Il referendum sulla eutanasia legale: depenalizzazione di omicidio consenziente e libertà individuale

Riferimenti al Testamento Biologico e precedenti iniziative per scongiurare l’accanimento terapeutico

Partita in sordina il 17 giugno scorso, la raccolta firme per il referendum sulla “eutanasia legale”, promossa dall’associazione Luca Coscioni, dal partito Radicale e da moltissime altre sigle ed enti, sta procedendo oltre le aspettative e le 500.000 richieste sembrano essere facilmente raggiungibili entro il 30 settembre, data di chiusura.

Per passare dalla raccolta firme alle urne però, il cammino non è né breve, né esente da pericoli, poiché esistono dei precedenti (caso Cappato dal 2019). Infatti, per poter arrivare al voto, prima si dovranno superare due severi momenti di controllo: uno presso la Cassazione, l’altro, cosiddetto di ammissibilità, presso la Corte Costituzionale. La speranza è che prevalgano la logica di principio e la laicità di pensiero.

Il referendum, in caso di vittoria, tolti alcuni casi richiedenti tutela di: minori, soggetti depressi, malati moralmente fragili, anziani soli, o laddove esistano dubbi di tornaconto economici; porterebbe all’abolizione del reato di “omicidio consenziente” da parte di chiunque aiuti nell’estremo gesto una persona che ne abbia espresso con chiarezza il desiderio.

Nondimeno, la regolamentazione dell’eutanasia legale non è un argomento di facile trattazione, oltre alla depenalizzazione del cosiddetto “omicidio del consenziente”, i problemi da regolare sono molti e per niente astratti. Ad esempio: chi? Medici? Anche chi non è medico? E poi, come? Quando? Dove? E infine, a chi e come il compito di accertare la libertà e la consapevolezza espressa per il consenso? Dunque a giudici e censori il loro ruolo, sperando che sia il rispetto della volontà di chi non può gestire né la propria vita, né disegnarne l’ultimo percorso, ad avere la meglio su pregiudizi e scartoffie.

Già perché abbracciare certe decisioni che riguardano l’ultima alba della vita, da parte di chi lo stabilisce, non è certo un argomento facile. Non mi permetterei di esprimere alcun commento, non fosse che personalmente, dopo 34 anni di severa paralisi e tanti confronti con altri sfortunati compagni di vite molto impegnative, conosco bene i pensieri di chi intravede un domani oltre l’ultima sbarra del concetto di dignità.

È un totale drammatico la somma di ogni accanimento terapeutico abbinato al dolore fisico e all’umiliante momento in cui si spengono anche la più remota gestualità e l’ultima indipendenza fisica, restando un unico insieme di carne che soffre e basta. I dibattuti e sofferti casi Welby, Luana Englaro e Dj Fabo hanno aperto la strada. È giusto poter scegliere quando smettere.

A tal proposito va ricordato che, pur non essendo molto pubblicizzato, esiste un precedente che consente a chiunque di programmare alcuni degli ultimi passi della propria esistenza. Trattasi del Testamento Biologico, approvato nel dicembre 2017 durante il governo Gentiloni. Il testamento prevede che nessun trattamento sanitario possa essere proseguito in mancanza del libero consenso del soggetto interessato.

Il documento può essere redatto per iscritto presso gli uffici del Comune o nel caso la persona non sia in grado di farlo, può essere sostituito da un video. È da sottolineare che in ogni caso occorre la compresenza di almeno uno dei parenti più prossimi.

Il Testamento Biologico, da cui si può recedere in qualunque momento, autorizza: la sedazione profonda e l’abbandono delle cure in caso si prospetti un accanimento terapeutico; può accettare o meno l’idratazione e la nutrizione artificiale; può decidere se interrompere le attenzioni messe in atto dal medico curante. Quest’ultimo è tenuto a rispettare le volontà del paziente, esentato da responsabilità civili e penali, lasciandogli altresì il diritto di dichiararsi obiettore di coscienza.

Prima del Testamento Biologico, in Italia, i cittadini potevano comunque rilasciare un documento sulla propria volontà in materia di trattamenti sanitari estremi, terapia del dolore, donazione degli organi e cremazione. Volontà soggette ad essere esaminate di caso in caso. Ma sull’argomento si era già espressa anche la Costituzione che nell’articolo 32 detta: “ nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

Altresì, nel 2001, la Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina stabiliva che: “I desideri precedentemente rilasciati da un paziente e riferiti a un intervento medico che, al momento dell’intervento stesso non è in grado di esprimere la sua volontà, saranno tenuti in considerazione”. Principio andato a far parte del Codice di Deontologia Medica.

In conclusione, il delicato argomento della dolce morte assistita non è un dilemma scaturito da poco. Nell’animo di ognuno di noi, la consapevolezza che anche il più sfavillante percorso di vita può alla fine presentare un conto troppo caro da pagare, seppur sopita è di certo presente. La raccolta firme per l’ultimo atto di autonomia: “l’eutanasia legale” è dunque aperta nei gazebo delle nostre città. Aderire è questione di coscienza e di autodecisione proiettata verso il tempo che ci spetterà ancora.

 

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Articolo pubblicato il 28/07/2021