Galleria ferroviaria del Frejus

Ha 150 anni e li dimostra tutti

Le belle donne han cominciato presto a curare il proprio aspetto: creme e massaggi; dieta e palestra; pochi affanni e tanto riposo. Qualche punturina dopo, fino al momento del bisturi: demolizione e ricostruzione. I giornalisti galanti, ne pubblicano allora delle foto che le ritraggono com’erano una volta, ma i lettori sono più interessati alle altre bellezze che stanno prendendo il loro posto e le liquidano voltando pagina.

Le foto del traforo ferroviario del Frejus, di cui ricorre quest’anno il 150° anniversario della apertura, sui media ne riportano l’imbocco da Bardonecchia, che conserva ancora la sua austera struttura; ma cosa c’è oggi dietro quella bocca, che si è nutrita delle carni di una trentina di scavatori e ne ha ingoiato una ventina per colera, dei circa 4.000 che vi hanno lavorato per più di un decennio?

La catena orografica alpina, che protegge dai venti freddi del nord, ostacola il flusso vitale delle merci. Il Marchesato di Saluzzo la violentò per primo nel 1480, col “Pertus del Viso”, ampio poco più d’un passo d’uomo. Vi transitarono innanzitutto, partiti dalla Camargue, grandi quantitativi di sale, bene prezioso, già parte della remunerazione in natura dei soldati della Roma imperiale, donde l’origine del termine “salario”. Il “Pertus” veicolò ricchezza ma era a 2.900 metri sul livello del mare e portare carichi pesanti e ingombranti a quell’altezza, specie in certe stagioni, comportava costi e difficoltà notevoli.

Non prevedeva un buco, come il “Pertus”, e sarebbe stato praticato oltre 1.000 metri più in basso,  il progetto d’un tunnel ferroviario sotto il Colle del Fréjus, presentato nel 1840 al Re Carlo Alberto da Giuseppe Francesco Medail, nativo di Bardonecchia, doganiere che di transiti di merci alle frontiere se ne intendeva. Allora la Savoia faceva parte del Regno di Sardegna, ma i tempi non erano maturi. Solo una ventina d’anni dopo, infatti, Vittorio Emanuele II dette inizio ai lavori, propiziati dalla diplomazia di Cavour, giacché nel frattempo la Savoia era stata ceduta alla Francia. Lo scavo ebbe una accelerazione straordinaria con le perforatrici automatiche, appena brevettate dagli ingegneri Sommellier, Grandis e Grattoni, usate per praticare i fori di mina dell’esplosivo: non più dinamite, ma polvere da sparo.

Il traforo de Frejus, inaugurato il 17 settembre del 1871, fu completato in metà dei 25 anni previsti e comportò la chiusura nello stesso anno e lo smantellamento poi della ferrovia “Fell” del Moncenisio, a cremagliera, che ebbe breve vita, costruita per una più rapida comunicazione con la Francia, collegata allora attraverso lo storico valico dello stesso monte con la carrozzabile ampliata da Napoleone, impraticabile d’inverno.

Di problemi ce ne furono tanti per lo sterro dell’ampia galleria ferroviaria del Frejus, a doppio binario, allora la più lunga del mondo coi suoi 12 chilometri, a cominciare da quello della ventilazione, mai efficiente, risolto in buona parte solo con la elettrificazione delle linee. Le manutenzioni, anche significative, cominciarono ben presto: uno smottamento ne ridusse subito la circolazione a binario unico per un lungo periodo, e le nuove dimensioni dei carri ferroviari circolanti in Europa hanno comportato nel tempo la necessità di rastremare i fianchi della galleria e allontanare le due linee di binari, ma si è finito poi col sopprimere il contemporaneo passaggio dei treni merci, cosa che ha frenato notevolmente il transito delle derrate mentre il progresso ne richiedeva la velocizzazione, cui è venuta incontro l’apertura del traforo stradale.

Il problema di sempre delle gallerie ferroviarie è quello della sicurezza, sul quale ha posto l’accento un Decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 2005, emanato in conformità con indirizzi elaborati dalla Commissione europea, teso ad assicurare l’adozione di misure di protezione e prevenzione atte alla riduzione di situazioni critiche che possano mettere in pericolo la vita umana e l’ambiente.

Il tunnel del Fréjus ha reso un servizio eccezionale e ha contribuito non poco allo sviluppo dei traffici del centro Europa, ma non è in grado di fare di più. Va conservato e manutenuto però, innanzitutto per la sua memoria storica, che lo rende precursore di certe grandi opere di ingegneria per pubblico interesse, e anche perché, comunque, è in grado di smaltire a prezzi concorrenziali molto del traffico minuto di persone e cose delle alte Valli di Susa e della Maurienne.

Galleria ardita, mostra oggi purtroppo la sua inadeguatezza non solo sotto il profilo della sicurezza; ha strizzato l’occhio all’avvenire, ma il tempo è impietoso non solo con la bellezza delle donne.

 

Si vales, vàleo.

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Articolo pubblicato il 06/09/2021