Ordinamento ed amministrazione della società faraonica
Ufficio contabilita'

Una ricerca dell'egittologo Riccardo Manzini

L’antica società egizia, che vanta un percorso di civiltà di 3000 anni, disponeva di un ordinamento amministrativo che garantiva il funzionamento delle istituzioni e che pertanto assicurava la continuità di queste nel tempo.

Considerazione questa estensibile a tutte le grandi civiltà antiche storicamente riconosciute.

Tuttavia, la difficoltà di trovare nella antica società egizia un percorso dell’ordinamento amministrativo, documentato in modo continuo, resta ancora un obiettivo impossibile e i molti “vuoti storici” che si presentano possono essere riempiti esclusivamente con eventuali interpretazioni dei geroglifici a disposizione.

Come in tutte le società complesse le diverse istituzioni, cioè i pilastri dello Stato (rappresentanti del Faraone, dell’amministrazione della giustizia e delle caste sacerdotali), sovente sono entrati in conflitto per la supremazia e il controllo del potere, creando realtà nuove, caratterizzate da rilevanti discontinuità rispetto alla storia precedente.

Eventi questi che inevitabilmente hanno imposto l’adeguamento della struttura amministrativa a obiettivi funzionali alle nuove esigenze della società, disegnando scenari storici ancora da approfondire e pertanto ancora poco noti.

Ci giunge in merito un articolo del dr. Riccardo Manzini - medico chirurgo ed egittologo di lungo corso – che affronta l’importante tematica dell’Ordinamento ed amministrazione della società faraonica, che riportiamo con il ricco corredo di immagini che offrono un solido sostegno al contenuto del testo.

Nel ringraziare l’Autore, per la sua precedente e attuale collaborazione, auguriamo buona lettura (m.b.).

 

Ordinamento ed amministrazione della società faraonica

 

Malgrado la molteplicità dei riferimenti su cui si basano le nostre conoscenze sull’amministrazione faraonica, è difficile riassumere una sua schematica panoramica a causa dei mutamenti avvenuti in quella società nel corso dei 3.000 anni in cui si è sviluppata. Senza però addentrarci nella dettagliata analisi di questi cambiamenti si possono comunque dedurre alcuni aspetti che sembrano essere perdurati, almeno tendenzialmente, per tutta la sua storia.

Se infatti agli albori del periodo dinastico più antico (Antico Regno) l’amministrazione e l’intera società facevano esclusivamente capo alla figura del re, nel corso dello stesso Antico Regno questa rigida centralizzazione si affievolì progressivamente pur senza perdere il ruolo primario del sovrano. Questa importanza esclusiva, sebbene molto ridimensionata, rimase appannaggio del faraone anche durante il tracollo morale, sociale e politico del successivo Primo Periodo Intermedio, nel quale il re perse molte sue precedenti prerogative. Con la successiva restaurazione del Medio Regno ed ancor più nel Nuovo Regno il sovrano acquisì nuove peculiarità, ma senza che si sia quasi mai messo in dubbio il suo ruolo prioritario di guida amministrativa, religiosa e sociale del Paese.

Di fatto si può quindi dire che in Egitto non sia mai esistito uno Stato amministrativamente e concettualmente concepito come tale, ma che questo venne in pratica identificato con la figura del sovrano in cui confluivano tutte le prerogative materiali e spirituali della società.

Quando all’inizio della III dinastia si consolidò l’unificazione del Paese sembra che tutto fosse demaniale, dal territorio ai beni di consumo, dalla produzione alle lavorazioni più qualificate, dall’attività mineraria ai laboratori di ogni tipo, oltre alla gestione dei granai e dei magazzini.

Anche se questo accentramento si affievolì con il progressivo stornamento verso proprietà clericali esentate dalle tasse, e parzialmente per il comparire di relative privatizzazioni, la presenza del controllo “statale” in certe attività perdurò per tutta la storia egizia.

Amministrativamente l’Egitto era governato dal sovrano assoluto che rappresentava l’elemento politico di unione del Paese (slide 1) e l’unico legislatore, ma anche il capo dell’esercito e la massima carica religiosa in quanto unico intermediario possibile con gli dèi, oltre ad essere il garante morale del regolare scorrere degli eventi rappresentati dalla dea Maat (slide 2).

Il sovrano dell’Antico e del Medio Regno era affiancato da un visir che lo rappresentava in qualità di Primo Ministro (il cui parere per altro non sembra sia mai stato vincolante), il quale però aveva mansioni molto ampie di controllore dell’amministrazione e di garante della legalità e della giustizia. La progressiva espansione del territorio controllato dall’impero e le crescenti incombenze portarono dal Nuovo Regno allo sdoppiamento della carica di Visir per il governo rispettivamente del Nord e del Sud dell’Egitto.

All’amministrazione centrale, posta sotto il controllo del Visir, facevano capo governi regionali dotati di relativa autonomia, le cui attività dovevano però essere dettagliatamente documentate su appositi registri sui quali venivano riportate le imposte (slide 3), la gestione delle scorte dei granai (slide 4), la contabilità del commercio e i pagamenti dei dipendenti. Essendo rimaste sempre attività di pertinenza governativa centrale, particolare attenzione veniva riservata in questi registri regionali ai movimenti dell’oro (slide 5), dell’argento, delle pietre dure, delle stoffe e dei legnami pregiati, delle carni ecc. oltre alle lavorazioni delle materie prime nei laboratori statali (slide 6).

Ognuna di queste attività amministrative periferiche era gestita da un funzionario che rendeva conto personalmente al Visir, il quale era responsabile dei risultati economici e dei controlli effettuati, della manutenzione dei canali, dell’efficienza dell’anagrafe e del catasto e della distribuzione delle acque.

Oltre ai controlli sulle attività delle regioni, i cui dati venivano esaminati a corte da appositi funzionari (slide 7), i territori erano percorsi da sovrintendenti del tesoro, del granaio e del demanio che ispezionavano continuamente le attività pubbliche.

Ovviamente un’amministrazione così capillare richiese un gran numero di funzionari ma anche un esercito di scribi (slide 8) i quali percepivano i pagamenti in quantità dipendenti dal grado gerarchico, ma comunque in proporzioni 1,5÷2 volte superiori a quelle degli operai.

Per meglio controllare il territorio, fin dalle prime dinastie l’Egitto venne suddiviso in una quarantina di province (nomoi) identificate inizialmente con il nome del dio più venerato in quel distretto (slide 9), cui se ne aggiunsero altre durante la riorganizzazione del Medio Regno.

Ogni provincia doveva provvedere alla riscossione dei tributi ed a fornire manodopera per i lavori demaniali oltre a tenere aggiornate le mappe catastali che venivano periodicamente consegnate al governatore (nomarca) affinché potesse calcolare in base ad esse le imposte per ogni appezzamento. 

Questo efficiente sistema amministrativo venne minato dalla progressiva ingerenza della chiesa nell’amministrazione pubblica, che riuscì ad assicurarsi l’indipendenza dallo Stato dei territori di pertinenza templare, l’esenzione dalle tasse, la gestione autonoma del fisco, dei commerci e della manodopera nei propri possedimenti, giungendo nel Medio Regno ad imporre che i governatori fossero dei sacerdoti.

Di fatto i templi con i loro possedimenti divennero dal Nuovo Regno competitori dello Stato grazie alle enormi ricchezze accumulate con le offerte e con le esenzioni fiscali, le quali furono costantemente accresciute acquisendo molte prerogative statali. Tra queste particolare importanza assunse il controllo, con una propria struttura amministrativa suddivisa gerarchicamente, degli scambi commerciali, dei trasporti e delle scorte alimentari grazie al possesso di granai, fino allora monopoli statali.

Poiché in Egitto non vi è mai stata una netta separazione tra Stato e religione, i templi erano considerate istituzioni statali, ma il loro potere giunse nel Nuovo Regno a sostituirsi totalmente alle altre istituzioni pubbliche conquistando il diritto di gestire autonomamente un proprio tesoro e di disporre degli uomini residenti sui propri territori.

Per cercare di ricondurre questo autonomo ed anomalo Stato nello Stato sotto il controllo del sovrano vi furono vari tentativi, tra i quali spicca quello della regina Hatschepsut la quale, oltre che per dare una veste incontestabile al suo incerto ruolo, cercò di assumere il controllo della chiesa tebana affermando di essere nata da un rapporto tra sua madre ed il dio Amon, e quindi riservandosi di nominare personalmente i sacerdoti. In ogni caso tutti questi ripetuti tentativi regali di esautorarsi dal clero e di contenere il suo strapotere fallirono ed anzi dalla XXII dinastia comparvero gerarchie religiose che si affrancarono totalmente dallo Stato sostituendosi ad esso e persino nel Terzo Periodo Intermedio e nel Periodo Tardo (slide 10) fondando alcune dinastie sacerdotali.

Le grandi iniziative erano finanziate dallo Stato che le gestiva attraverso Enti diretti da funzionari, pagati in natura o con appezzamenti di terreno, cui facevano capo laboratori, scribi, operai, artigiani e scienziati. A differenza delle attività e dei possedimenti dei templi che erano esentati dalle tasse ed i cui proventi venivano distribuiti ai sacerdoti, anche questi Enti erano soggetti a tassazione.

La progressiva perdita di potere dello Stato centrale consentì l’affermarsi di un nepotismo nelle cariche pubbliche giungendo nel Nuovo Regno a riservare il visirato agli appartenenti alla medesima famiglia. Esemplificativo è l’esempio di Rekhmira (slide 11) che ottenne ereditariamente il titolo di nomarca dell’area tebana con la forzata approvazione del sovrano.

Piuttosto articolata ma molto efficiente sembra fosse l’amministrazione della Giustizia che non veniva esercitata da magistrati professionisti (non esiste neppure un geroglifico relativo) ma da collegi giudicanti composti da funzionari di vario grado che costituivano occasionali tribunali in relazione alla gravità dei reati contestati, in cui non vi erano ruoli definiti di accusa e di difesa.

Alla base di questa embrionaria giustizia vi era il diritto consuetudinario e la parità di diritti tra i sessi, in quanto anche la donna poteva presentarsi autonomamente come parte lesa o come testimone.

I collegi giudicanti più semplici (khenbet), costituiti da funzionari e/o sacerdoti e presieduti dai rispettivi governatori della circoscrizione (slide 12), giudicavano i casi più lievi quali i furti, i mancati pagamenti, i risarcimenti, le violazioni matrimoniali e le violenze sul coniuge, mentre i casi gravi come l’omicidio venivano demandati ai tribunali superiori.

Questi tribunali superiori (Grande khenbet), costituiti da un collegio composto da alti funzionari e sacerdoti apicali sotto la presidenza del Visir, giudicavano i reati riguardanti i casi di omicidio ed i delitti contro lo Stato. Tra di essi i meno gravi riguardavano il controllo demaniale sui terreni e sulle acque e le relative violazioni o illeciti venivano puniti con multe o bastonature (slide 13), cui si aggiungevano nei casi più gravi la confisca dei beni ed i lavori forzati.

Per i reati più efferati e le violazioni delle tombe, prescindendo dal rango del destinatario delle stesse, vi era la pena capitale, mentre curiosamente per le congiure sembra che si preferisse il suicidio forzato, forse perché in genere riguardavano l’entourage del sovrano che quindi si preferiva non pubblicizzarli.

Unico caso documentato estraneo a questa organizzazione giudiziaria è quello riguardante il villaggio di Deir el-Medina in cui risiedevano le famiglie degli artigiani che realizzavano le tombe nella Valle dei re, il quale godeva di una autonomia amministrativa che gli consentiva di avere dei khenbet giudicanti costituiti da soli capimastri e scribi del villaggio.

Riccardo Manzini

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Articolo pubblicato il 12/10/2021