L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Carlo Mariano Sartoris: la bellezza primordiale dimenticata

Passeggiata tra i paradossi di un modello di vita che abbrutisce la nostra madre Terra

XIXº secolo: la rivoluzione industriale ha dato il via a una nuova epopea nella storia del mondo. Anni ‘50: la rivoluzione digitale, secondo evento epocale che ha rimpicciolito il Globo e scardinato un secolare vivere scandito dai ritmi della natura.

È stato un distacco graduale, accelerato nel tempo, ma oggi, reminiscenza ed evidenza ci stanno rendendo consapevoli. I danni procurati al Pianeta dal nostro stile di vita sono rovinosi e riconosciuti, ma il riscaldamento globale nasce dal basso, dai nostri capricci, dai nostri compromessi, da rinunce mancate, spesso rinnegando una dottrina di vita che funzionava bene addietro.  Sarebbe il momento di un profondo Rinascimento interiore?

Cose che passano per la mente ricordando un tour turistico per il Trentino: 400 km a est di Torino. Un altro mondo appena un po’ più in là. Un’isola felice rimasta legata al territorio e saldamente poggiata su un’interazione uomo-natura come dovrebbe essere ovunque, com’era dalle nostre parti neppure troppo tempo fa. Quadri di cristallina bellezza che infondono un’aulica atmosfera, come se si entrasse in un paesaggio di Monet.

Dalle parti delle Dolomiti l’architettura è in armonia col territorio, la politica locale sostiene le operosità delle borgate alpine, il legame con i prodotti autoctoni è molto forte, la tutela del sottobosco, delle strade bianche e dei sentieri è molto accurata, il che favorisce la prevenzione degli incendi, ma sono ancora altri i divari con la nostra quotidianità regionale. Il tutto è una questione di reciprocità con il rispetto, il contegno civico e l’intelligenza: innati elementi della bellezza.

Salta all’occhio il connubio tra riguardo e armonia. Le strade sono curate, prive di buche, i fossati del tutto liberi e le attenzioni a una natura riverita rallegrano lo sguardo, tanto quanto la pulizia e il rispetto del suolo su cui si cammina; segni di civiltà e di attenzione alla sostenibilità del territorio, all’impronta dell’uomo su quell’angolo fortunato di pianeta.

Disgrazia vuole che, in troppi luoghi la cieca villania umana disperda ogni tipo di rifiuto destinato a farsi sgradevole eredità di tutti. Alle prime piogge finirà nei canali di scolo e prima o poi arriverà al mare. Anche una singola cicca.

Ritornando al Piemonte, che da giovane rammento come regione etica e rispettosa, oggi fatico a riconoscerla com’era. Centri storici e paesini resistono, ma verso le periferie sale il degrado e la perdita d’identità. Le strade urbane e suburbane sono percorsi a ostacoli cosparsi di buche, dossi demenziali e rattoppi, veri supplizi per le persone doloranti. Molti suoli sono pattumiere a cielo aperto, i fossati ai bordi delle strade sono discariche da finestrino. Non vi è più rispetto né controllo, nessuna educazione. In troppi tacciono complici passandoci accanto.

La montagna poi, primo monumento della nostra regione, per anni brutalmente urbanizzata nel nome del business, altrove è stata abbandonata. Piangono le frazioni deserte e l’economia montana sgretolata in fretta. I boschi, lasciati a se stessi, sono pacchia per incendiari e scivoli per inondazioni.

Tutto questo non è un paragone tra due regioni del Nord e basta. E’ un faro su come siamo diventati: multiformi, distratti, individualisti tecnologici sempre più distanti da una cultura naturalista, anzitutto da parte di autorità preposte alla difesa di un territorio emarginato, “deposito” per tossici scandali da smaltimento e affari per criminali impuniti. Non c’è bellezza in tutto questo, ma al supermarket va forte il “bio”.

Siamo abili in evoluti aggeggi elettronici, ma anche scossi da incertezze, da paure e da un “qualcosa” ignoto; sinistro male assoluto che avanza. È percepito a pelle. Alcuni ne parlano, lo avvertono senza che ne dica il Tg delle otto. Quella parte animale che ancora discerne molti di noi da un automa, riscontra il mutamento.

Le sensazioni di armonia che fluiscono da un habitat naturale, stimolano il primitivismo ancestrale e le nostre onde morfogenetiche incrociano segnali di appartenenza ad altro. Tra la bellezza di odori, colori, silenzi e fruscii immutati da sempre, affiorano le incoerenze e i nervosi paradossi in cui ci piace vivere,  scordando la facoltà di valutare con pertinenza e istinto il nostro agire quotidiano.

Siamo ingabbiati in un sistema preordinato, in una 5G dal freddo linguaggio binario a cui abbiamo offerto ogni privacy. Ci possiede, lo sappiamo. L’informazione livellata è la prima a deragliare, sedotta da eclatanti scoop figli del “progredire” all’anglosassone, e quasi ci piace sia così. La bellezza di un lessico riservato, distinto e rispettoso è storia di tempi in bianco e nero.

Ogni uomo che calpesta la pelle della Terra, lascia un segno della sua presenza. Noi occidentali viziati e senza più nerbo, riempiamo i carrelli al supermercato, sprechiamo acqua in quantità, abusiamo dell’elettricità, abitiamo grandi case conficcate nel terreno usurpato, mangiamo molto e molto lo sprechiamo: comodità; igiene; velocità. Bellezze illusorie, gesti invadenti, anche dei più attenti fan della raccolta differenziata. Mentre intanto, i giovani che studieranno robotica, già si allenano alla PlayStation.

Nel frattempo, brucia la bellezza della foresta equatoriale, galleggiano orride isole di plastica nel mare, stanno scomparendo elefanti, tigri, tonni, squali, balene e altre centinaia di irripetibili meraviglie viventi, il tutto per mano della razza dominante. Lo sappiamo, ci aggiornano suadenti documentari.

Non è prevista un’inversione di tendenza, ma una passeggiata nei boschi può aiutare a risvegliare qualche memoria assopita; noi apatici complici di una manipolazione della mente che ci trascina in un graduale torpore, incapaci di risanare la convivenza uomo-natura, proiettati verso un annunciato epitaffio del Pianeta Vivente, sulla cui salvaguardia non sono mancate fatue asserzioni politiche. D’altro, poco o niente. Chi fermerà le petroliere?

Dunque eccoci pervenuti in questo settembre 2021 d’obbligo vaccini e fuga dai talebani, di green pass in campagna elettorale. È privo di bellezze per noi democratici, europei, italiani, piemontesi… gente sviluppata che non vuol morire mai, per ora quasi emancipata da un virus partorito in un laboratorio di Wuhan. Noi grande famiglia conteggiata nei dati e “tutelata” dalle telecamere.

Noi schedati, esodati, privati di confini e di contanti, tutti in fila a dire “signorsì”, decadenti, suddivisi, depistati, sapientoni giustizialisti da tastiera plurilaureati in Web, a sfogarci scurrili sui social, noi con la verità in tasca a rissare sul nulla, estirpati da un che di primigenio con cui ci raffrontiamo sempre meno. Da quella naturale bellezza matematica che scandisce l’andare di tutte le cose, bellezza divina già patrimonio delle teorie euclidee. Da quel rapporto 1,618 che oggi non sappiamo più riconoscere.

Nel frattempo altre sonde partono per Marte, ma a far che? La luna è calante d’interesse, l’atmosfera zuppa di metano e CO2 è circondata da rottami spaziali, nuovi satelliti sbirciano le nostre case, mentre chi può gioca a monopoli, distratto e sedotto dai bitcoin, dall’andamento della borsa…

La bruttura che si espande è ovunque: tra miliardi di genti alla fame, enormi miniere di litio, dittature bancarie, storpiature politiche, volgarità in tv e ghiacci che si sciolgono come la sapienza e il senso dell’appartenenza. Remote bellezze evaporate come neve al sole.

Ma forse non è grave. Quando dovessimo inaridire anche l’ultima bellezza del nostro Pianeta Vivente, il resto dell’infinito firmamento non se ne accorgerà minimamente…

Si ringrazia per l’ispirazione il film imperdibile del Maestro Ezio Gribaudo: ”La bellezza ci salverà”, presentato fuori concorso al 38º concorso Torino film festival 2020. 84 minuti di sapienza, di verità e di rivelazione.

TRAILER: https://www.youtube.com/watch?v=_Z60H70KZCA

   

     Civico20News

Carlo Mariano Sartoris

        Redattore

 

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Articolo pubblicato il 12/09/2021