Costituzione: Tra ambiguità e necessità

La carta fondamentale va adeguata ma oggi resta il grande presidio della libertà

Il rivolgimento sociale e culturale provocato dall’emergenza sanitaria, con tutti i suoi risvolti oscuri e  inquietanti, ha posto sul tappeto un tema di grande rilevanza di cui peraltro nessuno sembra curarsi, in particolare il mondo della politica, tutto preso nei suoi giochi di potere a cui l’emergenza ha offerto il terreno ideale per dare sfogo a tutta la sua retorica, alla sua irrazionalità, alla sua ipocrisia.

Il tema è quello di una Costituzione che, di fronte a un’emergenza vera o presunta, ha dimostrato la sua inadeguatezza nel fronteggiare le pulsioni autoritarie dei pubblici poteri e, più in generale, ha evidenziato il suo radicale superamento da parte di una realtà contemporanea, nazionale ma soprattutto sovranazionale, che non è più ovviamente quella del secondo dopoguerra quando fu concepita e redatta.

In questi mesi, tuttavia, la Costituzione ha dimostrato egregiamente la sua preziosità giuridica e politica nel ricordarci ogni giorno quali fossero i valori irrinunciabili a fondamento della nostra convivenza civile. Non ricordo un altro momento nella nostra storia -a partire dal 1948- in cui quei valori fossero messi così pericolosamente a repentaglio con l’eccezione, forse, degli anni bui del terrorismo. E’ indubbiamente vero che i beni preziosi si riconoscono quando si rischia di perderli, e soprattutto quando tutti rischiano di perderli. Cosa che gli italiani hanno sperimentato amaramente a partire dalla primavera dell’anno scorso.

La cosiddetta pandemia è stata sì un grosso problema sanitario, ma è stato anche e soprattutto un disastro civile e culturale che non tutti hanno percepito, sommersi da una paura materiale troppo spesso ingigantita e sfruttata da una informazione esondante e paranoica.

Una paura che ha prodotto un degrado fortissimo della sensibilità civile, democratica, culturale del paese, quella sensibilità che è raccolta e narrata, appunto, nella nostra Costituzione, una carta che fino a pochissimo tempo fa le forze che si autodefinivano più consapevoli e democratiche non perdevano occasione di esaltare come stella polare della nostra vita comunitaria con toni spesso sopra le righe e prossimi all’esaltazione mistica. Poi, un semplice microorganismo sconosciuto ha messo in crisi quella costruzione edificata dalle migliori menti giuridico-politiche della prima metà del novecento.

Si è compreso come l’asse portante della nostra Carta (ma di quasi tutte le carte costituzionali dell’occidente) e cioè il principio di libertà individuale non fosse poi così solidamente definito e tutelato, al punto di vederlo cancellato, non per singoli individui ma per un intero popolo, talvolta tramite semplici  provvedimenti amministrativi, pur ambiguamente richiamati da un atto con forza di legge, sorvolando su due principi fondamentali come la riserva assoluta di legge e la riserva, ugualmente assoluta, di giurisdizione.

La crisi del principio generale di libertà ha portato con sé quella delle altre sue sotto-categorie: la libertà di movimento, la libertà di associazione, la libertà religiosa, la libertà economica, la libertà di istruzione fino all’ultima -forse la più drammaticamente insidiata- e cioè la libertà di cura insita implicitamente nell’articolo 32, articolo che in queste ultime settimane ha subito una quantità di interpretazioni contrastanti quale  nessun altro articolo ha mai subito.

Il rischio, tradotto nell’obbligo per l’essere umano di essere sottoposto contro la sua volontà ad un trattamento genetico sperimentale e potenzialmente pericoloso, è sicuramente quello più grave che oggi incombe sugli italiani e non è assolutamente scongiurato dal momento che diversi giuristi interpretano quell’articolo in senso favorevole all’obbligo.

Un altro tema, la cui assoluta importanza sembra sfuggire a molti, è quello dello stato di emergenza.

Esso non compare in Costituzione, che prevede unicamente lo stato di guerra all’articolo 78, ed è regolato solo  dalla legge 225 del 1992 sulla protezione civile che è, come evidente, una legge ordinaria. Resta quindi il nodo dei suoi rapporti con la sovraordinata normativa  costituzionale.

Alcuni giuristi (ma anche il Tribunale di Pisa nella sua sentenza n. 419 del 17 marzo 2021) ritengono che tale legge non possa essere applicata alle situazioni di rischio sanitario e che pertanto lo stato di emergenza come utilizzato dai governi Conte e Draghi sia decisamente illegittimo sotto il profilo costituzionale.

Ma il vero problema è che un simile strumento (sicuramente utile in determinate circostanze emergenziali ma potenzialmente lesivo dei diritti individuali e collettivi e dei principi inderogabili dell’ordinamento) non abbia una definizione e una normazione a livello costituzionale. Così come il decreto legge, lo stato di emergenza si può molto facilmente prestare ad abusi da parte di governi che, come quelli ultimi, non sembrano avere una coscienza democratica particolarmente radicata e raffinata.

E, a seguire, rileva anche il tema del rapporto fra normativa nazionale e normativa europea, anche questo non ben chiaro al governo in carica nonostante la presidenza Draghi, uomo d’Europa a tutto tondo. La nostra Costituzione per lungo tempo ha affidato la definizione di questo rapporto, in termini piuttosto vaghi, agli articoli 10 e 11, e solo nel 2001 ha aggiunto un altrettanto vago accenno all’”ordinamento comunitario”  nell’articolo 117.

Decisamente troppo poco per una nazione che è parte fondante e  integrante dell’Unione europea ma che non ha ancora risolto a pieno il nodo dei rapporti fra il suo ordinamento -soprattutto costituzionale- e quello dell’Unione, se si eccettua il generico principio di “sovraordinazione” della legislazione europea. Il pasticciaccio brutto del green pass italiano in palese contrasto con quello europeo, con la ulteriore vergognosa omissione dei non vaccinati volontari nella traduzione del regolamento, ne è un esempio lampante e umiliante, così come l’assoluta indifferenza delle norme italiane anche nei confronti del pronunciamento del Consiglio d’Europa che vieta ogni discriminazione verso i non vaccinati.

E infine l’ultimo aspetto -ma ce ne sarebbero ancora altri- e probabilmente il più delicato e doloroso. Quello riguardante il presidente della Repubblica.

Che la figura del presidente della Repubblica appaia pleonastica a molti è fuor di dubbio. Quei molti che si chiedono quale sia la sua vera funzione, visto che si tratta di una figura più alta rispetto a tutte le altre previste in Costituzione ma carente sotto un profilo essenziale: la mancanza di legittimazione popolare.

E che la figura più eminente, quella più elevata, di più alta garanzia nel nostro ordinamento sia completamente sottratta al giudizio del popolo appare per molti versi incomprensibile, così come quella del capo dell’esecutivo che da anni ormai non ha più nessuna connotazione democratica. E in questi ultimi mesi la figura presidenziale è stata sicuramente al di sotto del suo compito principale: quello di garanzia dell’ordine costituzionale.

E’ mancata, a nostro avviso, la vigilanza sull’adempimento della Costituzione formale da parte del governo, legittimando di fatto una costituzione materiale che l’esecutivo si è creata a suo uso e consumo. Le ultime prese di posizione del presidente in materia vaccinale hanno poi travalicato completamente i suoi compiti: pensando forse di rivolgere un forte appello etico e civile ai suoi cittadini,  egli si è schierato apertamente con una sola parte della popolazione, relegando di fatto la parte restante nel ghetto della riprovazione civile e avallando una scelta dell’esecutivo che, seppure maggioritaria, non rappresenta completamente l’opinione pubblica e tutte le forze politiche.

Così, oggi, una parte considerevole della popolazione finisce per non riconoscersi nel presidente della Repubblica. Anche qui, la figura incerta delineata dai padri costituenti, con poteri in molti casi non ben definiti, ha finito nel corso degli anni per produrre figure presidenziali molto differenti: dall’immagine signorilmente accademica di un Einaudi a quella scapigliata di un Cossiga, da quella notabilare di un Leone a quella populista di un Pertini, su su fino a quella intrigante di Scalfaro, a quella machiavellica di Napolitano, per poi adagiarsi in quella attuale, un presidente oscillante fra interventismo di parte e pedagogia moralistica.

Grazie dunque al perfido microorganismo che, fra tanta disgrazia seminata nel mondo, da noi ha almeno posto in luce la fragilità di una carta costituzionale bisognosa di una ristrutturazione radicale. Una carta che però, in attesa di un lifting sostanzioso, e pur con tutte le sue inadeguatezze, deve comunque essere assolutamente rispettata, sopratutto oggi, in quanto rimane ultimo baluardo dei nostri diritti fondamentali contro una politica sempre più arrogantemente anti-nazionale, sempre meno liberale, sempre più attratta dall’idea dello stato etico e, purtroppo, sempre più permeabile a tentazioni autoritarie al servizio di poteri “altri” e non sempre conoscibili.

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 16/09/2021