Oltre il Nichilismo. Seconda Parte

Del Gran Maestro Emerito della GLDI, Prof .Antonio Binni

di Antonio Binni

 

3. Il nichilismo, com’è noto, ha trovato il suo più solido fondamento e, soprattutto, la sua piena rivincita nella tecnologia e nella scienza contemporanea che, lungi dall’essere manipolate dagli Stati o da interessi privati, sono, in realtà, i veri attori dell’universo mondo. La tecnica, nella sua dimensione reale, si mantiene però sempre aperta fra due possibilità di lettura, senza che l’una annulli l’altra. Questa doppia possibilità impedisce allora di considerare la tecnica come il solo sistema che ingabbierebbe senza via di scampo la vita degli uomini.

Dunque non risponde affatto a verità che la tecnica sia l’unica e sola via che porterebbe alla gestione perfetta e felice della nostra vita, come si tende invece a accreditare con martellante ripetitività.

Non potendosi, data la sede, approfondire l’argomento, ci limitiamo allora a osservare:

a) che l’uomo è reso potente dalla tecnica che è capace di performarci fino al punto di farci diventare inutili e superflui. Come ha immaginato il creatore del Golem e, soprattutto, dimostrato l’ormai diffuso fenomeno della intelligenza artificiale, le cui ricadute sul mondo del lavoro sono oltremodo gravi e preoccupanti, visto che l’automazione di molti processi produttivi e distributivi finora svolti o controllati dagli uomini porta fatalmente alla scomparsa di molti profili occupazionali;

 b) che l’uomo di oggi non può né escludersi, né estraniarsi dalla tecnica neppure richiamando e insistendo sui valori “umanistici”, ossia riaffermando la centralità dell’uomo e dei suoi fini per la semplice, quanto però decisiva ragione che la tecnica non solo appartiene a questo mondo, ma addirittura lo costituisce da cima a fondo. Ne segue che, anziché impaurirsi di un possesso inevitabile, occorre invece affrontare il problema con coraggio e lungimiranza, quanto dire, accettare la sfida. Profilo che è invece completamente ignoto al pensiero nichilistico. A riprova e conferma di un inquadramento insufficiente di una realtà che, in quanto dinamica, abbisogna di una analisi più penetrante.


4. Il nichilismo è il regno del deserto. Potremmo però ragionevolmente chiederci se, nella nostra esperienza, siamo disposti a perdere tutto o se, invece, vi è qualcosa che vogliamo salvare perché ci interessa di salvare: qualcosa alla quale non siamo disposti a rinunziare, qualcosa che nella realtà ci sembra troppo prezioso da non potere perciò sacrificare.

 In così dire, si apre la riflessione sul bene più prezioso costituito dalla libertà, nel nichilismo ridotta invece a una semplice illusione, perché l’uomo sarebbe in realtà determinato unicamente dalle leggi necessarie della natura, condizionanti, secondo l’antico insegnamento di Schopenhauer.

Noi siamo invece profondamente persuasi che, all’opposto, esiste sempre una possibilità di scelta, visto che tutto ciò che esiste al mondo non è riducibile a leggi fisiche. Squalificare la libertà, come insegna il nichilismo, equivale a squalificare l’uomo che nella libertà ha la sua cifra distintiva più nobile, la sua peculiarità più preziosa, il suo problema irrinunciabile. Né aiuta a sostenere il contrario la pur connessa dottrina dell’eterno ritorno dell’uguale. Il ciclo vede, infatti, il viaggiatore sempre diverso, oltre che sempre orgogliosamente libero. Libero di essere sé stesso perché in questo essenzialmente si esaurisce il senso profondo della libertà, come capacità di scelta fra le diverse possibilità offerte dalla realtà, ossia di scegliere liberamente ciò che si è.


5. La critica più severa che noi muoviamo al nichilismo, in tutte le forme in cui è stato declinato, è costituita però dal fatto – irrinunciabile – che questa dottrina ruba all’uomo la speranza. Quella speranza che accompagna la possibilità di potere realizzare, direttamente o indirettamente, ogni progetto. Quella speranza che trascende la vita quotidiana, che la rende perciò meno agra, perfino più dolce, in quanto “prova di ciò che non si vede” (Eb. 11,1).

Se, come ha sostenuto Heidegger in una nota intervista ora pubblicata nel volume dal titolo “Ormai solo un Dio ci può salvare” (Milano, Guanda, 1988), non si può allora non convenire sulla necessità di salvaguardare questo bene che contiene in sé l’ansia del miglioramento della situazione in essere e dei desideri di chi lo mette in atto.

Speranza: slancio vitale che proprio quando si è voluto evitare, prepotente si riafferma invece come dimensione irrinunziabile dell’essere umano che deve continuare a salvaguardare la sua dignità di uomo nonostante l’esperienza del male. Rinunziare a questa spinta significherebbe rinunziare a essere uomini. Non si può dunque lasciare l’ultima parola né alla alienazione né al disagio che pure esistono. La vita va accolta illuminata però da quella possibilità realizzativa che è insita nella speranza che è posta in un oltre, insieme presente (perché c’è) e assente (perché va ricercata).


Concludendo. Sulla scorta delle plurime argomentazioni addotte, ci lusinghiamo, all’atto di prendere congedo, di avere dimostrato alcune delle più importanti manchevolezze del nichilismo emerse, fra l’altro, in maniera palese durante la situazione di incertezza globale venutasi a creare a causa della nota pandemia.

Nello specifico abbiamo messo il cono di luce particolarmente sul punto nel quale il nichilismo mostra tutto il suo limite insuperabile, vale a dire su quella speranza che era già stata al centro della riflessione di Kant, quando il metodico e acutissimo Maestro di Konigsberg si domandava: “Cosa mi è consentito sperare?” (in Critica della ragion pura, Bari, Laterza, 1981, 612).

Il nichilismo non potrà, dunque, mai essere la filosofia del massone, uomo padrone della sua interiorità tramite la quale è chiamato pure a confrontarsi con la trascendenza, senza mediazione di un qualsiasi garante che non sia la sua severa coscienza, la sua costante ansia di libertà, la sua indicibile gioia di Verità. Il massone, nella sua dimensione più elevata, deve restare stoico perché questo è – e rimarrà sempre – il suo principale, anche se non esclusivo, credo filosofico.

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Articolo pubblicato il 18/09/2021