Il crepuscolo afghano della presidenza Biden

Dopo gli ultimi fatti di cronaca sta venendo fuori tutta la pochezza politica dell'Amministrazione Biden.

Lo ribadiamo, nonostante il clamore mediatico, la questione afghana non è una questione rilevante per la strategia globale americana. Tuttavia, rimane l’amarezza di aver condotto dall’inizio alla fine l’intera NATO in un pantano senza fine. Dopo i britannici e i sovietici, ora anche gli americani ne escono indeboliti, almeno a livello di immagine. E l’immagine in un’ Era come la nostra si sa, è tutto. Specie se a dare il colpo di grazia è un presidente modesto e incapace come Biden. La sinistra Lib-dem, presa dal livore anti-trumpiano, lo ha innalzato immediatamente a futuro statista; ricordando un po’ Obama, quando gli fu assegnato il Premio Nobel prima ancora di rivelarsi, insieme alla Clinton, un pazzo guerrafondaio destabilizzatore. Ma se Obama aveva almeno un’ottima ars oratoria, Biden dimostra tutta la sua pochezza quando smentisce la sua Intelligence in piena conferenza stampa, rivelando addirittura che l’esercito afghano potesse contenere tranquillamente l’avanzata talebana.

 

Tutto il resto è cronaca.

 

Non solo Kabul sarà invasa dai talebani, facendo piombare il Paese indietro di 20 anni; ma, “dulcis in fundo”, si fa per dire, è arrivato pure l’attacco all’aeroporto da parte di una cellula afghana dell’Isis (l’ Isis K – ovvero dello stato islamico del khorasan). Quello che doveva essere un ritiro ben organizzato e pianificato da anni si è rivelato un autentico disastro. E poco importa se la risposta americana è stata tempestiva contro l’ideatore dell’attentato. L’immagine che rimane impressa è quella di un ritiro mal fatto, comunicato pessimamente e che porta sul conto 13 militari americani morti. Da ogni punto di vista, un orrore mediatico, tattico e logistico di proporzioni bibliche.

 

Si aggiunge il fatto che gli americani non hanno mai condotto una vera analisi critica della cosiddetta “guerra al Terrore”; il tutto è stato liquidato come un mero rapporto costi-benefici da parte del Pentagono. E questo, lo ribadisco, dopo un ventennio di narrazione sui diritti umani e sulla guerra al terrorismo come strumento per esportare la democrazia risulta davvero insufficiente.

 

Ma il ritorno di 20 anni fa non lo dobbiamo solo all’avanzata dei talebani, ma alla retorica, al quanto contraddittoria, dello stesso presidente Biden. Se infatti fino a ieri ordinava il ritiro immediato delle truppe Usa dal medio oriente, zona a detta sua di completo disinteresse per la lotta la terrorismo, oggi, con lacrime di coccodrillo fa ricorso alla retorica di Bush, facendo leva sul sentimento di vendetta e di rivalsa, tipico di un’amministrazione in evidente difficoltà.

 

Il successo dei “taliban” corrisponde al successo della Cina e del Pakistan, di conseguenza esso costituisce l’ennesima sconfitta dell’India, del Commonwealth britannico e di tutta l’ anglosfera, la quale, come sopraddetto, ne esce mediaticamente distrutta e ridimensionata. Colpevole una narrazione fatta in questi anni dove le priorità strategiche Usa venivano mascherate da diritti umani, guerre umanitarie volte ad “impiantare la democrazia” o la “lotta al terrore”. Tutte queste amenità, tipiche delle nostre latitudini, oggi si trovano scoperte. Caduto il velo di Iside, oggi Washington mostra tutto il suo cinismo, dove a farne le spese sono i suoi alleati occidentali, e le povere donne afghane, vessate dalla peggiore creazione dell’ intelligence pakistana: i “taliban”. Quest’ultimi, finanziati per anni in ottica anti-russa da americani e sauditi, oggi si trovano dominatori di un’intera regione chiave per la nuova “via della seta cinese”. Vane saranno le speranze verso chi spera di recuperare il Paese tramite le divisioni fra tribù locali; così come ridicole sono le attese verso un possibile conflitto fra l’Isis K e i talebani, i quali fanno a gara a chi è più islamista e anti-occidentale.

 

I turchi puntano a farsi da garanti e mediatori della situazione afghana, idem Mosca che nutre gli stessi obbiettivi, ma con molte meno possibilità. Parigi e Londra, con l’aiuto del Qatar, puntano invece per le vie diplomatiche. Proporranno infatti, presso il Palazzo di Vetro, una risoluzione Onu volta a creare delle zone sicure per far partire dei corridoi umanitari. A poco è servito il lodevole impegno di Pontecorvo e di Claudi... ancora una volta l’Italia rimane indietro, e viene penalizzata, insieme alla Germania, dalla scelta strategica del suo Egemone americano. Difficile sarà sperare se per noi ci sarà un ruolo nell’Europa orientale o nel Pacifico; ad oggi risulta molto remota come possibilità. Di sicuro la nostra intelligence ne esce più forte dall’esperienza afghana, molto meno però sul piano del peso diplomatico avente all’interno dell’Alleanza Atlantica.

 

Nel frattempo, si prospetta una delle migrazioni di massa più grandi di tutti i tempi, e Roma, delegando a Parigi e a Londra la scelta di dove collocare i futuri profughi, ha tutta l’aria di essere tagliata fuori dalle trattative. Questo comporterà nuovi immigrati nella nostra Penisola, primo approdo continentale dal mediterraneo, destabilizzando non poco un governo già fortemente compromesso da componenti interne divise e litigiose.

 

Questa debolezza dell’Esecutivo, precedentemente accentuata dalla crisi economica e pandemia, oggi rischia di trovarsi ulteriormente palesata. Non riuscire a gestire l’esodo dovuto alla crisi afghana significa non riuscire a distinguere un’immigrazione autenticamente umanitaria con delle possibili infiltrazioni terroristiche, il tutto portandoci a rischi per la sicurezza nazionale senza precedenti. Auguri ad una classe politica sempre meno competente e a dei tecnici globalisti sempre più distanti dai problemi dei loro singoli stati-sovrani.

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Articolo pubblicato il 30/08/2021