Il lavoro non è una variabile indipendente

Quel che il governo non dovrebbe dimenticare

Noncuranti delle conseguenze del covid, ma anche della ripresa dell’economia e delle difficoltà di molte aziende leader e non solo che non riescono a trovare lavoratori specializzati, il governo si è in gran parte piegato ai diktat del sindacato.

 

Il Decreto Lavoro, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 155 del 30 giugno 2021, ha rinnovato la disciplina su blocco licenziamenti e cassa integrazione.

 

In particolare ha introdotto le seguenti novità: proroga del blocco licenziamenti e della CIG Covid fino al 31 ottobre solo per i settori più in crisi, ovvero industrie tessili, delle confezioni di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e pelliccia, e delle fabbricazioni di articoli in pelle e simili, identificati, secondo la classificazione delle attività economiche Ateco2007, con i codici 13, 14 e 15.

 

Tali  imprese che, a decorrere dalla data del 1° luglio 2021, sospendono o riducono l’attività lavorativa possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale per un massimo di 17 settimane nel periodo indicato.

 

L’accordo sul superamento del blocco dei licenziamenti è un passo avanti rispetto a una misura inutile nel breve termine e dannosa nel lungo, ma tradisce l’assoluta sottovalutazione dei danni che questo provvedimento può causare. Gli  interventi timidi e condizionati in materia di lavoro, hanno in comune un’assunzione implicita: che il lavoro sia una variabile indipendente.

 

Purtroppo (o per fortuna) non è così. Il lavoro è uno degli ingredienti della produzione. Ma  quanto lavoro serve, con quali skill, in quali mansioni, e per produrre quali beni, dipende dalle condizioni specifiche di luogo, tempo e tecnologie. I prodotti che consumiamo oggi non sono gli stessi di ieri e di domani. La crescita economica – la creazione di ricchezza – nasce proprio dal continuo ricombinarsi dei fattori della produzione.

 

Impedire, rallentare o comunque interferire con questo processo porta inevitabilmente a restringere gli spazi di sviluppo. Che è esattamente l’opposto di ciò che serve, all’indomani di un anno economicamente (e socialmente) disastroso come il 2020.

 

Tutto il dibattito si è avvitato intorno a un fraintendimento pericoloso. Paradossalmente, sarebbe molto meno dannoso prolungare il blocco dei licenziamenti per i settori che stanno vivendo una fase di ripresa, che per quelli invece “in crisi.

 

Proprio i settori in crisi sono infatti quelli nei quali ha maggiore importanza favorire la riallocazione dei fattori produttivi (e, in particolare, del lavoro). Meno spazio viene lasciato a questo processo, più è probabile che le conseguenze della crisi non siano reversibili, con la conseguente moria di imprese. Ciò a causa dei pesanti condizionamenti  sindacali, aggravati dai provvedimenti  del sostegno al reddito inaugurato dai grillini.

 

Sarebbe invece indispensabile  avviare una efficace politica orientata alla formazione professionale, in modo che coloro che stanno perdendo il lavoro,  possano poi risultare idonei per occupazioni alternative.

 

Chi boicottasse quest’iniziativa, come avviene in altri Paesi europei,, perderebbe il diritto ad ogni sussidio. Qui entra in gioco la riforma degli ammortizzatori sociali.

 

La cassa integrazione è uno strumento importante di sostegno al reddito e di sollievo alle imprese, ma nei fatti “immobilizza” i lavoratori: andrebbe, semmai, trasformata in un sussidio che obblighi il lavoratore di trovare, nel frattempo, altre occupazioni temporanee o definitive.

 

Il risvolto dei sussidi a pioggia incrementa il lavoro sommerso, con la conseguente evasione fiscale. Per rimanere in Piemonte, il caso Embraco dovrebbe insegnare qualcosa. I Ministro Giorgetti è stato lapidario ed ha invitato le parti a seguire altre vie.

 

Purtroppo la regione Piemonte sta seguendo la demagogica politica che era di Chiamparino &Co., senza avere il coraggio e l’inventiva di dire la verità  ai lavoratori , invitandoli  a privilegiare la formazione finalizzata ad alternative occupazionali.

 

E’ pur vero che superare il blocco dei licenziamenti è politicamente impegnativo e complesso: ma più si rinvia il momento del dunque e più lo sarà. Prorogare non basta.

 

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Articolo pubblicato il 15/07/2021