La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

La prostituta uccisa a colpi di punteruolo

L’uccisione della prostituta Gilda Cervo avviene nel novembre del 1977, «anno di violenza e di sangue [...] che ha messo a dura prova i nervi della città», per dirla con le parole di Mauro Anselmo che su Stampa Sera del 31 dicembre di quell’anno ne ricostruisce la «incredibile serie nera di delinquenza comune e di criminalità politica».

Nel mese di novembre dell’annus horribilis, il giorno 11 vi è stato il misterioso omicidio dell’anziana Maddalena Bocco in via Pordenone e il ferimento alle gambe del dirigente Fiat Piero Osella ad opera delle Brigate Rosse. Sempre questi terroristi il 17 novembre hanno ferito a morte Carlo Casalegno, vicedirettore de La Stampa, che morirà il 29 di quel mese. Questo recente episodio criminale fa capolino nelle cronache dell’omicidio di Gilda Cervo.

Questo il clima cittadino di quel novembre dove non mancano anche aspetti frivoli legati alle nascenti (e spesso rampanti) televisioni private fra le quali Tele Torino International che sta lanciando un programma oggi ancora ricordato come “lo spogliarello delle casalinghe”.

La Stampa del 25 novembre descrive l’uccisione di una prostituta rimasta sconosciuta nel parco pubblico di via Monte Pasubio (*): «Una sconosciuta sui 40-45 anni è stata uccisa ieri sera con due coltellate al ventre e al cuore. Il corpo, riverso in una pozza di sangue, è stato trovato verso le 21,15 da una pattuglia di carabinieri in servizio in fondo a via Monte Pasubio, quasi all’altezza di via Pio VII, sul marciapiede che costeggia il parco pubblico.

La donna, che indossava un giaccone rosso, una gonna blu gessata e stivali dal tacco alto, respirava ancora. È morta sull’ambulanza che la portava alle Molinette, dove i medici del pronto soccorso hanno scoperto le due coltellate mortali.

L’identificazione è stata impossibile fino a tarda notte. Polizia e carabinieri hanno compiuto una retata, fermando alcune prostitute e clienti, interrogando molte persone. Molte ragazze sono state portate alle Molinette per riconoscere il cadavere. Ma non sono emersi risultati concreti tranne un nome: Gilda.

Riescono a identificarla gli agenti della Buoncostume dopo un controllo delle foto segnaletiche delle prostitute che «lavorano» in città: Gilda Cervo, di 49 anni, abitante da sola in via Nizza 21, nota alla Buoncostume dal 1964.

Il cronista de La Stampa narra la sua biografia, definita «Una vita di squallore». Gilda, nel 1963 ha abbandonato il marito Ernesto P. e si è dimenticata dei tre figli per mettersi insieme a un pregiudicato molto più giovane di lei. «Da allora cominciò a battere il marciapiede - dicono in Questura -. Prima i viali del centro, poi la triste china verso le strade della periferia. La Cervo ha bazzicato un po’ tutta la provincia: un mese ad Orbassano, un altro sulla statale per Chivasso, per un anno dalle parti di Stupinigi, sotto gli alberi lungo la Dora nei pressi del cimitero».

La donna è stata notata dalla Polizia di Aosta, Cuneo, Novara: nel 1973 insieme allo sfruttatore si trasferisce nel Veneto, a più riprese è obbligata dal foglio di via a tornare ad «esercitare» a Torino. Qui trova un nuovo amico, Giuseppe Grillo, di 36 anni, via Montebianco 32, col quale finisce alle Carceri Nuove per una pistola non denunciata. Sempre secondo la Squadra Mobile «Negli ultimi tempi si era ridotta a frequentare proprio le zone meno remunerative per una prostituta. Si accontentava ormai delle miserie che assicurano i marciapiedi di Mirafiori Sud. Purtroppo, nel giro era abbastanza nota per avere trascinato sulla strada anche la figlia maggiore, Wanda, di 25 anni. Alcune volte erano state viste “lavorare” allo stesso angolo». Si parla del tratto di via Pio VII, vicino ai giardini pubblici, frequentato da cinque prostitute. Gilda, a detta delle colleghe, aveva più clienti e quindi incassava di più: 100 ed anche 150 mila lire per sera.

In un primo momento, Polizia e Carabinieri paiono manifestare un certo ottimismo. Il 25 novembre, Stampa Sera scrive che «Durante la notte il dott. Fersini, il dott. Vinci e il maresciallo Marezzo, oltre a identificare la donna, hanno raccolto una serie di testimonianze che potrebbero portare all’arresto dell’assassino». Nello stesso articolo, è anche detto che «Nelle camere di sicurezza della questura c’è già un fermato. È un giovane sui 24-25 anni. sulla sua identità e sui motivi del fermo gli inquirenti mantengono il più assoluto riserbo. Anche i Carabinieri che seguono con molto interesse le indagini avrebbero eseguito un fermo sul quale mantengono un altrettanto strettissimo riserbo».

La forte rivalità fra Polizia e Carabinieri è un elemento caratteristico di questo periodo. Porterà di lì a pochi giorni anche a spiacevoli episodi.

Viene anche ricercato il convivente della donna, Giuseppe Grillo. È la Mobile a rintracciarlo, ma senza risultati apprezzabili: pare addirittura che non sfruttasse l’attività di Gilda.

La vittima era molto amica di un’altra prostituta: Rosa Ippolito, di 33 anni. Tutte le mattine le due donne si recavano ad Ivrea. Alla sera invece si trattenevano in via Pio VII. Da Rosa Ippolito vengono queste vaghe indicazioni, rilasciate al maggiore Ruggeri e al capitano Olivieri dei Carabinieri del Nucleo investigativo: «Ero con Gilda, mi pare che si sia appartata nei giardini attorno alle 21:30-22 con un giovane magro, basso, che indossava un cappotto blu scuro. Non l’ho più vista, ma subito non mi sono preoccupata granché, ho avuto il mio da fare».

Rosa Ippolito, l’ultima persona che ha visto Gilda viva, oltre naturalmente, all’assassino, così prosegue: «Soltanto più tardi ho sentito dei gemiti, mentre ero con un cliente nel giardino. Ho avvertito alcune compagne, abbiamo cercato nel buio, non riuscivamo però a individuare il punto esatto da dove venivano i lamenti». Gilda, ferita a morte da due colpi di punteruolo, si è trascinata attraverso i giardini fino alla strada dove è stata trovata alcuni minuti dopo alla luce dei fari dalla pattuglia di carabinieri, non si capisce se chiamati dalle colleghe di Gilda, oppure attirati dal trambusto o ancora nel corso di un comune pattugliamento.  

Dalla lettura dei giornali emergono più spunti moraleggianti che elementi investigativi. L’arma è genericamente indicata come un punteruolo, i due colpi sono indicati come inferti al ventre e al cuore, ma anche al torace e al volto. Non si parla neppure di una attenta ricognizione sul luogo dell’aggressione. Leggiamo soltanto che «È stata colpita a morte vicino alle panchine intorno alla fontana dei giardini, dove le prostitute, di sera si accoppiano con i clienti, e dove di giorno i bambini giocano sul terreno disseminato di profilattici». Uno spiazzo isolato, frequentato da tutte le prostitute che sono in attesa nella vicina via Pio VII e dove lei era solita intrattenersi coi clienti.

Inizialmente, su indicazione delle “colleghe” sue amiche si parla di omicidio per rapina. Alla sua vittima rantolante l’assassino ha effettivamente portato via la borsa di similpelle nera che portava a tracolla. In questa borsa ce n’era un’altra, di pelle marrone, dove lei teneva il denaro. «Il bottino deve essere stato magro - dicono alla Polizia -, l’omicida avrà sì e no ricavato dal delitto qualche decina di biglietti da mille. Forse non ha ammazzato per rubare, potrebbe avere inscenato la rapina per sviare le ricerche. Non è nemmeno escluso, anche se è improbabile, che si tratti di un maniaco».

Al tempo, l’ipotesi del maniaco viene sempre presa in considerazione con una certa riluttanza e come molto remota...

Si evidenzia la circostanza fortunata che ha aiutato l’assassino: di sera, fino alle 23 c’è un discreto viavai di auto, ma quando ha vibrato le pugnalate nel buio del giardino, non c’erano altre coppie nella radura né ne sono sopraggiunte. È così riuscito a svanire nell’oscurità.

Dopo due giorni, si suppone, oltre alla rapina, una vendetta del racket. Come scrive malinconicamente il cronista de La Stampa, le due ipotesi sono entrambe valide, non ci sono testimoni e gli investigatori non hanno alcun elemento concreto sul quale imperniare l’inchiesta. Non si parla più dei due fermati da Polizia e Carabinieri subito dopo l’omicidio.

Quello de La Stampa del 26 novembre è l’ultimo articolo dedicato alle indagini sull’uccisione di Gilda Cervo, il cui assassino è rimasto senza volto.

(*) Per quanto concerne la location dell’uccisione di Gilda Cervo, ci troviamo a Mirafiori Sud, nelle vie Pio VII e Monte Pasubio. Per quest’ultima, occorre una breve precisazione di carattere toponomastico. Nel 1977, la via Monte Pasubio va dal corso Unione Sovietica fino al corso Caio Plinio. Con una riforma della metà degli anni Ottanta del’900, la lunga via è stata suddivisa: il primo tratto, fino alla via Giuditta Sidoli ha mantenuto il nome di Monte Pasubio, per assumere quello di viale Augusto Monti nel Parco Di Vittorio (il parco pubblico citato nelle cronache è stato così intitolato). All’uscita del parco per un breve tratto prende il nome di Barbara Allason e, oltre la via Pio VII è stata dedicata a Carolina Invernizio. Con l’attuale assetto toponomastico non si dovrebbe più parlare di omicidio di via Monte Pasubio, ma di via Allason o di Parco di Vittorio. Può essere curioso ricordare che nella stessa zona, l’11 settembre 1967, è stata uccisa una prostituta, Antonietta Asero. Il corpo senza vita è stato abbandonato nudo in un prato. Per il delitto sono finiti in carcere Michele e Luigi Lo Monaco, padre e figlio, poi condannati in Assise rispettivamente all’ergastolo e a dodici anni. In appello la pena è ridotta a venti anni per Michele Lo Monaco, il figlio Luigi, ritenuto «immaturo» e quindi «non punibile» è inviato per tre anni in una casa di cura e di custodia.

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Articolo pubblicato il 10/08/2021