Lepanto: quando la cristianità respinse l'islam - Parte 3

La caduta di Malta avrebbe aperto all’Islam le porte dell’Europa cristiana

Certamente la Storia non si fa con i “se” o con i “ma”, però di fronte alla grande e mitica resistenza dei cavalieri di Malta del 1565 contro la marea ottomana, “un ‘se’, a volte, può servire per dimostrare come anche un piccolo avvenimento periferico avrebbe potuto modificare o addirittura capovolgere il corso della grande storia. Infatti, se quei settecento coraggiosi cavalieri crociati non fossero inaspettatamente riusciti a tenere testa ai quarantamila turchi che li assediavano, la caduta di Malta avrebbe aperto all’Islam le porte dell’Europa cristiana e probabilmente Solimano il Magnifico sarebbe riuscito a cogliere la mitica ‘mela rossa’”.

 

In questo momento nonostante qualche vittoria cristiana, la situazione politica nel Mediterraneo era favorevole all’espansionismo turco. A Costantinopoli, l’intento di conquistare l’Europa cristiana era sempre presente, il Gran visir Sokolli, nell’occasione della campagna militare contro l’isola di Cipro, incitava ad una fatwa: “è doveroso per un principe musulmano, riconquistare tutte le terre che facevano parte della dar al-Islam.

 

Per lo storico Arrigo Petacco non è tanto chiaro se in quel momento la sublime Porta volesse poi conquistare anche la Spagna, la Sicilia, la Calabria e la Puglia, che facevano parte dell’Islam. Tuttavia secondo lo storico Alberto Leoni, “è logico presumere che se quella grande battaglia navale (Lepanto) fosse stata vinta dai musulmani, il progetto espansionistico reclamato dalla fatwa del gran mufti si sarebbe realizzato con le conseguenze che possiamo immaginare”. Considerazioni da rivolgere a quelli che denigrano la Chiesa di quei tempi che benediceva le armi e la guerre sante, come ha fatto il papa di allora Pio V, il vincitore morale di Lepanto.

 

L’assedio di Cipro e l’epica resistenza di Marcantonio Bragadin a Famagosta.

 

I primi obiettivi dei turchi sbarcati a Cipro erano le due fiorenti cittadine di Nicosia e Famagosta, in mano ai veneziani fin dalle crociate. La prima città resistette per sette settimane, poi il governatore Niccolò Dandolo trattò la resa fidandosi delle favorevoli condizioni offerte da Mustafà. “Ma questi, violando ogni impegno, appena entrato in città la trasformò in un mattatoio. Oltre ventimila persone furono uccise, mentre migliaia di ragazzi e di fanciulle furono avviate verso gli harem e i mercati degli schiavi”. Saccheggiata Nicosia, il 15 settembre i turchi, inalberando sulle picche le teste di dandolo e dei suoi ufficiali, si presentarono davanti alle porte di Famagosta e quindi ai suoi difensori, che questa volta si opposero eroicamente, guidati dal veneziano Marcantonio Bragadin. Famagosta resistette all’assedio per oltre un anno, tutti gli assalti dei turchi furono respinti. “Gli eroici difensori, benchè stremati e affamati (dopo aver divorato le cavalcature, si nutrivano ora dell’erba strappata dai muri), continuarono a combattere fra i cumuli di macerie prodotti dai grossi proiettili sparati dai basilischi”.

 

Bragadin dopo l’ultimo assalto cercò di giocarsi la carta della diplomazia, sperando che arrivassero i soccorsi in tempo. Intanto il generale turco aveva perso in questi assalti circa cinquantamila uomini e quindi pressato dal sultano, pose fine alla sanguinosa campagna militare. I reduci veneziani anche questa volta furono imbrogliati, ad uno ad uno furono fatti a pezzi, fra gli schiamazzi e lo sguardo divertito di Mustafà. A Bragadin i turchi gli riservarono una sorte atroce, un martirio a tempo, prima di essere scuoiato vivo, ha dovuto subire una serie di crudeli torture, dopo, “per volere del feroce comandante turco la pelle dello sventurato venne riempita di paglia e appesa al pennone di una nave”. Infine i macabri trofei di Bragadin e i suoi ufficiali furono portati e mostrati al sultano a Costantinopoli.

 

La rivolta dei Moriscos.

 

Un altro episodio da rilevare in quel periodo è la rivolta nel 1568 dei Moriscos, i musulmani del sud della Spagna, prima spinti a ribellarsi, poi abbandonati da Costantinopoli, così Filippo II poté mandare il giovane fratello don Giovanni a reprimere la rivolta. La dura lotta finì nel 1570 con la scomparsa per sempre dei musulmani nella penisola iberica. La guerra contro i mori, “fu particolarmente sporca”, tuttavia, “mai sono esistite guerre ‘pulite’”, scrive Leoni.

Intanto don Giovanni, dalla brutale guerra è uscito “incorrotto, riuscendo a conservare i propri ideali cavallereschi”. Ma nello stesso tempo ha intuito, “[…]che un esercito cristiano efficiente avrebbe dovuto serbare una moralità collettiva irreprensibile”.

 

I grandi protagonisti di Lepanto.

 

Questi furono i fatti più importanti prima della grande impresa di Lepanto. Adesso è opportuno interessarsi dei protagonisti che portarono al decisivo scontro sul mare vicino alle coste greche. Parto dal giovane condottiero a cui è stato affidato il comando militare della flotta cristiana, don Giovanni d’Austria, figlio dell’imperatore Carlo V e di Barbara Blomberg, conosciuta dall’imperatore a Ratisbona, dopo una vittoria contro i turchi di Solimano. Il giovane figlio di Carlo prese il nome di Geronimo, per tanti anni visse presso la corte spagnola e fu affidato a un intimo amico dell’imperatore. Nel frattempo Carlo V aveva abdicato lasciando il suo vasto impero al figlio Filippo II.

 

Intanto il giovane fu ben educato religiosamente, culturalmente e soprattutto dal punto di vista militare. Dalla madre adottiva, ereditò una particolare devozione alla Madonna e l’amore per le epopee cavalleresche, in particolare alla leggendaria storia di El Cid Campeador, il campione cristiano della lotta contro i mori infedeli. Una volta riconosciuto come fratello da Filippo II, il giovane prende il nome di don Giovanni d’Austria e diventa “infante di Spagna”.

L’altro protagonista è il Papa Pio V, “il papa giusto al momento giusto”, scrive Arrigo Petacco, nel libro “La Croce e la Mezzaluna”, Mondadori (2005).

 

“Mai come in quel momento la Chiesa romana aveva avuto bisogno della guida di un uomo come lui, risoluto, intransigente, animato da una fede profonda e deciso a farla trionfare contro tutto e contro tutti purificandola di ogni incrostazione”. Antonio Michele Ghisleri poi Pio V faceva parte dei frati predicatori, domenicani mendicanti. Possedeva due sole tonache bianche, giusto per il cambio, si cibava di uova e verdure. Si sentiva di aver ricevuto dallo Spirito Santo una missione purificatrice, così “immerse Roma e l’intera curia in un bagno di austerità”. Per fare questo ha scelto la maniera forte per ripulire il Vaticano.

 

In quegli anni, a Roma, scrive Petacco:“tutti avvertivano quasi fisicamente la minaccia incombente sia dell’islam, sia della Riforma luterana e Pio V era ossessionato da entrambe le prospettive”. “Mamma li turchi”, era il grido d’allarme che si levava lungo le coste al frequente apparire dei vascelli barbareschi, ed echeggiava anche tra i saloni del Vaticano. Pio V da cardinale era stato catturato dai turchi, ma si era salvato, perché la sua bisunta tonaca domenicana, la sua vecchiaia e la sua ascetica magrezza, gli davano l’aspetto di un derelitto “invendibile”, così i corsari lo ignorarono e presero invece un suo nipote.

 

Pio V fonda la Lega Santa.

 

La costituzione della Lega, non fu una cosa facile, fu lunga e laboriosa, continue le picche e ripicche dei contraenti, Pio V con la sua autorità, ha dovuto minacciare di scomunica per indurre i principi cristiani a costituirla. “Venezia e Spagna, le due uniche potenze mediterranee, erano comunque più che sufficienti per organizzare una flotta imponente. Tuttavia avevano aderito alla lega, oltre ovviamente allo Stato Vaticano, anche i Cavalieri di Malta, Genova, Firenze e il duca di Savoia”. Il 25 maggio 1571, fu proclamato nella sala del Concistoro, di fronte a un raggiante Pio V il “patto mediterraneo”, la cosiddetta Lega Santa. Fu deciso di affidare il comando al ventiseienne don Giovanni d’Austria.

 

Oltre alla clausole politiche e militari, il trattato conteneva anche precise disposizioni religiose dettate dallo stesso Pio V, affinchè  “quella guerra, la quale si intraprendeva per zelo dell’onore di Dio, fosse amministrata santamente”. Si vietava di far salire sulle navi, giovinetti e soprattutto donne. “Il papa aveva reclutato molti frati – scrive Petacco – affidando loro il compito di seguire la flotta: i gesuiti sulle navi spagnole, i francescani e i domenicani su quelle genovesi, savoiarde e veneziane e i cappuccini su quelle pontificie”. Per il concentramento delle navi fu scelto il porto di Messina. In questa guerra era importante il fattore morale scrive Leoni. “Per questo, dunque, era così importante che tutti gli appartenenti alla flotta cristiana coltivassero la propria fede nella preghiera e nella pietà reciproca”. Pertanto, “Don Giovanni, diede ordine di impiccare i bestemmiatori e coloro che scatenavano risse, in modo da avere decine di migliaia di uomini animati da un solo ideale”.

 

Finalmente il 16 settembre 1571, la flotta cristiana al completo si mosse da Messina, composta da 207 navi, i soldati di fanteria e gli archibugieri sui bordi erano complessivamente 28.000. I marinai erano 13.000 e i rematori 43.000. In tutto 84.000 uomini, considerando gli spazi delle navi dovevano essere stipati come sardine. “Una folla immensa assistette all’evento e deve essere stato uno spettacolo impressionante vedere l’interminabile corteo di galee che a vele spiegate scorreva lungo lo Stretto, mentre il nunzio papale, monsignor Odescalchi, impartiva la benedizione apostolica ai partenti da un brigantino”. Per chi è vissuto o vive sullo Stretto può comprendere meglio lo scenario evocato dallo scrittore ligure.

 

Più o meno negli stessi giorni Alì Pascià, l’ammiraglio turco era giunto nella baia di Lepanto, sulla riva settentrionale di Patrasso. Complessivamente la flotta turca era composta da 222 galee e da 60 galeotte. I soldati erano 34.000, i marinai 13.000 e i rematori 41.000. Da notare scrive Petacco, “che sia nell’una che nell’altra flotta i rematori rappresentavano all’incirca la metà del personale di bordo”. Il 7 ottobre dopo la Messa mattutina, la flotta ottomana apparve all’orizzonte, don Giovanni compì l’ultima ispezione allo schieramento su una veloce fregata, reggendo il crocifisso e incitando alla battaglia, poi salendo sulla nave ammiraglia la Real, “fece spiegare lo stendardo papale, color rosso e oro, sul quale erano ricamate le parole del primo inno di battaglia cristiano: ’In hoc signo vinces’. I turchi furono sconfitti nonostante avessero più mezzi più uomini. Arrigo Petacco descrive dettagliatamente tutti i risvolti della battaglia navale, le varie “armi segrete” dei condottieri dal genovese Gianandrea Doria, al veneziano Sebastiano Venier e poi di quelli turchi, da Occhialì, ad Alì Pascià. Una battaglia straordinaria, definita da Miguel Cervantes, la “la mayor jornada que vieron los siglos”.  

 

Alle quattro del pomeriggio di quella domenica del 7 ottobre la Lega Santa, risulta vincitrice. In un conflitto che metteva a confronto due civiltà: “Erano bastate appena cinque ore per cambiare il destino del mondo”. Papa Pio V celebrò un solenne Te Deum di ringraziamento e dispose che il 7 ottobre diventasse un giorno festivo dedicato alla Beata Vergine della Vittoria. Successivamente, trasformata nella festa della Beata Vergine del Rosario.

 

Concludo il mio intervento con le parole del compianto Marco Tangheroni esimio professore di Storia Medievale, nonché cofondatore di Alleanza Cattolica, “Certamente, la vittoria era stata ottenuta grazie a «la intelligentissima prudentia de i nostri generali, la bravura e destrezza dei capitani in mandare ad effetto, il valore de’ gentiluomini e soldati nell’essequire». Ma, più ancora, a ben altre forze, secondo la bella espressione del senato veneto: «Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii victores nos fecit»«non il valore, non le armi, non i condottieri ma la Madonna del Rosario ci ha fatto vincitori».  Del resto, la vittoria di Lepanto era avvenuta nel giorno in cui le confraternite del Rosario facevano tradizionalmente particolari devozioni “. (Marco Tangheroni, La battaglia di Lepanto, n.80, Cristianità, 1981).

 

 

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Articolo pubblicato il 24/07/2021