamento dal set, ma la tournée di danza, sponsorizzata dal di lei padre, aveva avuto un tale successo da indurre la United Artist a ripristinare il contratto.
Sfortunatamente per lui, però, la seguente accettazione dell’allontanamento dal set di Natasha in cambio di un contratto assai remunerativo economicamente, gli costò il divorzio e il seguente decadimento psico-fisico.
A Natasha è riferito l’avvicinamento spirituale di Valentino al mondo magico di cui pochi hanno parlato: di lui si sottolinea la bellezza, il fascino, la perfezione interpretativa, a volte la presunta bisessualità (come se fosse diventato un mito per questa “dote”), ma raramente si sottolinea il nucleo della personalità, quello legato alla Bellezza in senso assoluto.
Una bellezza completamente diversa dall’archetipo maschile fino allora imperante nell’inconscio collettivo e soprattutto nell’industria cinematografica: lo yankee biondo con gli occhi azzurri viene soppiantato da un uomo bruno dallo sguardo magnetico e un’ambiguità esplosiva per il mondo femminile.
In questa destabilizzazione antropologica del genere maschile è più che comprensibile la marea di odio (compensazione dell’amore sviscerato che suscitava) verso un immigrato italiano e le conseguenti diffamazioni del tutto inaccettabili per un uomo del Sud, con idee ben radicate e poco disposto a lasciarsi definire “piumino rosa”.
Un uomo dalla sensibilità profonda la cui scrittura viene confessata come “dettatura” da parte di esseri invisibili: testimonianza di questa sua particolarità sono le poesie raccolte in “Day dreams” la cui traduzione in italiano, pubblicata nel 1995 in occasione del Centenario della sua nascita a cura di Antonio Miredi per Il Mondo delle Idee, ha riscosso notevole successo.
“Miraggio” è il documento scritto di quel suo sospiro verso l’infinito:
Felicità, tu ci attendi
appena oltre,
appena oltre.
Non sappiamo
né dove né come
ti troveremo.
Ma tu attendi, attendi,
appena oltre.
Per onorare ulteriormente la figura di questo personaggio, diventato un mito non solo per un’immagine superficiale e tutt’altro che banale, abbiamo istituito nel 2008 il premio letterario di poesia biennale “Rodolfo Valentino - Sogni ad occhi aperti” giunto oggi alla sua settima edizione.
Il premio si propone di offrire riconoscimento e risonanza a quegli scrittori che intendono sperimentare la propria creatività in ambito letterario affrontando le tematiche che hanno contraddistinto la vita e la figura di Rodolfo Valentino, un uomo entrato nel mito attraverso l’immagine; in realtà poco conosciuto nella sua vera essenza di attore, poeta, intellettuale e ricercatore.
Argomenti del premio letterario sono il mito e l’amore realizzati attraverso poesia e racconto breve. Nelle ultime quattro edizioni abbiamo inoltre dedicato una sezione ai landays, distici composti da poetesse italiane in omaggio alle donne afgane pashtun che adottano questa formula orale per denunciare le violenze a cui sono sottoposte. Antesignana del movimento in Italia è stata Vittoria Ravagli, insieme alla quale e ad Antonella Barina ho curato la prima raccolta - edita da Neos Edizione - presentata qui a Torino con una manifestazione sulla scalinata della Gran Madre nel settembre 2018.
La cerimonia di consegna del premio avverrà sabato 26 giugno alle 17 nel giardino dell’Unione Industriale alla presenza dei vincitori giunti da tutta Italia: Fabia Baldi per l’edito, Raffaela Fazio per l’inedito, Fernanda Ferraresso per i landays e Angelo Gaccione per il racconto. Un premio alla carriera è destinato a Corrado Calabrò, poeta e uomo pubblico nell’ambito della Magistratura, plurinominato al Nobel per la Letteratura.
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Articolo pubblicato il 24/06/2021