La sventurata “primavera palestinese” contro il regime di Abu Mazen.
Funerale di Nizar Banat

Paralleli e differenze con la “primavera araba” in Egitto lasciano intravedere solo esiti negativi, sia per i palestinesi che per Israele

Manifestazioni anti-governative che dilagano nelle città, il regime che risponde con la violenza picchiando i manifestanti e arrestandone centinaia, e la repressione innesca ulteriori proteste e ulteriori arresti. Stiamo parlando della Cisgiordania, ma su una scala più ampia potrebbe essere l’Egitto nel 2011. Ecco perché alcuni osservatori chiamano l’attuale ondata di manifestazioni in Cisgiordania la “primavera palestinese”. C’è da augurarsi che si sbaglino, per il bene dei palestinesi. E anche di Israele.

 

Ho assistito al Cairo alla primavera araba che si dispiegava e poi si disfaceva in Egitto. Ciò che i giovani manifestanti ottennero con i loro sforzi nel giro di due brevi anni fu dapprima un governo dei Fratelli Musulmani, poi un nuovo regime militare repressivo. Ed è bastato perché la situazione in Egitto tornasse al punto di partenza: da un dittatore sostenuto dai militari, Hosni Mubarak, a un altro, Abdel Fattah al-Sisi. Mi ci è voluto un libro intero per spiegare cosa era andato storto (Broken Spring, 2014). Ora i paralleli con i palestinesi sono notevolissimi, ma lo sono anche le differenze.

 

Come Mubarak, che governò l’Egitto per quasi treent’anni attraverso una serie di elezioni truccate, il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen è ora al diciassettesimo anno del suo mandato di quattro anni. Più volte ha annullato le elezioni temendo, probabilmente a ragione, che il suo principale rivale, Hamas, prendesse il potere. Di recente ha annullato le elezioni fissate per maggio, causando notevoli disordini.

 

La rivolta palestinese, se alla fine di questo si tratterà, è iniziata con il brutale omicidio dell’attivista Nizar Banat, che aveva apertamente criticato il regime di Abu Mazen per abusi e corruzione. Banat è stato ucciso il 23 giugno in un raid a tarda notte vicino a Hebron, nel sud della Cisgiordania. Secondo fonti attendibili, una ventina di poliziotti dell’Autorità Palestinese hanno fatto irruzione nella sua casa e lo hanno picchiato a morte.

 

Le proteste sono scoppiate a causa dell’arresto e dell’esecuzione sommaria dell’attivista, ma chiaramente quella è stata solo la scintilla. La popolarità di Abu Mazen e del suo regime è in caduta libera da anni, mentre il suo mandato presidenziale, inquinato dalla corruzione, si trascina all’infinito senza praticamente nulla da offrire in fatto di miglioramento della vita del suo popolo, di pace con Israele o, in alternativa, la sua sconfitta.

 

Ecco la somiglianza più significativa con l’Egitto del 2011: l’unica alternativa ben organizzata ad Abu Mazen, e al suo vacillante movimento Fatah, è Hamas. In Egitto, i rivoltosi si divisero in più di una dozzina di partiti politici, dopo il rovesciamento di Mubarak, continuando a manifestare nel centro del Cairo contro il regime militare temporaneo che lo aveva sostituito. Intanto, i Fratelli Musulmani scendevano in piazza con molta maggiore efficienza, mobilitando i propri sostenitori in vista delle elezioni presidenziali e parlamentari che sarebbero seguite. E vinsero entrambe.

 

In Cisgiordania, il movimento al potere Fatah, guidato da Abu Mazen, si sta frammentando in fazioni contrapposte che litigano su candidati e feudi personali, perdendo il sostegno della gente a causa di eccessi e abusi. Allo stesso modo, il regime di Mubarak perse il sostegno degli egiziani a causa della repressione e della sua aperta corruzione. Per combinazione Hamas è un ramo della Fratellanza Musulmana nelle aree palestinesi, e non è un caso che Hamas sia organizzata allo stesso modo della Fratellanza. Hamas si presenta come un’alternativa incorrotta, efficiente e premurosa al regime di Abu Mazen arrogante e prepotente.

 

Quattordici anni di spietato governo di Hamas a Gaza avrebbero dovuto incrinare un bel po’ quell’immagine, ma i sondaggi indicano che Hamas gode di un notevole sostegno tra i palestinesi di Cisgiordania e, proprio come teme Abu Mazen, probabilmente vincerebbe le elezioni per il presidente e per il parlamento.

 

E qui le due vicende iniziano a divergere. In Egitto, i superstiti del regime di Mubarak nei tribunali e nell’amministrazione pubblica ostacolarono in ogni modo la presidenza di Mohamed Morsi della Fratellanza Musulmana. Un anno di caos spinse la gente a scendere di nuovo in piazza per una seconda rivolta che nel 2013 portò alla destituzione del governo eletto della Fratellanza. Così in Egitto si ritrovarono sotto i militari, guidati dal capo di stato maggiore “in pensione” al-Sisi. Che è ancora al potere.

 

In modo nettamente diverso, se Hamas prenderà il potere in Cisgiordania se lo terrà. Non ci saranno militari in grado di “salvare la situazione”. Hamas eliminerà Fatah e le sue forze in Cisgiordania come ha fatto quando ha preso il controllo di Gaza nel 2007. Se i manifestanti pensano di essersi guadagnati il diritto di continuare a criticare il regime, si ritroveranno dietro le sbarre o peggio, proprio come è successo in Egitto. E naturalmente, come a Gaza, Hamas dirotterà risorse e rifornimenti destinati alla gente per sostenere la propria piattaforma, che consiste in un solo punto: combattere Israele.

 

Questa politica non turberebbe troppo i palestinesi, poiché Fatah si è specializzata nell’incolpare Israele per tutto ciò che c’è di sbagliato nel proprio cortile di casa. Dopo più di due decenni di tale pratica, molti palestinesi ci credono. Esulteranno quando Hamas lancerà razzi su Israele dalla Cisgiordania e piangeranno miseria a beneficio di telecamera quando Israele reagirà, addestrati come sono a crogiolarsi nella loro sofferenza per toccare le corde del cuore dei loro sostenitori (e foraggiatori) in tutto il mondo.

 

Il che lascerà Israele con poche possibilità di scelta, tutte pessime: incassare gli attacchi effettuato solo ritorsioni limitate, come fa a Gaza; oppure dare attivamente la caccia ai capi di Hamas responsabili degli attacchi; oppure lanciare un’invasione per riprendere il controllo della Cisgiordania e affrontare ogni giorno uno stillicidio di attacchi sanguinosi, e il diluvio di condanne internazionali.

 

Questi sarebbero i risultati di una rivolta di successo della “primavera palestinese” che rovesciasse Abu Mazen e il suo Fatah. Come si usa dire anche altri contesti: attenzione a ciò che si auspica.

 

Fonte: Jerusalem Post

 

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Articolo pubblicato il 18/07/2021