Giacomo Margotti e Davide Albertario due campioni del giornalismo cattolico - Parte 1

Senza di loro non avremmo avuto quella rete di cattolicesimo sociale ben sviluppato

Il Risorgimento italiano per molti storici è stato la nostra Rivoluzione Francese, non per niente l’irlandese Keyes O’Clery, lo definisce la “Rivoluzione italiana”. Sempre gli stessi storici sono concordi nello scrivere che le due rivoluzioni sono state guidate da minoranze più o meno illuminate: intellettuali, filosofi, rivoluzionari di professione, religiosi, a volte anche vescovi. Il popolo quasi sempre è rimasto ai margini, anzi spesso si è schierato dalla parte dell’ancien regime, quindi dalla parte della Chiesa. Pertanto, durante il nostro risorgimento si ripresenta l’identica scena della Rivoluzione francese: una minoranza liberale guidala rivoluzione, mentre il mondo cattolico (clero, laici) si divide in “intransigenti” che rifiutano il risorgimento e stanno con il Papa, prigioniero in Vaticano e i“transigenti”, cioè “conciliatoristi”. Questi ultimi sono propensi a collaborare con il nuovo Stato di Vittorio Emanuele II. Si tratta di una minoranza, una parte del clero, borghesi e nobili. La maggioranza del  popolo italiano, sta con la Chiesa e il Papa.

Tutto questo mondo cattolico, ben presto fu chiamato a delle scelte ben precise, la prima fu quella delle elezioni del nuovo parlamento italiano nel 1861. Ma chi aveva diritto di votare (ed erano pochi) non si è presentato alle urne, per protestare contro la politica anticattolica e l’inglobamento dei vari regni pre-unitari della penisola. Tutti seguirono il monito della Chiesa: “Né eletti, né elettori”. Il motto fu ideato, tra l’altro, per questo viene conosciuto, dal religioso Giacomo Margotti (1823-1887) ligure ma attivo a Torino. Sia Margotti che don Davide Albertario (1846-1902) militarono tra gli intransigenti, fedeli al Papa fino alla morte e per questo, hanno subito la “dannatio memoriae” da parte della cultura ufficiale, ma anche da parte dei cattolici.

Pochissimi conoscono questi pilastri del giornalismo cattolico dell’ottocento, molto simile la loro vita essendo entrambi direttori di giornali. Qualcosa su Margotti è stato pubblicato recentemente da case editrici di nicchia, l’Edizioni Ares di Milano ha pubblicato in copia anastatica, tre volumi dell’opera di Margotti, “Memorie per la Storia dé nostri tempi”, oltre 1200 pagine, mentre qualche anno fa la casa editrice D’Ettoris Editore di Crotone ha pubblicato un ottimo pamphlet di Oscar Sanguinetti, “Cattolici e Risorgimento. Appunti per una biografia di don Giacomo Margotti” (2012). Mentre per don Davide Albertario ho potuto leggere una bella biografia di 386 pagine, scritta da suo nipote mons. Giuseppe Pecora nel 1934, ora ristampata nel 2002 dal “Centro Studi Davide Albertario” (centro studi.albertario@virgilio.it) e dal “Centro Librario Sodalitium”, Verrua Savoia.

“I cattolici ,- scrive Marco Invernizzi nella prefazione al libro di Sanguinetti- a volte sembrano dei “figli senza padri”, spesso incapaci di ricostruire il proprio passato incerti sulle radici dalle quali proviene la loro fede, e in balia di un’interpretazione della storia italiana ed europea, dopo il 1789, subalterna a una delle diverse ideologie che hanno culturalmente dominato i secoli XIX e XX”.

Cercherò di colmare questa lacuna presentando i due sacerdoti attraverso i due volumi di Sanguinetti e Pecora.

I due sacerdoti, dal comune destino, operarono in un drammatico periodo della Storia del nostro Paese. Qualcuno si scandalizza perché spesso utilizzano dei toni abbastanza aspri nei confronti dei loro avversari, in particolare dei politici del nuovo governo italiano. Ma in quel tempo bastava poco per un sacerdote o vescovo finire in carcere.“Per lo più sconcertanti sono i motivi di questa vasta repressione. - scrive Antonio Socci - Spesso il semplice rifiuto di un prete di organizzare cerimonie religiose per celebrare le vittorie dei liberali era la causa di arresti e condanne”. Nel1860 si assiste a “una sequela interminabile di arresti, processi, espropri, condanne di preti, vescovi, cardinali, chiusura di seminari e monasteri, ridusse la Chiesa, in Italia, allo stremo” (Antonio Socci, La Dittatura anticattolica. Il caso don Bosco e l’altra faccia del Risorgimento, Sugarcoedizioni, Milano 2004) Tra l’altro, Socci riporta il lungo elenco di don Margotti su “La Civiltà Cattolica”, di vescovi, sacerdoti, religiosi, arrestati o deportati violentemente, costretti a lasciare la propria diocesi.

Don Margotti fu un giornalista cattolico, polemista che tra tante cose ha diretto due giornali cattolici dell’Ottocento, “L’Armonia” e “L’Unità Cattolica”. Naturalmente non è possibile, forse neanche necessario, ripercorrere tutte le battaglie culturali che ha visto protagonista il sacerdote sanremese. Per sintetizzare si può scrivere che “la sua stella polare è il Papa e la sua priorità: difendere fino all’ultimo il potere temporale e rivendicarlo dopo l’esproprio; mettere in luce le gravi deformazioni della nuova macchina statale e auspicarne il rovesciamento con qualunque mezzo legale; nonché criticare senza mezzi termini la nuova classe di governo viepiù secolarizzata, massonizzata e dedita alla corruzione e al trasformismo”.

Giacomo Margotti, diventa pioniere ed esponente di punta dell’intransigentismo cattolico che riteneva soprattutto il “risorgimento” una vera e propria rivoluzione culturale e sociale che attraverso il pretesto dell’unità, intendeva plasmare un nuovo ethos nazionale in antitesi con un passato comune, carico di memorie religiose e di istanze universali.

Bersagli dei suoi accesi e numerosi interventi sui giornali da lui diretti furono i vari personaggi del Risorgimento italiano ma anche i suoi “padrini” stranieri a cominciare dall’autocrate francese Napoleone III, e dei politici liberali inglesi. Per Sanguinetti,“Margotti fu un antiliberale ma non legittimista filotemporalista ma non antinuitario; conservatore ma non reazionario, don Margotti è uno dei personaggi più eminenti di quell’’altra faccia del Risorgimento’ che a poco a poco una storiografia indipendente, frantumando rigidi clichè ‘di tendenza’ e mettendo in discussione posizioni accademiche di comodo, comincia a far riemergere”. In pratica era intransigente come il beato Pio IX e in parte lo stesso don Bosco.

Bisogna tenere conto del momento storico che stava vivendo la Chiesa, tra l’altro, era la posizione culturale che univa tutti i cattolici di allora, almeno fino al 1904, quando venne superato il non expedit, si voleva dare una testimonianza di fedeltà totale al Papa e al suo Magistero, anche nelle cose temporali, opinabili. Certo, non partecipare ad elezioni politiche, non era materia di fede o di ortodossia, infatti c’erano anche i cattolici transigenti, che intendevano magari partecipare attraverso un partito conservatore alla vita politica. Del resto, poi, la Chiesa vediamo che ha riconosciuto le virtù eroiche sia d’intransigenti come il beato Giuseppe Tovini (1841-1897) e di transigenti come il beato Contardo Ferrini (1859-1902).

Invernizzi nella prefazione ci tiene a precisare che studiando la figura poliedrica di don Margotti non si vuole “ripetere acriticamente le tesi di allora, come se fossero esenti da intemperanze, eccessi, mancanza di un’adeguata riflessione sul fatto che la Rivoluzione era un processo in continuo mutamento, che era necessario cambiare i modi per combatterla con efficacia”. Tuttavia è importante riscoprire queste figure, perché senza di loro“il mondo cattolico oggi non sarebbe così come è”. Per Invernizzi, “senza gli intransigenti non ci sarebbero state le banche cattoliche, le casse rurali e le società di mutuo soccorso, quella rete sociale nata attorno alle parrocchie che ha resistito fino ai nostri giorni, le opere di cui spesso si parla a proposito dl principio di sussidiarietà della dottrina sociale della Chiesa”.

Senza di loro non avremmo avuto quella rete di cattolicesimo sociale ben sviluppato, presente in particolare nelle regioni Lombardia e Veneto. Aggiungo che senza di loro non avremmo avuto quel risveglio culturale per una nuova implantatio evangelica, attraverso tutti i mezzi, soprattutto con i giornali e i libri. I cattolici,“Fidandosi delle leggi civili che fino ad allora li avevano protetti e difesi – annota don Bosco – possedevano soltanto qualche giornale, qualche opera di cultura. Nessun periodico, nessun libro da mettere nelle mani della gente semplice”

In pratica quello che vuole farci intendere il testo di Sanguinetti che bisogna amare “i nostri”, coloro che ci hanno preceduto nella storia della presenza cristiana e della lotta per preservarla”, naturalmente evitando di fare “leggende auree”, riconoscendo i loro errori e difetti. “Si può rilevare qualche similitudine fra i suoi anni e i nostri”, certamente si. Per Sanguinetti,“anche la nostra epoca in cui la Rivoluzione domina, ancorchè in altre forme, anche oggi siamo attori e vittime di processi di riformulazione delle culture e di unificazione – non più nazionale ma europea – che generano tensioni e disorientamento”.

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 20/09/2021