Tre giorni a Levanto

Di Ezio Marinoni (prima parte)

Sono in viaggio da un’ora e mezza, mi fermo all’area di servizio di Sant’Ilario: è un piccolo spazio ricavato tra la striscia d’asfalto e lo strapiombo verso il mare, recintato per motivi di sicurezza da un’alta griglia di metallo. Attraverso le sue maglie si intravede il mare in basso, in lontananza, un azzurro indefinito che si mescola alla bruma del primo mattino. C’era una piccola stazione ferroviaria là sotto (ora abitazione privata), dove il giovane Fabrizio De André forse vide scendere una procace ragazza che passerà alla storia con il nome poetico e ammiccante di Bocca di Rosa, immortalata in una delle sue canzoni più famose.

Esco dall’autostrada al casello di Carrodano, un luogo disegnato in mezzo al nulla, con uno sparuto gruppo di case e un palazzo in abbandono.

A Levanto si presenta il variopinto mondo di una domenica estiva e calda di mare, dopo la lunga parentesi buia della pandemia covid 19 è tornata la voglia di vivere e di divertirsi.

La vecchia stazione ferroviaria, dismessa e fatiscente, è puntellata da impalcature. Qui il treno passava accanto al mare, una meraviglia tecnica in armonia con l’ambiente che stupiva i turisti. Tutto è stato estirpato, una nuova linea costruita a monte, scomoda e in un grigio anonimato, una operazione finanziaria che ha cementificato altro suolo e lasciato le stazioni inutilizzate in abbandono. Un simile scempio è stato condotto a danno della “Ferrovia dei Cipressi”, nel Ponente ligure fra Sanremo e Imperia.

Mi affaccio subito nella libreria di Levanto, gestita da Corrado Oppecini che consta di due vetrine su via Dante e dedica una forte attenzione al territorio e alla storia di Levanto e dei suoi dintorni. I genitori di Corrado avevano aperto una cartoleria nel 1958, vicino all’attuale ufficio postale, lui ha proseguito e ampliato l’attività di famiglia, che ora rappresenta un marchio di qualità per i lettori.

Raggiungo la località Mesco dopo una lunga salita su una stretta stradina che si inerpica fra uliveti e qualche superstite muretto a secco.  A lato dell’albergo Giada del Mesco, che sorge alla sommità, un cartello bianco e rosso segnala l’inizio del sentiero verso le Cinque Terre, Monterosso e il Podere Case Lovara (gestito dal FAI, dopo un lungo e minuzioso recupero ambientale). La sua casa padronale e quella dei mezzadri erano prive di acqua, luce e gas; i materiali per la ristrutturazione sono stati trasportati in elicottero per l’assenza di una strada di collegamento.

Vedo Punta Mesco sotto di me, isolata e selvaggia, battuta dai flutti del mare, un luogo impervio che aveva fatto innamorare di sé il poeta Eugenio Montale.

Dove il paese si conclude in un promontorio, spicca sull’alto Villa Agnelli, un corpo di fabbrica quadrato con tetto rosso a spioventi, due piani di finestre e tre oculi nel sottotetto. Dal lungomare una rampa elicoidale, vago ricordo dello stabilimento Fiat Lingotto, conduce alla villa. Una seconda costruzione grigia su due piani sorge alla sua sinistra. Poco sopra l’ingresso è la casa dei custodi. Il grande parco attiguo, ora aperto al pubblico, era in origine il giardino privato del complesso. In corrispondenza, si affaccia sul mare un lungo edificio rosa, che fungeva da imbarcadero per la famiglia Agnelli, con un porticato sul mare e la discesa verso gli scogli.

Tuttora proprietà di famiglia, è stata la residenza marina degli Agnelli, in concomitanza con Villa Costanza nella più mondana località di Forte dei Marmi; salvo poi svendere questa seconda proprietà nel 1969 per “dimenticare” la passione proibita di Virginia Bourbon Del Monte, madre di Giovanni e Umberto Agnelli, per Curzio Malaparte (ma questa è un’altra storia, forse da non raccontare).

Nel 2020 Levanto ha concesso la cittadinanza onoraria a Daniele Camerana, uno degli eredi di casa Agnelli, con la seguente menzione: “Per le sue esemplari doti imprenditoriali che offrono un virtuoso esempio di operosità, onestà e professionalità. Dalla passione per lo sport all’amore per la natura, ha conservato un vincolo speciale con il nostro territorio che lo ha portato a scoprire una nuova dimensione dedicandosi all’attività agricola all’insegna dei valori più autentici e genuini”.

La passione e il legame con il territorio sono il valore aggiunto che ha permesso a questa baia solitaria di mantenersi quasi inalterata nel tempo, dagli anni eroici dello sviluppo imprenditoriale italiano fino ad oggi. I turisti e le lingue straniere non fanno pensare alla globalizzazione, soltanto all’interesse di tante persone verso un luogo magico.

@Ezio Marinoni

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Articolo pubblicato il 03/07/2021