Il Santuario di Vico (Cuneo)

Una storia da riscrivere

È il bel titolo del convegno che si è svolto sabato 18 settembre 2021 alla Casa Montis Regalis di Vicoforte.

Una leggenda narra di un incontro casuale fra il Diacono Trombetta e il pilone di Vico, coperto da rovi. Egli, folgorato dall’immagine, provvede alla sua ripuliture, per farlo diventare un luogo di culto.

Il periodico Unione Monregalese, diretto da don Corrado Avagnina, dedicherà sette inserti speciali a questa storia (i primi due sono già usciti). Oggi si lancia anche il progetto di un censimento di tutte le immagini che ritraggono la Madonna di Vico ancora presenti sul territorio.

Il Vescovo di Mondovì, Monsignor Egidio Miracoli, ricorda i tre periodi che hanno caratterizzato la storia del Santuario: Il Diacono Trombetta, Il Vescovo e la Città, il Principe.

Le relazioni hanno permesso di entrare nei dettagli del “Libro delli Conti”, redatto puntigliosamente, giorno dopo giorno, dal Venerabile Cesare Trombetta.

Nato a Fiammenga di Vico il 10 giugno 1571, negli anni 1594 e 1595 redige il libro dei conti, in un biennio decisivo per Vico (così si chiamava allora il luogo, frazione di Mondovì).

Egli è stato l’infaticabile promotore della sacra immagine, come dichiara “La vita del venerabile servo di Dio Cesare Trombetta” (compilata da Michele Bellosti nel 1672, stampata a Torino in forma di opuscolo di 64 pagine): “Il nostro Cesare, che sempre ebbe pensiero che quell’immagine prendesse principio da qualche grazia ottenuta, nel vedere che per occasione di miracoli o grazie veniva onorata dal popolo, infiammato d’amore verso di lei se ne dichiarò apertamente il promotore”.

La restauratrice Stefania Trombetta è una degli ultimi discendenti del Venerabile e vive ancora nella sua casa e racconta la storia del Venerabile in un appassionato intervento.

Il mistero del quadro ha origine durante il restauro di un ritratto dell’avo; Stefania constata che la tela è tesa sopra una tavoletta di legno ovale che occupa completamente il retro, e ciò rappresenta un caso piuttosto raro poiché nelle opere coeve il supporto è costituito da un semplice telaio. Con pazienza estrae i chiodini arrugginiti che fissano la tela al perimetro della tavoletta lignea e all’ultimo accerta che sia completamente staccata, quindi ne solleva un lembo, con cautela. Una sorpresa balza immediatamente ai suoi occhi: sulla superficie interna della tavoletta c’è un’altra immagine di Cesare, leggermente diversa da quella dipinta. La fisionomia è la stessa, cambia il colorito del viso e il sacro libro di lettura è aperto in una pittura, richiuso nell’altra. Perché queste differenze?

Da quel momento inizia la sua lunga ricerca storica, che l’ha condotta fino all’Archivio Vaticano.

La prima domanda riguarda l’origine della devozione alla Madonna del Pilone di Vico. Cerca una riposta nel “Libro delli Conti”, 80 fogli scritti fittamente, recto e verso.

Sorge spontanea una domanda: che cosa c’era prima che si accendesse l’interesse su questo luogo?

Come in una favola lontana, c’era una volta un pilone nel fondovalle di una zona rurale detta “della Berbonesca”.

Un colpo sparato da un archibugio (non è chiaro da chi) provoca un versamento di sangue dall’affresco (sotto la mano della Vergine e sotto il piede del Bambino).

Il popolo attribuisce subito all’immagine un potere taumaturgico, che diventa in breve tempo un santuario a cielo aperto.

Cesare Trombetta è un giovane diacono, terzo di tredici figli, mandato a studiare in seminario. Conquistato del tutto dalla Madonna campestre, egli chiede l’autorizzazione a costruire una chiesetta. Il parroco di Vico approva il 2 agosto 1594. Il 12 settembre dello stesso anno, festa mariana, un rescritto del Vescovo autorizza.

I popolani portano grano e castagne, le donne cuciono tessuti e camicie, tutto viene venduto per ricavare soldi per la Madonna del Pilone.

Nel 1595, quando si apre la contabilità del “Libro delli Conti”, il culto è già radicato, professato da molti pellegrini, in solitaria o al seguito di Confraternite. Nella Pentecoste di quell’anno trentamila persone vengono a Vico per pregare o chiedere una grazia alla Madonna!

Bisogna pensare che un pellegrinaggio alla fine del Cinquecento non era una passeggiata: ci si confessava prima di partire, le insidie del viaggio erano molte, si viaggiava per ottenere la perdonanza dai peccati o la guarigione nell’anima. E a viaggiare erano in maggioranza donne o infermi, a piedi, per strade insicure e dal fondo accidentato.

Le notizie di guarigioni e miracoli si diffondono in fretta, con il passaparola popolare, ben oltre i confini del Ducato di Savoia: c’è chi arriva dalla Provenza, da Alessandria dominio dei Gonzaga (21 pellegrinaggi), da Asti (Marchesato del Monferrato) e da Alba, dalla Valsesia e da Pavia; dalla capitale Torino partono 12 pellegrinaggi, uno dei quali promosso dalla Compagnia di San Paolo da poco costituita.

Nel biennio 1595/1596 qui arrivano migliaia di persone al giorno e occorreva essere anche cambiavalute, considerata l’eterogenea provenienza da Stati diversi, i cui pellegrini portavano le loro monete.

La nuova chiesetta costruita su prescrizione del Vescovo Giovanni Antonio Castrucci è già insufficiente e si commissiona un nuovo progetto a Pietro Goano.

In questo contesto di dinamismo e sviluppo, il Libro delli Conti offre uno spaccato fedele dei lavori e della situazione “in progress”.

Nel 1596 il pilone è al centro dell’edificio e gli si costruisce intorno una Basilica, sul modello della Porziuncola di Assisi o Loreto.

Il Vescovo si impegna in prima persona per la liturgia: a luglio 1595 si celebrano 217 messe, ad agosto 252, a settembre 418 (ben 14 al giorno, che richiedono il concorso di molti sacerdoti da officianti da Mondovì e dai conventi (Domenicani, Agostiniani, Zoccolanti).

La Madonna di Vico ispira anche un componimento poetico, il “Giubilo delle Muse”.

A ottobre 1595 il Duca Carlo Emanuele I decide di sottrarre il luogo sacro al Vescovo, per le sue grandi entrate, e la fortuna di Vico inizia a declinare, perché da luogo sacro di devozione popolare diventa un fenomeno istituzionale (come avviene in molti altri casi, fino a tempi recenti).

Il 31 marzo 1596 il Duca arriva a Vico per affidare la chiesa ai Padri Cistercensi Foglianti, ma i fasti dell’anno precedente sono irripetibili.

Il sovrano chiama al nuovo Santuario i Cistercensi per il culto e i Gesuiti per la penitenzieria.

Nel 1601 si celebra un Giubileo “dedicato”, che durerà quattro mesi a partire dal primo agosto, indetto da Papa Clemente VIII.

Nel 1603 arriverà il Vescovo di Ginevra Francesco di Sales, che qui lascia in dono il suo bastone.

Cesare Trombetta vivrà tutta la sua vita al Santuario, curandosi anche dell’hospitale.

La poliedricità della sua figura lo porta a intrattenere una relazione epistolare con una mistica del tempo, Antea da Brissago.

Nata da una povera famiglia a Lucca nel 1570, va sposa a un muratore di Brissago. Rimane presto vedova senza figli, la sua vita si trasforma in dedizione a Dio, alla preghiera, alla meditazione. Sarà più volte a Torino, dove muore nel 1630, sepolta nella cripta del monastero delle Cappuccine di Nostra Signora del Suffragio.

È un gesuita, suo confessore, Padre Gerolamo Villani, che nel 1617 scrive la Breve narrazione biografica di Madonna Antea da Brissago, «acciò non si perda memoria di quelle cose di molte delle quali io solo ne sono consapevole».

Esiste anche un Ritratto della meravigliosa serva di Dio Madonna Antea, un’incisione, probabilmente commissionata dai Savoia, realizzata dall’artista fossanese Giovenale Boetto (1604-1678): a mezzo busto,  «vestita da secolare alla foggia delle donne di montagna, con farsetto cioè e gonnella di mezzalana oscura con fazzoletto al collo e con un altro di tela bianca in capo, che le cade lateralmente sulle spalle con grembiale pure di lana bianca, avente nelle mani giunte in atto di orare una corona di legno unito con semplice filo con appesa una medaglietta d’argento».

Cesare Trombetta rimarrà sempre al Santuario, fino alla sua morte, avvenuta il 28 gennaio 1623. La sua sepoltura viene differita fino al 2 febbraio per permettere l’ultimo saluto alla venerata salma. Il corpo viene collocato dietro il sacro pilone della Vergine, “essendo cosa ragionevole che se in vita mai si scostò dalla presenza di lei dopo morte ancora vi fosse vicino”.

Una domanda che il convegno ha posto, a cui altri studi saranno chiamati a rispondere, è la seguente: dopo il Concilio di Trento vi erano molti luoghi di culto, perché Vico diventa un unicum nel biennio 1595/1596?

@ Ezio Marinoni

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Articolo pubblicato il 25/09/2021