Giuseppe Gabanna, da calderaio a inventore dello scafandro da palombaro
Giuseppe Gabanna e scafandri di sua produzione

Di Alberto Serena

L’alpe Gabanna si trova a 1633 metri in una valle del territorio di Pont Canavese, accanto al paese di Ingria, in Val Soana, e si trova sotto “l’Uja d’Ingria”, a 1921 metri.

La parola Gabanna, che veniva pronunciata “gabana”, stava ad indicare in dialetto piemontese la capanna e con tale nome sarà censito dai militari italiani nel 1900 diventando per tutti Alpe Capanna.

In quel sito alla fine del ‘700 vivevano delle famiglie che in comune oltre al freddo degli oltre 1600 metri avevano il cognome, perché si chiamavano tutti Gabanna, come una consuetudine atavica di tante borgate e chissà da quanti secoli si chiamavano tutti così.

Le solite mucche da pascolare e la solita vita montanara, dura e sempre uguale con mille difficoltà per tirare avanti, non era il massimo per quei giovani che fremevano per andare nella vicina Ingria o scendere a valle, a Pont Canavese, dove invece il lavoro non mancava e nemmeno la compagnia.

Oltre alla pastorizia, a quell’altitudine, per passare il tempo si diventava dei bravi “Magnin” o “stagnin”, per poter tirar su qualche soldo in più sistemando e rattoppando ogni genere di stoviglie di rame, dalle ramin-e (pentole), alle casse (mestoli a fondo piatto), dalle schiumarole alle secchie e agli scaldaletto.

Alcune famiglie si erano intanto trasferite ad Ingria, tra cui quella di Giuseppe Gabanna (1825/1830), a cui nel 1851 nascerà il suo primo figlio che chiamerà Giuseppe come lui e che continuerà l’arte dei “magnin” scendendo a Pont Canavese.

In una foto di Vittorio Besso di Biella, uno dei primi fotografi piemontesi, forse eseguita in un suo studio a Torino, venne ritratto il capostipite Giuseppe Gabanna con la moglie e cinque dei suoi figli, tra cui Elisabetta, una bambina morta in quei giorni, ma come era abitudine in certe famiglie ritratta con i genitori prima della sepoltura.

Questa foto, o “dagherrotipo”, dovrebbe essere stata fatta nel 1850/1855 in quanto Giuseppe senior (1825/1830), padre di Giuseppe (1851+30.11.1917) poteva avere sui 25/30 anni ed accanto ai genitori i figli Giuseppe, Fedele Battista (+ 7.6.1932), Antonia Maria Orsola ed Elisabetta (1858) e la sorellina morta.

Quando si giungeva nel paese si allargava un minuscolo cavalletto di ferro sul quale poneva uno spesso asse di legno dove si posavano gli attrezzi da lavoro, mentre di lato costruiva con mezzi di fortuna una piccola fucina e così iniziava il suo lavoro remunerativo e necessario rientrando a casa sentendo il suono delle monete guadagnate.

Molti di quei giovanotti scendendo a Pont Canavese finirono per accasarsi a Pont come i figli di Giuseppe senior, Giuseppe (1851+ 30.11.1917), Fedele Battista (morto a Pont + 7.6.1932) e Antonia Maria Orsola che si sposerà con Agostino Gea (1835+ 31.1.1883).

Giuseppe (1851+ 30.11.1917), si sposò con Maddalena Picchiottino (1852 + 6.2.1938 a Borgofranco d’Ivrea) figlia di Giovanni Antonio fu Antonio di Pont , che nel 1839 faceva il carbonaio e dalla loro unione nacquero ben 13 figli , tra cui le gemelle Maria Luigia Margarita (1874 ), Maria Caterina Pasqualina (1874 ) emigrata in America, nell’Illinois), Giuseppe Fedele (1880), Eugenio (1882+1946) (emigrato in Canada), Eugenia (1883 + 1976 ) (emigrata in America nel Missouri), Edoardo Giovanni (1885 + 1921) (emigrato in America nell’Ohio), Giuseppe (1887 + 12.4.1945), Angelo Mario (+ 10.1.1976), Ernesto Felice, Dante Serafino (+ 10.8.1977), Elisa (1899 + 9.12.1960) e due altri fratellini morti in tenera età.

Mentre quattro di loro emigrarono in America , gli altri, se ne stettero a Pont per un po’ in attesa di tempi migliori e intanto Giuseppe Gabanna il 23.10 1912 , a 25 anni, farà il militare nel 2° Genio come ufficiale e finita la leva e dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale, dove perse un occhio, si trasferirà a Torino dapprima in via Massena 70 poi in via Fréjus 44 con i fratelli Dante, Angelo ed Ernesto continuando a fare i calderai e i tubisti in grande stile, creando anche una piccola fabbrica di tubature

Tra un lavoro e l’altro incontrò nel 1911 anche la donna giusta per il suo cammino, Teresa Rolfo, e nel 1912 nacque il loro primo figlio, che, come consuetudine, venne chiamato Giuseppe (+ 11.7.1991).

Dall’unione dei due nacquero altri tre figli, Ferdinando Giuseppe Michele, Rita ed Eliana, ma soprattutto nella mente di quell’artista del ferro che era Giuseppe, stavano nascendo ogni giorno delle nuove idee su come far fruttare le mille capacità del ferro, che presero forma dopo la proposta di un lavoro su di una strumentazione per l’alta profondità che proveniva da un alto membro della Regia Marina, il Comandante Cuniberti.

La personalità brillante e fuori dal comune era tipica della famiglia Gabanna distinguendosi per la visionarietà del progresso che avanzava e la determinazione nel realizzarlo e questo in parte era frutto di quella caparbietà ereditata dalla dura vita di montagna.

Inoltre, tutti i fratelli erano molto uniti non solo a livello familiare e crebbero tutti insieme con le loro mogli e figli in via Massena a Torino creando così una comunità in città, come se fossero stati al paese.

Dalle lettere del Giuseppe Gabanna (1887 + 1945) emerge una grandissima dedizione alla moglie e ai figli, un senso dell’umorismo fuori dal comune, dove le battute, le filastrocche e le leggende di montagna erano presenti nella vita di tutti i giorni tra un’invenzione e un’altra entrando nel loro lessico familiare per le generazioni successive

Il Giuseppe Gabanna, che non era in possesso di una preparazione tecnica e scolastica particolare, ma era un autodidatta si mise a progettare tutto da solo, mentre i fratelli eseguivano avendo un grandissimo talento tecnico, questi strumenti, che poi furono brevettati e venduti alla ditta Galeazzi di La Spezia (conservati nel loro museo).

Rappresentano ancora oggi una tecnologia avveniristica e geniale paragonata alle normali attrezzature da immersione dell’epoca, a detta degli esperti del settore.

Le abilità artigianali e creative dei fratelli Gabanna, che avevano una squadra di operai di altissima specializzazione per l’epoca, spaziavano a vari settori e la ditta dei fratelli Gabanna era iscritta fra i membri dell’Unione Industriale di Torino.

Fra le opere di cui siamo a conoscenza: Il Ponte in ferro di Mulhouse, in Francia; gli impianti di distillazione della ditta Florio a Marsala; gli impianti di distillazione della Martini & Rossi a Pessione di Chieri; il tetto in rame della Chiesa di Sant’Alfonso di Torino.

Ma l’invenzione che diede lustro alla ditta Gabanna furono gli scafandri dei palombari testati con una nave al largo di Tripoli nell’arco di un periodo di un paio di mesi ed in seguito presentati ai gerarchi fascisti e rappresentanti delle istituzioni.

Giuseppe non si tirò indietro quando gli fu proposta la progettazione di un’attrezzatura marina e lavorando per anni con i fratelli, iniziò a costruire dei prototipi di scafandri in rame e cuoio.

Aveva già progettato vari impianti di distillazione per liquori, alambicchi, caldaie per riscaldamento ed altri marchingegni e tra i suoi maggiori clienti figuravano la “Martini & Rossi” e la “Cinzano”, applicando anche nuove tecniche professionali nel campo del vetro impiegando il “Pirex” (un nuovo prodotto a base di “borosilicato”, recentissimo per quell’epoca).

A quell’idea dell’attrezzatura marina che si sarebbe immersa nell’acqua con dentro un uomo vi lavorò per anni, mettendo a punto modelli di caschi, torrette e scafandri e nel far ciò fu spinto, oltre che dalla passione per il suo lavoro, anche da un senso patriottico.

L’impegno suo e dei suoi fratelli fu premiato, dopo numerosi tentativi e collaudi in mare aperto, concretizzandosi in una serie di prodotti all’avanguardia per quei tempi e decisamente migliori di altri forniti da altre ditte.

In particolare, la storia dell’elmo a grande visibilità si è protratta fino ai giorni nostri quando è stato ritrovato dal collezionista Christophe Poinclou in un mercatino.

Benché le loro invenzioni furono vendute al governo fascista, la famiglia Gabanna rimase apolitica e solo sul finire della guerra tutti i fratelli dovettero per forza prendere la tessera del partito per non emigrare, ma Giuseppe Gabanna, testardo e apolitico, fu l’unico che la rifiutò a scapito di mille problematiche.

Nel 1944 durante un bombardamento americano su Torino la ditta Gabanna, in via Fréjus 44, venne letteralmente distrutta dalle bombe.

La famiglia di Giuseppe Gabanna ha sempre mantenuto uno stretto legame con Pont Canavese, dove passavano la villeggiatura e dove sono sepolti parecchi fratelli e nipoti.

A Pont è sepolto Fedele Battista Gabanna morto il 7 giugno 1932 padre di Roberto, Celestina, Adelaide e Giovanni e sempre a Pont è morta il 6.2.1938 e sepolta una Picchiottino Maddalena vedova di Gabanna Giuseppe senior.

Tragica fine coglierà Giuseppe Gabanna quando il 12 aprile 1945 viaggiando su di un treno per lavoro, verrà colpito da delle mitragliate partigiane in quanto su quel treno erano stati segnalati dei tedeschi che stavano fuggendo, ma che venendo a conoscenza di quella trappola fatale fecero partire al loro posto un convoglio di civili, fra cui Giuseppe Gabanna

Il corpo martoriato del Gavanna fu ritrovato talmente contorto dal fuoco delle mitragliatrici che per poterlo seppellire fu necessario rompergli le ossa per metterlo nella bara.

Alberto Serena

 

Alberto Serena (Pont Canavese, 30 maggio 1948) residente a Biella, ha sempre amato la ricerca storica sul Canavese, la poesia e la scrittura.

Collabora con la rivista “Canavèis”, con “Terra Mia” e con il giornale “La Sentinella del Canavese”, è autore del libro “Dall’asilo al matrimonio in un piccolo paese del Canavese” (Atene del Canavese, 2021).

Ha condotto e pubblicato molte ricerche sulla vita di personaggi pontesi, salassesi e delle Valli Orco e Soana del secolo scorso.

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Articolo pubblicato il 26/08/2021