Afghanistan: l'Emirato dis-unito dei Talebani

La storia dei talebani e le loro divisioni interne

Non si può capire l’Afghanistan senza capire i talebani, i quali alleati con il movimento terroristico globale al-qaida, operano principalmente all’interno del paese ma hanno interessi e ramificazioni in diverse aree del Medio Oriente, specie nella penisola arabica e in Egitto. La strategia e l’ideologia talebana è stata influenzata nel tempo da molteplici fattori:

 

• la cultura guerriera del popolo afghano;

• l’invasione sovietica del 1979 e il movimento dei mujahidin che combatté tale invasione;

• la guerra civile e il fenomeno dei venditori d’armi(warlords) che seguì il ritiro sovietico del 1989;

• il pensiero religioso che viene insegnato nelle madrase (scuole coraniche);

• l’accettazione iniziale del movimento dei taliban da parte della popolazione prostrata dalla guerra;

• la caduta del governo talibano nel 2002 in seguito all’invasione Usa;

• il fenomeno terroristico e di liberazione dall’occupante che segna il paese.

 

La maggioranza dei taliban è di etnia pashtun (di origine persiana quindi) e di religione musulmana sunnita (come il 97% della popolazione afghana). Questa etnia (oggi circa il 42% della popolazione totale) è sempre stata maggioranza relativa nel paese, occupandone principalmente i territori centro-occidentali, meridionali e orientali. Ma i pashtun sono presenti in gran numero anche oltre confine, specie in Pakistan (aree tribali) e in Iran. I pashtun hanno notevoli capacità combattive, specie nelle guerre asimmetriche e non convenzionali. Nessuno tra i vari invasori delle loro terre ne ha mai preso davvero il controllo. I pashtun non sono inclini ad accettare forme di governo rigido, contro il quale sono disposti a battersi con ogni mezzo.

 

I taliban originari (da talib, «studente coranico») nascono nei primi anni Novanta nei campi profughi pashtun situati nelle aree tribali pakistane (FATA - Federally Administered Tribal Areas), dove una visione selettiva e alterata dell’islamismo wahhabita aveva fortemente influenzato l’insegnamento religioso nelle madrase. Gli studenti coranici adottarono un approccio ultraconservatore ai problemi politici e sociali per ristabilire l’ordine nel paese devastato dalle dispute fra i signori della droga e della guerra.

 

Ma veniamo ad oggi. Sulle 33 cariche annunciate dal nuovo esecutivo, solo due non sono finite ai pasthun. Tuttavia, una delle due è quella di capo di Stato maggiore delle Forze armate, andata al tagiko Qari Fasihuddin. Benché subordinata al ministro della Difesa e benché l’esercito sia tutto da ricostruire, la nomina conferma che per conquistare il Nord del paese i taliban in questi anni si sono dovuti appoggiare a ceppi diversi dal loro.

 

Altra frattura dirimente è quella fra il Sud e l’Est del Paese. Nelle province orientali domina il clan degli Haqqani, che non è esattamente fedele alle gerarchie dei taliban, essendo tornato sotto l’ala del movimento soltanto negli ultimi anni. La non latente competizione fra Est e Sud è il motivo per cui l’Afghanistan è stato conquistato più rapidamente di quanto si aspettassero gli americani, perché gli Haqqani hanno velocizzato la presa di Kabul per aumentare il loro peso. Tuttavia, sono stati emarginati nel nuovo governo, avendo ottenuto soltanto un ministero di rilievo (l’Interno, dato a Sirajuddin Haqqani, ricercato dagli Usa come terrorista internazionale), mentre puntavano al primo ministro o quantomeno a uno dei vicepremier. Ciò spiega la lunghezza delle trattative per annunciare il governo, durate 24 giorni.

 

Composto per lo più dalla vecchia guardia talebana, il nuovo governo di Kabul riflette quindi rapporti di potere estremamente variegati al suo interno.

 

La struttura di potere del nuovo Stato talebano prevede un leader supremo come capo indiscusso del Paese e guida religiosa. A lui si affiancano 12 membri suoi fedelissimi, i quali vanno a costituire con il leader stesso il Consiglio Supremo, organo che ha il diritto di veto sul Governo.

 

A seguire, il governo vero e proprio, composto da 33 ministri “ad interim”, i cui ruoli chiave sono sei, rispettivamente quelli del primo ministro, i due vice-premier, il ministero della Difesa, quello degli Interni e quello degli Esteri.

 

Ma fra il Consiglio Supremo e l’Esecutivo pare ci siano già dei dissapori interni.

 

In particolar modo fra il viceministro e il leader supremo.

 

Sotto l'influenza del Pakistan e del Qatar, il Capo dell’emirato e leader supremo dei talebani è Haibatulà Ajundzada; il quale mantiene da anni il fondamentalismo religioso tipico dei gruppi jihadisti. Al contrario, il vicepremier mullah Abdulghani Baradar aspira a guidare la transizione da un'organizzazione insorta a uno stato moderno.

 

Queste differenze di prospettiva potrebbero frammentare i talebani.

 

Il governo transitorio formato dai taliban fornisce importanti indicazioni sui rapporti di forza interni ed esterni all’Afghanistan.

 

Giorni dopo la cattura di Kabul, il 15 agosto, i leader talebani hanno iniziato a trasferirsi in città da altre parti del paese e dall'estero. Uno dei primi ad arrivare è stato il Mullah Abdulghani Baradar, figura chiave negli accordi con gli Stati Uniti e che tutti preannunciavano come il nuovo presidente dell'Afghanistan. Tuttavia, quello che è rimasto in secondo piano è stato il leader supremo dell'organizzazione, Haibatulà Ajundzada, un religioso enigmatico che non si vedeva da anni e che inizialmente era contrario ai negoziati con Washington.

 

I primi segnali di scontro tra le due fazioni per formare il nuovo governo mettono in dubbio la capacità dei talebani di trovare un equilibrio tra pragmatismo politico e fondamentalismo religioso. Mentre Baradar cerca di raggiungere compromessi politici dentro e fuori l'Afghanistan, il Mullah Ajundzada desidera mantenere intatta la natura fondamentalista e salafita del movimento, con uno stile occulto tipico dei leader jihadisti. Per il momento l'ala dura non ha accettato la via del dialogo, ma il modello proposto da Ajundzada condanna il secondo emirato ad essere una ripetizione del precedente.

 

Con un simbolismo che non lascia spazio al caso, i Talebani hanno insediato il nuovo governo l’11 settembre. Il Dipartimento di Stato americano ha criticato velatamente la composizione del nuovo governo ad interim, evidenziandone la mancanza di donne e di figure d’opposizione. Gli Stati Uniti hanno ribadito che giudicheranno il gruppo “dalle sue azioni, e non dalle parole”, ma molti ritengono che la nomina di Haqqani come ministro degli esteri (terrorista ricercato dagli USA) rischia di compromettere fin da subito ogni ipotesi di confronto con Washington.

 

La chiave per il futuro impegno diplomatico statunitense con i talebani sarà il Qatar, che dal 2013 ha ospitato un ufficio politico dei talebani a Doha. La capitale del Qatar è stata anche la sede dei colloqui di pace sostenuti dagli Stati Uniti tra il governo afghano e il gruppo militante jihadista. Sede della più grande base aerea americana in Medio Oriente, il Qatar ha aiutato le forze armate statunitensi a ospitare temporaneamente decine di migliaia di sfollati che sono stati trasportati in aereo dall’Afghanistan dopo “l’improvvisa” vittoria dei talebani il mese scorso. Insieme alla Turchia, il Qatar sta gestendo il ripristino dei primi voli passeggeri all’aeroporto internazionale di Kabul. Al momento sono le forze speciali dal Qatar a controllare la sicurezza all’interno dell’aerostazione, in un’atmosfera molto diversa dal caos di luglio.

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Articolo pubblicato il 17/09/2021