Storie di Pont Canavese: Alfredo Gea
Alfredo Gea

Di Alberto Serena

Qualche volta nascono delle persone speciali e stavolta era toccato ad Alfredo Gea (17.11.1943 + 2.2.2014), figlio di Raimondo (6.2.1911 + 1964) e di Antonia Marchetti (1916 + 2003).

Suo nonno Giuseppe Gea (26.8.1871), figlio di Giacomo, faceva il minatore e si era sposato con Domenica Mainelli, orditrice. Quando Raimondo nacque nel febbraio del 1911 lui si trovava all’estero e il neonato fu registrato in Comune dalla nonna Marianna (1850).

Suo padre Raimondo invece era impiegato nella Manifattura Mazzonis, mentre sua madre Antonia Marchetti, originaria di Alpette, gestiva con la famiglia la “Locanda del Sole”, albergo importante a quei tempi ed era la figlia di Pietro Marchetti (26.12.1879) sposato il 3.2.1906 con Seren Bernardone Natalina Domenica (25.12.1888), figlia di Antonio e di Luigia Marchetti.

Suo bisnonno Giuseppe Marchetti (5.11.1850), figlio di Pietro, calderaio, si era sposato nel 1877 con Antonia Ceretto Castigliano (Alpette, 30.12.1858), figlia di Domenico, soprannominata “la piculina”, e dopo il matrimonio, avevano fondato la locanda.

Di questa donna leggendaria, figlia di Domenico e di Antonia Seren Tha, di bassa statura, si sono raccontate molte storie, tra realtà e leggenda, ma dove prevaleva di gran lunga la prima.

Nel paese si raccontava che nella loro locanda avesse pranzato Margherita di Savoia, la regina d’Italia, consorte del re Umberto I, quando venne ad Alpette nel 1897.

“La piculina”, inoltre, non era soltanto un’ostessa, ma fungeva anche da “medico del paese”, perché essendo una donna tuttofare sapeva cavarsela anche quando c’era da fare la levatrice di bimbi o di vitelli.

Creava inoltre degli infusi di erbe medicinali per curare tutti i mali e sistemava le ossa ai malcapitati di turno, insomma altro che “la piculina”, era una grande donna.

Morto il marito nel 1914, continuò l’attività fino al 1929 cedendo poi il tutto alla Cooperativa di Alpette e morì il 3 giugno del 1938 a 79 anni. Con una bisnonna come “la piculina” sicuramente Alfredo Gea ereditò una buona parte della sua grandezza umana.

Alfredo era sempre presente sia quando si faceva festa che quando c’era da dare una mano. Era attivo in una quantità di associazioni, tanto da ricevere nel 2012 la nomina a cavaliere e, la scorsa estate, il titolo di “Mainteneur du Patois”, assegnato a quanti si sono distinti nell’opera di conservazione della lingua e della cultura Francoprovenzale.

Era presidente e socio fondatore de “Ij Canteir” e socio dell’Effepi (Centro Studi Francoprovenzali); faceva parte del Club Alpino Pontese (a suo tempo era stato Istruttore di Arrampicata su Roccia) e del Coro Alpino “Gran Paradiso”, che aveva contribuito a fondare e che lo ha voluto ricordare durante il funerale con il canto “Signore delle Cime”.

Nel Corpo degli Alpini aveva prestato il servizio militare e da vent’anni ricopriva la carica di Capogruppo della Sezione di Pont. Come non bastasse, venivano poi le associazioni assistenziali: dopo aver svolto a lungo il compito di barelliere per i malati in pellegrinaggio a Lourdes, era stato tra i fondatori dell’Associazione di Volontariato Socio-Sanitario (A.V.U.L.L.S. poi confluita nella CHARITAS) e volontario nella Croce Bianca prima e nella Croce Rossa poi.

Era socio del Centro Anziani e tutte le sere passava a salutare i presenti: due barzellette, due risate e se ne andava lasciando dietro di sé una scia di buonumore. Non si era reso utile soltanto da pensionato e all’interno della realtà pontese ma aveva preso parte ai soccorsi in occasione di due grandi tragedie: il terremoto del Belice nel 1968 e quello del Friuli nel 1976.

Allora, non esistendo una Protezione Civile organizzata, tutto ricadeva sulle spalle sia dell’Esercito che dei volontari.

Dopo aver lavorato per un breve periodo alla FIAT, era entrato all’Olivetti, diventando capo-reparto: data la sua competenza nel settore dell’elettronica, capitava spesso che gli chiedessero consigli sulla materia che lui forniva volentieri.

Dal matrimonio con Marina Bazzarone aveva avuto un figlio, Fabrizio, di cui era molto orgoglioso, perché una rapida e brillante carriera lo aveva portato a ricoprire la carica di presidente di Confindustria Canavese.

Sempre attivo e vivace, Alfredo Gea sembrava una persona in buona salute, ma in realtà soffriva da decenni di una Fibrillazione Atriale che si era manifestata la prima volta proprio in Friuli, come lui stesso raccontava agli amici.

Era accaduto quando, scavando tra le macerie, aveva trovato il cadavere di una madre abbracciata al proprio bambino: sarà stata l’emozione, sarà stato l’intenso sforzo fisico cui si era sottoposto ma aveva sentito un colpo al cuore.

Negli ultimi anni aveva purtroppo scoperto di essere affetto anche da una malattia rara ed auto-immune per la quale non esistono cure risolutive: la Fibrosi Polmonare. Era seguito al San Luigi di Orbassano dal professor Albera, un’autorità in materia e anche una persona molto cordiale ed alla mano.

L’unico farmaco all’epoca esistente arrivava dal Giappone e rallentava il decorso della malattia, provocando però pesanti effetti collaterali, che lui riusciva a sopportarli.

Gli ultimi quindici giorni li aveva trascorsi in ospedale, dove era stato ricoverato per un blocco renale che aveva peggiorato le condizioni di cuore e polmoni. Era consapevole di essere vicino alla fine eppure non aveva rinunciato a scherzare, perché davanti ai due medici del Pronto Soccorso di Ivrea, che non capivano il dialetto piemontese, aveva citato una poesia del suo amico Carlo Gallo, che parlava dell’ultimo solco percorso dalla ruota dell’aratro, commentando:

 “Sono arrivato all’ultimo solco. Di là mi aspettano tutti: amici, parenti. San Pietro mi mostrerà la nuvola su cui stare: purché ci siano una stanzetta, un cucinino, un piccolo bagno ed un pezzetto di giardino, andrà bene”.

Autore con Lorenza Aimone Querio del libro “Le note raccontano”, un interessante libro della storia pontese, che racconta non solo la vita della banda musicale di Pont Canavese, ma accompagna molti momenti vissuti dalla comunità nei secoli scorsi.

Alberto Serena

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Articolo pubblicato il 21/09/2021