No strangers on the beach.

Stranieri a noi stessi, stranieri oltre noi stessi.

Spiaggia di Bellariva di Rimini (dico … Rimini, luogo di affollamento a prescindere dall’occasione!), 29 giugno 2021, about the end of pandemic era (in procinto della fine dell’era pandemica, scusate il delirio dettato da esigenze turistiche e da un colpo di sole).

File di sdraio disoccupate sotto ombrelloni inutilmente aperti mi hanno catapultato in quel futuro distopico che ci attende.

 

Dove sono finiti tutti?

 

Non a casa, non in vacanza, non al lavoro (neppure in smartworking o pseudoworking part time) … volatilizzati! Neppure gli anziani che di solito si prendono cura dei nipoti durante la settimana in attesa di essere raggiunti dai loro genitori durante il weekend.

 

In hotel mi dicono che mancano gli stranieri che ogni anno sono il 60-70 per cento delle presenze e che neppure hanno prenotato per un altro periodo. Già … mancano gli stranieri, anche quelli che sono stagionalmente impegnati nelle varie attività di servizio agli altri stranieri (compresi i pochi italiani non locali sottovoce considerati tali).

I responsabili della spiaggia ripetono lo stesso ritornello.

 

Mi viene in mente che anche per la raccolta dei pomodori mancano gli stranieri, come anche per la cura degli anziani mancano le/i badanti, che erano in maggioranza stranieri, e non ci sono abbastanza risorse economiche per pagare “degnamente” le/i badanti indigeni. E nell’elenco si aggiungono quegli stranieri diventati i padroni delle aziende in cui erano entrati come manovali, e che ora conducono con grande perizia, sostenendo e creando posti di lavoro per quei figli di papà che hanno mandato in malora quelle stesse aziende messe in piedi dai loro padri.

 

Certo, ci sono anche gli italiani di cui andiamo fieri, ma quanti sono coloro tra noi che ormai “vivono di rendita” e non sono più in grado di fare qualcosa di utile per “inabilità indotta dall’indolenza e dalla comodità”?

 

Quanti di noi ormai dipendono nella quotidianità dalla presenza di coloro che etichettiamo come stranieri, senza comprendere bene che se venissero a mancare del tutto quei circa 5 milioni della popolazione italiana la restante parte dovrebbe tirarsi su le maniche senza la certezza di riuscire a fare quello che loro facevano o fanno?

 

È uno straniero di origine anche il titolare dell’impresa familiare che ha appena rifatto parte del marciapiedi di casa mia, costruito a suo tempo da un’impresa italiana, ma che ha resistito ben poco tempo oltre quanto accaduto in precedenza ad un’altra sua parte, prima di cedere.

 

Quanti di noi si rendono conto che, per ogni sorta di “indiscutibile ragione”, hanno fatto diventare “straniere a sé stessi” gran parte delle possibilità racchiuse in ognuno, quelle che ci servono veramente per vivere?

 

Stiamo diventando come quei manager, analfabeti di ritorno, che senza una segretaria non sono più nemmeno in grado di scrivere una lettera o di prendersi da soli un caffè al distributore automatico.

 

Come coloro che sparano sentenze qua e là senza sapere quel che dicono, ma solo per sentire la propria voce e vedersi in tv, tanto nessuno li cancella mai dai palinsesti, o come coloro che, dimenticandosi di aver una coscienza e delle responsabilità, di fronte ad una qualsiasi situazione, appena un po’ diversa dal solito, si affacciano al balcone cantando: “andrà tutto bene”!

 

Sì, certo, andrà tutto bene, ma non come ci piacerebbe!

 

E forse, in tal caso, cominciando a rendercene conto prima che sia troppo tardi, torneremo a cantare all’infinito, in totale trasporto emotivo di nuovo esibito dai balconi, una riga di una ben nota canzone patriottica, cambiandone solo due parole:

 

“il Piave mormorò: ci salvi lo straniero”, zum zum!

 

Perché, come ben sappiamo, il lupo perde il pelo ma non il vizio!

 

foto e testo

pietro cartella

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Articolo pubblicato il 22/07/2021