Un Leader per l’Europa?

La costruzione mediatica di un mito

Con la fine dell’era Merkel la stampa italiana (cartacea e televisiva) si è subito messa in cerca di chi la possa sostituire, secondo l’antica e inveterata abitudine di personalizzare ogni possibile evento politico. Per la grande comunicazione al vertice degli eventi e della realtà deve sedere sempre un uomo o una donna di grandi qualità: una concezione classicista e un po’ datata, tipica della nostra tradizione umanistica, che però ha il pregio di semplificare l’interpretazione della realtà, spettacolarizzandola e rendendola pop, molto spesso a fini propagandistici o pedagogici.

La domanda ansiogena della nostra comunicazione, dopo l’abbandono della Cancelliera, è stata: chi guiderà ora l’Europa? Il sottinteso è che, appunto, negli anni scorsi la Merkel abbia guidato non il suo paese bensì l’intero continente.

Cosa vera anche se totalmente estranea ad ogni logica politica: una unione paritaria di stati non dovrebbe essere governata da uno dei suoi membri, anche se nella pratica concreta del potere avviene esattamente così, come nelle società per azioni dove l’azionista più forte ne è anche il padrone. Il realismo politico non può prescindere da questa elementare verità.

Quello che stupisce invece è il malcelato compiacimento della nostra comunicazione per questa situazione, una ammirazione verso una donna come la Merkel sicuramente dotata di grandissime capacità politiche e di un carattere fermo e risoluto che hanno portato una nazione come la Germania -già dominante per la sua intrinseca forza economica- ad esercitare il ruolo di guida dell’Unione, ma anche a perseguire un cinico egoismo nazionale a discapito di nazioni più fragili, come l’Italia, quello che in America si chiama beggar thy neighbor (traduzione approssimativa: frega i tuoi vicini).

Gli esempi sono innumerevoli, ma quelli più irritanti riguardano i privilegi che la Germania ha riservato a se stessa in violazione delle norme e dei principi europei come, ad esempio, la difesa ad oltranza degli aiuti di stato al suo sistema bancario o la sottomissione, in ogni caso, del rigore finanziario imposto agli altri paesi all’approvazione del parlamento di Berlino se riguarda invece la nazione tedesca.

Quando il nostro presidente della Repubblica invoca più cessioni di sovranità all’Unione europea da parte dell’Italia dovrebbe tenere presente questi fatti, soprattutto in relazione a quanto recita l’articolo 11 della Costituzione che consente sì limitazioni di sovranità, ma “in condizioni di parità  con gli altri Stati”.

Fortunatamente l’ansia della stampa italiana si è un po’ placata quando qualcuno, al suo interno, ha finalmente individuato il successore di Angela. Non in Germania, naturalmente, perché in quel civilissimo paese il capo del governo -stranamente- lo scelgono i cittadini, bensì in Europa. Il nome di chi sarà chiamato a raccogliere l’eredità merkeliana è quello di Mario Draghi, il nostro fenomeno paranormale che, in questo caso e con grande rimpianto, saremo costretti a regalare all’Europa.

Con questa ipotesi la grande stampa conformista evidenzia tre sue caratteristiche psicologiche ricorrenti: l’anti-italianità, il complesso di inferiorità nazionale, l’ossequio verso il potere.

Draghi rappresenta infatti, ai suoi occhi, il superamento di tutti quei difetti che essa attribuisce snobisticamente ai connazionali: il Banchiere è di alta formazione internazionale, parla correttamente inglese, è molto british negli atteggiamenti, non gesticola, non alza la voce, appartiene alla superclass cosmopolita che si ritrova a Davos, probabilmente gioca a golf e non a scala quaranta. E forse disprezza anche segretamente il nostro popolo ansimante e sudaticcio, così poco glamour, così poco responsabile.

Quanto al complesso di inferiorità nazionale, esso discende direttamente da quanto detto sopra: la stampa tendenzialmente anti-italiana è anche molto provinciale, e il fatto che il cielo ci abbia regalato un personaggio come Draghi è, per essa, un chiaro segno di redenzione e riscatto dalla nostra condizione di minorità internazionale.

Finalmente l’Italia esce dall’era democristiana, socialista, berlusconiana col suo codazzo di nani e ballerine, con i suoi spaghetti all’amatriciana, col suo familismo amorale e le frequentazioni mafiose per agganciare, con il Banchiere, i piani alti dell’Europa protestante, liberale, rigorosa, efficiente, internazionalizzata. Rimarrà da spiegare la presenza di Di Maio come ministro degli esteri, ma non dubitiamo che Draghi saprà come giustificarla.

E poi l’ossequio al potere, che è una traccia genetica ancestrale della grande stampa cartacea e televisiva, come ha dimostrato in questi mesi il suo supporto acritico e spesso violento alla politica covidaria e vaccinale del governo. Ora, la figura di Draghi, incarnazione e quintessenza del grande potere finanziario europeo e internazionale, ha fornito a quella stampa l’icona perfetta a cui votare le proprie aspirazioni e la propria devozione. Volete forse fare un paragone con la ciociara Giorgia Meloni o con l’avvocato di Volturara Appula?

Pensare a Draghi, con tutte le sue qualità, come naturale successore di Angela Merkel in Europa diventa pertanto naturale, gratificante, conveniente. Soprattutto conveniente, se il sogno di quella stampa dovesse divenire realtà con Mario Draghi proiettato verso la presidenza della Repubblica,  della Commissione europea, dell’ONU o magari verso il Soglio di Pietro.

E’ un’operazione mediatica abbastanza semplice. Basterà dimenticare le parole di Cossiga nella famosa trasmissione del povero Luca Giurato (che inorridiamo a ripetere, ma che chiunque può andare a ritrovare in rete), l’aperitivo sul Britannia, la dismissione dell’industria di stato, il massacro finanziario della Grecia, la lettera della BCE a Berlusconi e Tremonti nel 2012, il disastro dei derivati del Tesoro sottoscritti tra il 1991 e il 2001 quando ne era direttore generale, la stretta “collateralità” con Goldman Sachs, McKinsey e altri santuari del capitalismo internazionale, le recenti demenziali affermazioni su vaccini, green pass e morti a catinelle distribuite a reti unificate e qualcos’altro ancora.

Ora, che il nostro sistema costituzionale permetta a una persona con diverse ombre nel suo passato e nel suo presente di diventare capo del governo senza alcun passaggio elettorale, legittimato solo da una designazione presidenziale e da una maggioranza parlamentare dagli incerti principi politici e morali, può essere comprensibile in un paese come l’Italia, ma pensare che la stessa persona possa diventare il leader dell’Europa post-merkeliana in virtù di un carisma tutto da dimostrare è veramente un po’ infantile.

E soprattutto per noi, che non apparteniamo all’età post-ideologica, ma siamo ancora colpevolmente  immersi nell’universo politico del secolo scorso, appare inconcepibile che un uomo o una donna aspirino al ruolo di leader senza offrire una precisa e convincente visione del mondo. Una visione articolata, con linee-guida definite, con un progetto per il futuro che non sia la tecnocrazia di Davos o un qualunque whatever it takes. E soprattutto una visione con immagini in grado di emozionare, trascinare, commuovere e trasformare queste cose in passione politica per milioni di uomini e donne.

Un uomo sicuramente intelligente come Draghi, ma totalmente privo di tutte queste qualità, a suo agio con i dossier e le cifre ma palesemente impacciato quando parla a una nazione intera, può aspirare a qualche ruolo ulteriore oltre a quello che già ricopre? Forse sì, ma non si parli di grande politica.

 

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Articolo pubblicato il 01/10/2021