Cos’è il semipresidenzialismo?

Pubblichiamo Il commento di Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei e professore emerito di Scienza Politica

In questo momento in Italia manca la mediazione politica, ma i problemi sul tappeto sono tantissimi; dalla Lotta alla pandemia, alle radicali modifiche alla nostra legislazione per poter procedere con i progetti discendenti dal PNRR. Il Governo tecnico va per la sua strada; i politicanti  dopo le polemiche precedenti la tornata elettorale per le amministrative, invece di calarsi e confrontarsi su problemi concreti, oggetto anche di richieste popolari, si perdono in polemiche e congetture su chi sarà il prossimo inquilino del Quirinale e parte la girandola dei papabili, il più delle volte impallinati.

 

Nel frattempo, ha rotto l’equilibrio delle mediocrità, una dichiarazione estratta dall’intervista che Giancarlo Giorgetti, ministro ed esponente di primo piano della lega, aveva rilasciato a Bruno Vespa e contenuta nel libro che uscirà, come ogni anno, poco prima di Natale. L’esponente della Lega preconizzava la continuità di governo pur con l’elezione a Capo dello Stato di Mario Draghi. Si è gridato alla scandalo,  alla necessità di dover  procedere alla modifica della Costituzione, impossibile in pochissimo tempo ed altre facezie del genere. I commentatori sprovveduti si sono dimenticati sia delle vicende storiche riferite al termine letterale, che ad ascoltare in primis il significato autentico che  avrebbe dato, a quella formula di governo, il diretto interessato, ossia il ministro Giorgetti.

 

Riteniamo utile e proficuo per i nostri lettori, emergere dalle chiacchiere  giornalistiche, sottoponendo alla loro attenzione ciò che in argomento espone un dominus della Scienza Politica, il professor Gianfranco Pasquino.

 

“Qualcosa che so sul semipresidenzialismo.

Il semipresidenzialismo non è né un parlamentarismo rafforzato né un presidenzialismo indebolito. È una forma di governo a se stante. Il termine non fu coniato da de Gaulle, uomo di sostanza, e neppure da Maurice Duverger. Il giurista e politologo francese, favorevole all’elezione popolare diretta del Primo ministro, per uscire dalla palude parlamentare, fu un fiero oppositore (di de Gaulle e) del semipresidenzialismo. Poi, forse anche perché si accorse che funzionava alla grande, ne divenne il “teorico” e l’aedo.

 

A inventare il termine fu, con un editoriale pubblicato l’8 gennaio 1959, Hubert Beuve-Méry, direttore del prestigioso quotidiano Le Monde. Molto critico di de Gaulle, affermò che al Generale non era neanche riuscito di arrivare al presidenzialismo, solo ad un quasi presidenzialismo, per l’appunto semipresidenzialismo. In verità il semipresidenzialismo non è né un parlamentarismo rafforzato né un presidenzialismo indebolito. È una forma di governo a se stante.

 

Ne era esistito un precedente troppo a lungo trascurato: la Repubblica di Weimar (1919-1933). La sua triste traiettoria e la sua tragica fine non ne facevano un esempio da recuperare. Il fatto è che Weimar crollò per ragioni internazionali e nient’affatto essenzialmente a causa del suo sistema elettorale proporzionale.

 

Ad ogni buon conto de Gaulle volle e ottenne un sistema elettorale maggioritario a doppio turno in collegi uninominali che spinge all’aggregazione delle preferenze laddove le leggi elettorali proporzionali consentono (non necessariamente producono) la disgregazione delle preferenze e la frammentazione del sistema dei partiti. Il ministro leghista Giorgetti prevede, auspica, apprezzerebbe un semipresidenzialismo de facto.

 

Nella sua visione, una volta eletto alla Presidenza della Repubblica Mario Draghi continuerebbe a guidare il “convoglio” delle riforme del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza attraverso un presidente del Consiglio di sua fiducia da lui nominato. Ho sbagliato a criticare la visione di Giorgetti, formulata con molte buone intenzioni. Potrebbe anche essere effettivamente l’esito che si produrrà.

 

Naturalmente, il Parlamento italiano manterrà pur sempre la facoltà di sfiduciare il capo del governo scelto da Draghi, obbligandolo a nuove e diverse nomine. Vado oltre poiché rimane del tutto possibile che con elezioni anticipate oppure alla scadenza naturale della legislatura, marzo 2023, il centro-destra ottenga la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari e rivendichi giustamente la carica di presidente del Consiglio.

 

Al proposito, i critici del semipresidenzialismo leverebbero altissimi lamenti contro la coabitazione fra Draghi e chi il centrodestra gli proporrebbe e giustamente vorrebbe fosse nominato.

 

In Francia nessuna coabitazione, ce ne sono state quattro, ha prodotto lacerazioni politiche e costituzionali. Mi si consenta di essere assolutamente curioso delle modalità con le quali si svilupperebbe una coabitazione fra Mario Draghi e Giorgia Meloni”.

 

Professor Gianfranco Pasquino.

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Articolo pubblicato il 08/11/2021