Il meccanico del Pilonetto, a Torino
Il meccanico Vittorio Massari

Di Ezio Marinoni

Il primo portone di via Sabaudia, sul lato sinistro per chi sale verso Cavoretto, si apre su un vecchio e signorile cortile, con un giardino e un loggiato e una villa al livello superiore.

Siamo ai piedi della collina, appena entrati nel cortile il rumoroso traffico di corso Moncalieri si zittisce all’ombra del verde.

Un cartellone campeggia su un basso fabbricato: Autofficina Pilonetto, in omaggio al nome del quartiere, del quale darò in calce alcune notizie (*).

Quel basso fabbricato sarà, ancora per poco tempo, un locale di lavoro: di cinque doppi portoni in metallo e finestrelle solo due sono ancora utilizzati per il transito delle vetture da riparare, le altre fungono all’interno da base di appoggio per i banconi da lavoro e ricovero per gli utensili.

All’interno gli attrezzi allineati con ordine e pulizia suggeriscono un patrimonio di competenze professionali maturate in decenni di esperienza sul campo, dall’apprendistato all’esercizio della professione di artigiano.

Non è un alfabeto delle cose perdute, come si intitolava un libro nostalgico di Francesco Guccini sugli oggetti del nostro passato; l’officina è un museo vivente del lavoro.

Cosa rimarrà di tutto questo, quando la generazione del meccanico Vittorio Massari smetterà il lavoro per godersi la meritata pensione?

Tante officine di autoriparatori chiudono con mestizia, una dopo l’altra, schiacciate dalla concorrenza troppe forte dei concessionari, delle garanzie che durano sempre di più, 

Quale memoria conserverà Torino, la città dei motori e la culla delle automobili, la Detroit italiana?

Voglio dare la parola a lui, al meccanico Vittorio Massari.

Lo intervisto nel piccolo locale ufficio della sua officina, in un caldo pomeriggio di agosto al termine di un’altra giornata di lavoro.

Ha 66 anni; il 31 agosto 2021 la sua attività chiuderà, non verrà rilevata da nessuno e un’altra officina diventerà un locale vuoto della non memoria.

Ha iniziato nel 1970 come apprendista a Rivoli, nella officina Sordi.

Dieci anni dopo, nel 1980, si è messo in proprio, in corso Cairoli 30, nel quartiere di Borgo Nuovo (fra gli ultimi residui della nobiltà di sangue e un brulicare di attività commerciali e artigianali che lo rendevano un ambiente unico nel contesto cittadino), in quello che era stato il locale del mitico elettrauto Pregno, il primo ad esercitare questa professione in Torino, in anni molto lontani.

Il figlio, Riccardo Pregno, aveva proseguito l’attività del padre, in un locale ubicato in via Baretti 34, presente nel volume “Annuario delle imprese artigiane della Provincia di Torino 1967”, edito da dalla Unione Provinciale Artigiani di Torino, che aveva sede in via Cernaia 20.

La ristrutturazione di quel palazzo, con lo sfratto a tutti gli affittuari, lo ha indotto a trasferirsi in via Sabaudia.

Secondo Vittorio il lavoro del meccanico è a rischio di estinzione, alla pari di tante altre attività artigianali; oggi la professionalità dell’autoriparatore conta meno di un tempo: scomparse le mance, la maggior parte dei clienti va in cerca del prezzo più basso, a volte fa effettuare due o tre preventivi per un piccolo lavoretto al motore, spezzando quel circolo virtuoso di fiducia che per decenni si era stabilito fra automobilista e meccanico, il medico dell’auto. In tempi di crisi e di riduzione di potere d’acquisto di ricchezza e salari, il cliente vuole spendere poco, un po’ come andare al discount a dispetto della qualità del prodotto alimentare acquistato.

Quando, nel 1970, Vittorio Massari ha iniziato a mettere le mani nei motori, l’elettronica era quasi assente; essa ha fatto il suo ingresso, prima timidamente con sempre maggiore decisione, a partire dagli Anni Ottanta, dopo la Marcia dei Quarantamila che ha segnato uno spartiacque nel modo di lavorare in fabbrica e sui rapporti di forza all’interno delle fabbriche.

Da allora il meccanico ha dovuto ricominciare da capo, con la tecnologia in costante avanzamento e l’esigenza di formarsi e aggiornarsi continuamente.

Fin dal 1980 Vittorio ha scelto di iscriversi ad una scuola di perfezionamento per meccanici (la C.A.A., il Consorzio Artigiani Autoriparatori, con 40 ore annue di frequenza), che ha seguito fino al 2018. Anche il corso è molto cambiato: all’inizio si studiava e si imparava soltanto sui motori, poi è entrata la lingua inglese tecnologica, in seguito si sono aggiunte leggi e normative di sicurezza e prevenzione, infine i rapporti con le banche e gli istituti finanziatori delle attività imprenditoriali.

Adesso ha deciso di smettere per l’avanzare inesorabile dell’età, fin che la salute è buona vuole concedersi riposo e tempo libero, svago e uno spazio di libertà per la persona.

L’innovazione sta portando al motore elettrico, che sarà la più grande innovazione della storia dell’automobile, nata con il motore a scoppio e con l’alimentazione a benzina, che è riuscita a soppiantare il cavallo, millenario mezzo di trasporto. In questa nuova impostazione, la parte elettrica ha bisogno di minor manutenzione (questo toglierà ulteriore lavoro ai meccanici autonomi), ancora a vantaggio dei concessionari.

L’alimentazione elettrica richiede un patentino di abilitazione per poter operare su questi motori; serve, inoltre, un locale con adeguate protezioni per i rischi connessi, eventuali scariche elettriche dal motore possono essere prevenute staccando una presa dal motore stesso prima di iniziare a lavorare.

L’autofficina Pilonetto chiude, in un luogo dove un meccanico lavorava dagli Anni Quaranta del Novecento.

Piccoli pezzi di storia se ne vanno, in una città che non ha avuto la capacità di creare un museo della industrializzazione o del lavoro in fabbrica. Altrove qualcuno li ha pensati, nella prima città industriale questo non è avvenuto.

Mi auguro che Torino si svegli dal torpore e non si vergogni del suo nobile passato, che è costituito anche dal lavoro di tante persone e molte generazioni di lavoratori.

(*) La storia degli ultimi cento anni di corso Moncalieri coincide con la costruzione di una chiesa: il Borgo del Pilonetto prende coscienza di se stesso da quel momento, da quando tal Michele Bert, un ricco possidente, fa erigere nel 1891 su terreni di sua proprietà (su progetto di Antonio Candelo e Corrado Gay) il Santuario del Pilonetto, attuale chiesa parrocchiale, che si affaccia su piazza Zara e sulla striscia di terra racchiusa tra il fiume e corso Moncalieri, tra il ponte Isabella e strada degli Alberoni.

Oltre alla chiesa viene fatto erigere un pilonetto votivo, provvisto di un crocifisso in cima, e collocato verso il fiume Po, che verrà abbattuto nel 1932 per la costruzione di corso Sicilia.

La chiesa sarà affidata all’Ordine dei Serviti, dal 2001 dipende dalla Diocesi di Torino.

Quasi di fronte alla chiesa, intitolata alla Madonna Addolorata, ubicata in corso Moncalieri 227, si trova la scuola materna e asilo infantile Borgnana Picco. La costruzione viene iniziata il 2 aprile 1904 su un’area offerta sempre dal signor Michele Bert, alla condizione che fosse retta dalle Suore. Progettista dell’edificio è Carlo Davise di Charvensod.

La chiesa del Pilonetto ha il suo piccolo mistero: conserva una copia recente del quadro “Madonna della Pietà” donato alla chiesa nel 1898 da una pia donna, Candida Genovese, che volle esaudire un desiderio della Vergine. Le testimonianze scritte dell’epoca narrano che la Madonna, durante un’apparizione in sogno, chiedesse all’umile popolana che la sua immagine venisse collocata al Santuario del Pilonetto, luogo di culto di cui la donna ignorava l’esistenza. Il quadro, scomparso a causa di un furto nel 1977, diviene da subito oggetto di venerazione popolare, che attribuisce al dipinto numerose grazie e prodigi verificatisi nel corso degli anni successivi alla sua collocazione sull’altare laterale destro.

@Ezio Marinoni

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Articolo pubblicato il 23/08/2021