Italia. La congrega delle canaglie

Pugno duro per tutti, quando i comuni cittadini non rispettano le regole anti-Covid, anche se irragionevoli nella loro rigidità. Invece per il rave party abusivo, si ricorre alla trattativa fra lo Stato e i balordi.

Negli ultimi dieci giorni, forse per dettare l’agenda al governo, complice l’incongruenza ed illogicità di alcune misure di contenimento al virus, si è sviluppato un dialogo ozioso sui media che ha visto la presenza di industriali, sindacalisti ed opinionisti compiacenti. Il motivo di tanto contendere ha riguardato l’incongruità tra l’obbligo a sottoporsi al vaccino per i lavoratori che frequentano i locali mensa, rispetto ai luoghi ove si svolge la normale attività lavorativo.

 

Dopo lungo ed inconcludente contendere su chi avrebbe dovuto negoziare o assumere l’iniziativa, ne è uscito un diktat rivolto al governo: “rendere la vaccinazione obbligatoria tramite un’apposita legge”. Tralasciando le indicazioni non perentorie da parte dell’Unione europea in merito all’obbligatorietà del vaccino e quindi per focalizzare quanto previsto dall’articolo 32 della Costituzione, ovvero ricorrere ad una legge ad hoc. Nessuno, nella furia vaccinale ha messo in evidenza perché il solerte Draghi sino ad ora non sia intervenuto.

 

Premesso che a settembre si prevede che l’80% della popolazione sia vaccinata e l’indice del contagio, ma soprattutto la mortalità sono ampiamente sotto controllo, è bene ricordare che i vaccinatori, al momento dell’inoculazione obbligano i cittadini a firmare lo scarico di responsabilità. Per cui, qualsiasi reazione al farmaco o situazione sanitaria si presenti, il cittadino risulta indifeso e nulla può pretendere dallo stato e dalla casa farmaceutica fornitrice.

Se il governo ed il parlamento approvassero  una legge vincolante, dovrebbero essere considerate, con serietà le cause ostative, sottoponendo il cittadino ad un supplemento di test ed esami e lo Stato darebbe vincolato ad accollarsi le conseguenze.

 

Potrebbe, nel corso dei prossimi anni, scatenarsi una Class Action tale da mettere in ridicolo l’imperio dello Stato e  prosciugare le finanze  pubbliche in caso di soccombenza.

 

Mai  come in questa circostanza, torna d’attualità la frase divenuta storica  pronunciata  nel 1770 da  Samuel Johnson e ripresa nel  film "Orizzonti di gloria" (1957) di Stanley Kubrick: “Il patriottismo è l’estremo rifugio delle canaglie”. Nel caso nostro “il Patriottismo vaccinale”.

 

In questi lunghi mesi abbiamo osservato di tutto.

La protervia dello stato e delle forze dell’ordine nei confronti di ignari  ed indifesi cittadini che contravvenendo a norme illogiche, sono stati ampiamente  multati e sanzionati.

Nell’ordine, chi per motivi giustificati, ma a volte difficili da documentare, viaggiava da solo in auto al di fuori della cinta daziaria. Chi in questi mesi, magari esausto consumava un caffè momentaneamente seduto al bar, ma privo di vaccinazione. Sorpreso dalle forze dell’ordine, imputato di reato  di contagio e multano con l’esercente.

 

Ma, allargando l’orizzonte, come risulta ampiamente in recentissime situazioni, come si comporta lo Stato canaglia?

E’ di sabato mattina la situazione che si è verificata nella zona arrivi dell’aeroporto di Milano Malpensa. A causa dei minuziosi controlli burocratici sulla compilazione dei modelli cartacei disposti per il rientro in Italia, oltre  700 viaggiatori in arrivo, hanno atteso per ore, ammassati prima di poter uscire dall’aeroporto. Una situazione sanitaria ampiamente rischiosa, ma il  poliziotto controllava i moduli e non si curava della calca e del conseguente rischio di contagio.

 

Un medico è intervenuto per far capire a quello sbirraccio la gravità della situazione ed è stato malamente redarguito con il rischio di subire una denuncia. Altra scena riferita da attendibili testimoni si è verificata sabato e domenica sui treni in arrivo a Torino dalla riviera ligure. Autentici carri bestiame con viaggiatori ammassati nei vagoni e nei corridoio, con convogli privi di aria condizionata. Aria irrespirabile e temperatura elevata, ma qui lo stato canaglia non si è fatto neppur vedere, per evitare le reazioni dei cittadini indifesi e dileggiati.

Ma il doppiopesismo dello Stato abbiamo potuto pesarlo in situazioni ancori più drammatiche ed incongruenti. Ci riferiamo in modo particolare all’ormai noto rave party.

 

Si fa  fatica a capire perché le autorità non siano riuscite a far nulla per far sospendere immediatamente il rave party iniziato nella notte tra il 13 e il 14 agosto vicino al lago di Mezzano, nel Viterbese.

 

Il raduno abusivo, in spazi pubblici e privati, è durato ben sei giorni. I partecipanti, circa 10mila, si sono assembrati, hanno consumato alcool, hanno ballato e prodotto rifiuti lasciati poi nel terreno e c’è stato anche un morto, un ragazzo di 24 anni. Altri due partecipanti sono stati ricoverati in stato di agitazione negli ospedali di Pitigliano e di Grosseto. Ci sono state anche due denunce per violenza sessuale. Ma nel frattempo una domanda sorge spontanea: tra quei 10mila non c’erano positivi al Covid?

Il Covid in quell’area non esisteva? Non esiste il rischio che ora i partecipanti possano portare il virus in tutta Italia e all’estero, visto che provenivano anche da altri Stati?

 

Surreale che si siano dovute fare addirittura delle trattative tra lo Stato impotente e un gruppo di balordi sprezzanti delle leggi.

 

Se l’emergenza Covid impone davvero sospensioni delle libertà democratiche per finalità superiori come la tutela della salute, non si capisce perché non si sia potuto sospendere fin da subito la libertà di riunione in un contesto certamente pericoloso per la salute e la sicurezza pubbliche.

 

Il ripristino della legalità non sarebbe dovuto avvenire dopo sei giorni ma immediatamente. L’area occupata andava sgomberata senza andare per il sottile. Tanto più che si trattava di un evento abbondantemente annunciato e che si ripete ogni anno. La salute pubblica e il rischio contagi avrebbero giustificato ogni intervento delle autorità. E invece il deflusso dei ragazzi è iniziato solo 5 giorni dopo, perché il cibo scarseggiava. Poi risulta che gran parte di costoro si siano trasferiti in altra area, con le medesime pretese. Lo Stato di diritto ha perso un’altra occasione per poter riaffermare la sua autorevolezza.

 

Un episodio davvero riprovevole che rimanda ad altre situazioni paradossali, in particolare quella degli immigrati che continuano a sbarcare sulle coste italiane spesso senza i dovuti controlli anti-Covid, disperdendosi sul territorio italiano.

 

Il pugno di ferro, invece, come già evidenziato, le autorità lo usano con i cittadini che vorrebbero una ragionevole flessibilità nell’applicazione di alcune regole. E invece si ritrovano ad essere vessati per comportamenti che non hanno nulla di pericoloso per la salute pubblica.

 

Il caos del green pass obbligatorio nelle mense ne è la riprova. Lavorare gomito a gomito in ufficio non comporta rischi di contagio, mentre consumare il pasto in mensa sì: questa sembrerebbe la logica delle assurde disposizioni vigenti, che finiscono per esasperare l’opinione pubblica.

 

La ricorrente e sistematica attitudine di chi governa a scaricare sui cittadini le inadempienze e le incapacità mostrate per mesi nella gestione della pandemia mette sempre seriamente a rischio il patto sociale e alimenta dubbi sulla efficacia delle scelte sin qui operate dalle istituzioni in materia di Covid.

 

D’altronde la cronistoria della pandemia ha sempre offerto perle di follia come la rincorsa ai runner sulla spiaggia con l’ausilio dei droni. La sensatezza delle disposizioni di legge le renderebbe più facilmente digeribili e applicabili e rafforzerebbe la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

 

Al contrario, l’utilizzo miope del potere fondato sulla paura non produce frutti, neppure in termini di difesa della salute.

E’ un mondo alla rovescia, ma fino a quando?

 

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Articolo pubblicato il 23/08/2021