L'orgoglio 'd monsù Magnani

La poltrona di Camillo Cavour (di Alessandro Mella)

Un giorno dei primi anni ’10 del Novecento, probabilmente nel 1912 quando i nostri soldati marciavano accaldati nelle sabbia della Tripolitania e della Cirenaica, e mentre alla guida del governo si trovava Giovanni Giolitti, a Torino si scatenò un vigoroso incendio, sotto i lunghi portici di Via Po, al civico 7.

Lingue di fuoco uscivano dal piano terra del palazzo spaventando gli avventori di passaggio ed i clienti del vicino Caffè Alfieri. Le fiamme divoratrici distrussero, tra l’altro, la bottega del signor Magnani con tutti i suoi arredi.

Era questi il conduttore d’un negozio adibito da decenni a barberia e per lui quel rogo fu un doppio dolore. Non solo perse il locale e gli attrezzi del suo mestiere ma soprattutto in cenere finì un cimelio caro al suo cuore da sempre.

Ed era una sedia, o meglio una graziosa e spartana poltrona, che da sempre costituiva non solo un cimelio storico ma una grande attrattiva per la clientela che, quando si recava a far barba e capelli, poteva ammirarla in un angolo del locale esposta con cura ed affettuosa attenzione.

E non era certo un sedile qualunque poiché un cartello, in bella vista, avvisava i curiosi osservatori che tale poltrona era quella a suo tempo impiegata da Camillo Benso dei marchesi di Cavour, glorioso cliente dell’antica bottega nei tempi che furono. (1) Ed infatti vi si leggeva scritto, chiaramente, a grandi lettere: «Su questa poltrona sedeva Camillo Cavour quando si faceva radere».

Due volte a settimana, infatti, il presidente del consiglio del Regno di Sardegna, si recava in via Po, a piedi passeggiando, per farsi sistemare la barba e curare quella sua caratteristica immagine. Proprio quella celebre ed iconica barba che gli correva dal mento risalendo, tramite le basette impero, fino alla folta capigliatura:

Dal parrucchiere si recava generalmente accompagnato da Michelangelo Castelli, suo amico carissimo oltre che funzionario valente ed avveduto.

Molte volte vi arrivava accompagnato da La Marmora, che lo lasciava appena giunto sulla porta d'entrata, e da altri amici personali o colleghi del ministero.

Dal parrucchiere Cavour generalmente non parlava, all'infuori dei soliti saluti e delle poche parole di convenienza: seduto su quella poltrona non c'era il ministro o il Presidente del Consiglio dei Ministri: c'era il cliente «sòr Cònt», il «signor conte».

A quanto è stato dato constatare, la frequenza dal barbiere di via Po 7, per Cavour durò dal 1853 al 1861: negli ultimi tempi vi compariva spesso accompagnato dal Conte di Salmour suo amico fino dall'infanzia, e che compi varie delicate missioni politiche. (2)

 

Per molti decenni la storica poltrona di Cavour restò nel negozio ed il proprietario ebbe modo di bearsi del suo prezioso frammento di storia patria. Facendosene tra l’altro, non senza torto, gran vanto.

Ma la furia delle fiamme, all’epoca favorite da tanti fattori, gli portarono via quel ricordo così importante.

Nulla poterono i pur valorosi pompieri tosto accorsi, il rogo si mangiò tutto senza curarsi del Cavour e della sua memoria. Per fortuna il Magnani, se non altro, a suo tempo aveva fatto fotografare la sfortunata poltrona così che, molti anni dopo, il suo ricordo si conserva. Scoperto per caso su un paio di giornali dati alle stampe nel lontano 1942, quando le bombe cadevano su Torino e ben altri incendi sconvolgevano l’antica capitale tanto amata dal Cavour nella sua breve ma prodigiosa ed operosa vita.

Alessandro Mella

 

NOTE

1) La genealogia ed il medagliere di Camillo Cavour sono stati aggiornati nella recente XXXIII edizione dell’Annuario della Nobiltà Italiana curato da Andrea Borella. Si trovano nel tomo II parte III.

2) La Stampa, 145, Anno LXXVI, 18 giugno 1942, p. 2.

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Articolo pubblicato il 31/07/2021