Il ritorno della Royal Navy

La campagna navale della nuova portaerei britannica intende riaffermare il rango oceanico del Regno Unito e fugare lo spettro del declino. Le incognite sono tante, come le lezioni per l’Italia in cerca di un posto fra le onde.

Ad annunciare il nuovo ruolo della moglie, durante una visita a un cantiere in Scozia, è stato il principe William, che non ha nascosto il suo orgoglio: «Sua Maestà ha approvato la nomina e Catherine sarà lieta di battezzare questa superba nave».

Kate Middleton è stata investita dalla regina per un nuovo compito: divenire madrina di una corazzata della Royal Navy. 

 

Ma di quale nave si tratta? E perché dare tanto rilievo alla notizia in Patria britannica?

 

Si sta parlando di battezzare la prima di una lunga serie di navi, la fregata HMS Glasgow. Alla quale seguirà il fiore all’occhiello della Royal Navy: La portaerei HMS Queen Elizabeth.

Con questi due “gioiellini” della Marina militare britannica il Regno Unito intende far vedere al Mondo che l’Impero marittimo britannico non è morto, si era solamente addormentato.

 

Certo, ad oggi va ricordato che nell’ Anglosfera i britannici sono ancora secondi rispetto ai “padroni” americani; ma se a livello militare gli Usa sono ancora i detentori mondiali della Pax Americana, gli UK puntano a livello propagandistico a farsi percepire nuovamente come superpotenza, specie nell’Era post Brexit.

 

Per Londra urge una rinnovata Pax Britannica da affiancarsi, e nel lungo periodo da sostituirsi, a quella americana.

 

Le settimane scorse, la HMS Queen Elizabeth ha preso parte alle sue prime esercitazioni NATO nel Mediterraneo, in vista del viaggio di otto mesi nel quale attraverserà il Mar Cinese Meridionale per segnalare a Pechino che le rotte marittime devono rimanere aperte. Questa impegnativa campagna navale è denominata Fortis 21.

 

La Fortis 21 è una campagna di valenza storica. È la più potente squadra navale mai messa in mare dalla Royal Navy nei suoi quasi cinque secoli di storia. Essa rappresenta il coronamento di almeno un decennio di sforzi finalizzati a ricostruire il potere navale della Gran Bretagna, collassato sotto la soglia di sicurezza dopo la fine della guerra fredda a causa di tagli draconiani a bilancio, personale e mezzi, nonché di un ripensamento complessivo delle priorità militari di Londra.

 

La riscoperta del mare fa parte del tentativo di arrestare il declino geopolitico del Regno Unito dopo la fine dell’impero e mentre sul paese aleggiano gli spettri della secessione scozzese e della riunificazione irlandese risvegliati dal Brexit. La campagna navale serve a dimostrare che Londra può ancora ambire al ruolo di potenza mondiale. 

 

La Royal Navy è lo strumento che incarna da secoli l’essenza più intima del potere britannico; dovrà riaffermare anche stavolta il rango oceanico del regno.

 

Queste esercitazioni costituiscono "una dichiarazione estremamente potente", ha detto a Reuters il commodoro Steve Moorhouse, comandante e capitano della nave sul ponte al largo della costa portoghese, mentre i caccia F-35B decollavano intorno a lui.     

                                                                                                    

"Dimostra che siamo una marina globale e che vogliamo tornare là fuori", ha detto. "L'obiettivo per noi è che questo dispiegamento faccia parte di una presenza più persistente per il Regno Unito in quella regione", ha aggiunto, riferendosi all'Indo-Pacifico che include India e Australia.

 

La Gran Bretagna era il principale alleato sul campo di battaglia degli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan e, insieme alla Francia, era la principale potenza militare dell'Unione europea. Ma il suo voto del 2016 per l'uscita dall'UE aveva sollevato interrogativi sul suo ruolo globale.

 

In parte in risposta a tali preoccupazioni, Londra ha annunciato il suo più grande aumento della spesa militare dalla Guerra Fredda alla fine dello scorso anno e ha propagandato il peso del vettore, costruito con un costo di oltre 3 miliardi di sterline (4,26 miliardi di dollari).

 

La Royal Navy può contare su due importanti strutture nella regione del Golfo localizzate in Bahrein e Oman, anche se nell’ultimo ventennio ha molto trascurato quella che potrebbe rivelarsi la vera chiave di volta per concretizzare il suo ritorno in pianta stabile a est di Suez: Diego Garcia. L’isola appartiene al Territorio britannico dell’Oceano Indiano e ospita una rilevante presenza militare americana dal 1971. È perfettamente attrezzata per sostenere ogni genere di unità aeronavale, compreso l’attracco delle grandi portaerei, e in futuro non mancherà di attrarre l’attenzione degli ammiragli di Sua Maestà. 

Nell’eventualità di una crisi armata contro Pechino, Diego Garcia è un bastione ideale per assicurare il controllo e la difesa dell’Oceano Indiano, solcato da rotte vitali per il sostentamento dell’economia cinese. Rappresenta anche un trampolino di lancio sufficientemente defilato rispetto alla Cina continentale per proiettare il potere navale anglosassone verso il Mar Cinese Meridionale ed eventualmente occluderne gli accessi da sud. Singapore è a circa 2.200 miglia nautiche da Diego Garcia, una distanza percorribile in meno di una settimana di navigazione ad andatura moderata.

 

La HMS Queen Elizabeth si eserciterà con navi militari provenienti da Stati Uniti, Singapore, Giappone e Corea del Sud.

 

A seguito dello spiegamento inaugurale del gruppo d'attacco navale, il Regno Unito assegnerà in modo permanente due navi nella regione pacifica entro la fine dell'anno", ha dichiarato il ministro della Difesa britannico Ben Wallace in un annuncio congiunto a Tokyo con il suo omologo giapponese, Nobuo Kishi.

 

La portaerei britannica, che trasporta jet stealth F-35B nel suo viaggio inaugurale, attraccherà a Yokosuka, sede del comando della flotta giapponese e della USS Ronald Reagan, l'unica portaerei americana schierata in avanti.

 

Le esercitazioni britanniche non sono mancate nemmeno sul Mar Nero. Dove in supporto all’Ucraina la Royal Navy intende fungere da deterrente alla Russia.

 

Ma Mosca non ha preso bene simili ingerenze in quelle che considera le sue acque. Il ministero della Difesa russo ha infatti denunciato la «provocazione» di una nave della Royal Navy, il cacciatorpediniere HMS Defender, colpevole di essere penetrata per tre chilometri all'interno delle acque territoriali russe nei pressi di Capo Fiolent, nella contesa penisola di Crimea. E solo dopo l'intervento di una motovedetta e di un bombardiere SU-24M, con «colpi di avvertimento» sparati da entrambi, il vascello britannico avrebbe corretto la rotta.

 

Questo dispiegamento di assoluta importanza e di estrema rilevanza strategica è perfettamente coerente con i due documenti strategici elaborati a marzo — Integrated review of security, defence, development and foreign policy e il Defence command paper — e dimostra la volontà inglese di svolgere un ruolo rilevante sia nell’Indo-Pacifico in funzione di contenimento anticinese sia nel Mar Nero in funzione di contenimento antirusso.

 

Ma queste esercitazioni militari lanciano un preciso monito anche al nostro paese: infatti la marina britannica è passata anche nel Tirreno, ha oltrepassato lo stretto di Messina e ha proseguito verso il Mediterraneo orientale.

 

Sarebbe indispensabile sotto il profilo strategico, così come sotto il profilo politico, che la classe politica nostrana comprendesse quanto determinante sia il ruolo che dovrebbe svolgere la marina militare italiana nel Mediterraneo, soprattutto considerando l’assertività turca in Libia e in Albania, così come le penetrazioni cinesi nel Montenegro .

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Articolo pubblicato il 24/07/2021