
I tanti motivi energetici per cui sarà quasi impossibile salvare il nostro Pianeta dall'olocausto termico
COP è l'acronimo di Conference of Parties, la riunione annuale dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC). L’intenzione è buona, ma i risultati della COP 26 di Glasgow non potevano giungere a nessun risultato accettabile. Troppi gli interessi in campo, troppe le distorsioni di partenza, troppo in ritardo dalla disastrosa emergenza.
La riunione doveva terminare venerdì 12 novembre, ma è proseguita tentando di trovare soluzioni condivise da quasi 200 Stati, riuniti per contenere le emissioni di gas serra. La pressione di milioni di giovani attivisti si è fatta sentire da tutto il mondo, ma il risultato è stato, purtroppo, l’ennesimo compromesso al ribasso. Non poteva essere altrimenti, e l’incontro dell’ultima ora tra Joe Biden e Xi Jinping non sposta di molto la dimensione e i tempi dell’emergenza climatica.
Chi si occupa da oltre quarant’anni del panorama energetico, prima di ogni altro commento sulla cronaca di un’altra conferenza delle buone intenzioni, arenatasi alle periferie della problematica, si sente autorizzato a un incipit sui molteplici perché.
I motivi per i quali il Pianeta si riscalda, il clima si destabilizza, i ghiacci si sciolgono e la siccità avanza, non sono tanti e in teoria, risolvibili. La difficoltà endemica che ne ostacola la soluzione, risiede in quelle caratteristiche della natura umana quasi impossibili da riconvertire, poiché siamo fatti così.
Le prime domande che dovremmo porci quando parliamo di energia dovrebbero essere: di quanta ne abbiamo effettivamente bisogno? Quanta ne vogliamo ancora? Per arrivare a che?
Non si può prescindere dalla priorità delle risposte perché:
1 - un fabbisogno continuo ed esponenziale di energia, applicato al diagramma di sviluppo sia tecnologico che numerico della razza umana, se prosegue secondo i canoni dettati dal concetto di progresso, così come inteso finora, non può che continuare attingendo alle risorse primarie del pianeta, rinnovabili e non;
2 - poiché l’umanità accelera nel suo sviluppo grazie all’energia, la richiesta sarà sempre maggiore per un modello di crescita “occidentale” in continua competizione, che ha dettato le regole del mondo, sterminando culture in armonia con la Terra (es: 100 milioni di nativi americani);
3 - ma quanta energia è indispensabile ai parametri vitali della vita? Quante lampadine dobbiamo accendere ancora? Quanta velocità dovranno raggiungere i nostri treni? Quanti oggetti di consumo dovranno produrre le nostre fabbriche? Quanti aerei dovranno riempire i nostri cieli? E via dicendo, chiedendoci infine: quanta di tutta questa energia in realtà è spreco?
Esempio: la filiera alimentare consuma circa il 30% dell’energia impiegata sul Pianeta. Di questa, il 38% si perde in cibo sprecato. (Fao 2015).
Manca un criterio autocritico, etico e valutativo, quindi il binomio energia-inquinamento, prosegue per più canali di sviluppo numerico:
1 - nel 1804, la Terra era popolata da circa 1 miliardo di persone (censimento napoleonico). Nel 1927 (123 anni dopo) la popolazione era raddoppiata, per salire a 3 miliardi intorno al 1960, ma nel 2000, gli abitanti erano 6 miliardi, raddoppiati in quarant’anni. La curva di crescita è ascendente;
2 - negli ultimi 100 anni l’energia pro capite è aumentata di 37 volte. Attualmente l’energia media richiesta si aggira attorno a 2,5 - 3 kWh pro capite;
3 – nel 2019 il consumo mondiale di energia ha raggiunto i 153.000 TWh, con un aumento del 16% in 15 anni. TWh (Teravatt) è un’unità di misura che indica un miliardo di kilowatt (kW) = mille miliardi di Watt;
4 - stabilito che nel 2004 l’86,5 % dell’energia mondiale era prodotta da combustibili fossili e che le emissioni globali di CO2 nel 1990 erano di 21,4 miliardi di tonnellate, nel 2016 siamo saliti a 36 miliardi di tonnellate nonostante l’aumento al 17% delle fonti rinnovabili. La causa sono gli aumenti pro capite. Siamo di più, consumiamo di più.
È una serie di punti che si moltiplicano tra loro. In conclusione : i parametri da prendere in esame per tendere a un freno del riscaldamento globale, devono essere numerici, ma indirizzati al ribasso, svincolati da interessi economici, e tendenti a un diverso stile di vita. In pratica: innescare una rivoluzione etico-produttiva, basata su soluzioni volte alla riduzione dei consumi, ma per molti aspetti, proficue, liberate dai freni di superate inerzie industriali e politiche.
Greta Thunberg, alla luce dei risultati di Glasgow, ha sintetizzato in una breve frase condivisa, la via da seguire: “il problema del riscaldamento globale va affrontato non in termini economici, ma come un’emergenza, come è stato per il Coronavirus”. Sarebbe la strada più coerente se al COP26, il concetto di impellenza planetaria fosse stato valutato come tale, con consapevoli, rapidi e concreti impegni corali, anziché compromessi a base di parole. L’effetto serra non concede dilazioni.
Il problema è da più lati, sempre economico. Frans Timmermans, responsabile dell’Unione per le Politiche sul Clima ha dichiarato: “occorre creare fiducia perché non abbiamo ancora dato gli aiuti promessi ai paesi in via di sviluppo”. Dunque, ammettendo che non si tratta di un fattore “secondario”, quello economico continua a essere il primario, e lungi dall’essere superato. In parole povere: chi paga per la transizione energetica?
Nel 2009 i paesi avanzati si erano impegnati per 100 miliardi di $ all’anno destinati a quelli di basso reddito entro il 2020. Obiettivo mancato per circa 15 miliardi (dati OCSE). Alla vigilia del vertice mancava ancora qualche spicciolo, quindi si è spostato il quantum al 2023. L’UE attualmente sborsa 27 miliardi di $, ma si è dichiarata pronta a sforzi ulteriori.
Dunque, il dibattito non poteva che essere imbrigliato da un campanilismo economico suddiviso tra gli interessi dei 197 Paesi attorno ai tavoli. Nel frattempo, l’effetto serra ogni giorno presenta il conto in un’altra forma e genere, e quegli accordi COP21 del 2015, che già videro a Parigi 179 paesi a perseguire l’obiettivo di limitare al di sotto dei 2 °C il riscaldamento globale, rispetto al periodo preindustriale, è molto indietro, se non ai blocchi di partenza, ancora ballottaggio tra USA, Europa, Russia, India, Cina...
La situazione non potrà che peggiorare fino a quando non verrà data la parola a soggetti interessati, finora mai chiamati in causa.
Siamo vittime di un nostro “errore originale”, abituati a considerare il mondo secondo i confini politici dei paesi separati tra loro da linee teoriche definite: confini. Il riscaldamento globale non ne ha. Ma non solo. Le trattative al COP26, così come in molti altri convegni, si sarebbero svolte ben diversamente se al tavolo dei 197 Stati sovrani, fossero stati aggiunti i rappresentanti di almeno altre quattro fondamentali entità fisiche che sono sempre al di fuori di ogni invito. Per arrivare a 201, infatti, mancavano:
1 - i rappresentanti del 71% della superficie del pianeta. L’acqua di fiumi, laghi, mari e oceani, entità fisica indispensabile al ciclo dell’acqua e quindi alla vita, priva di confini e di interessi economici, ma vittima e partecipe all’effetto domino del riscaldamento globale.
2 - i rappresentanti dei 5 strati dell’atmosfera che, senza frontiere politiche, circondano la Terra fino a 1000 km verso l’infinito. Atmosfera che protegge il Pianeta e consente la vita, unica tra gli astri del firmamento. Per criptico motivo, il primo strato, la troposfera, alta in media 10-15 km, piccola misura dove si concentra l’ossigeno, è quella che stiamo riempiendo con tonnellate di CO2. Un’idiozia senza senso;
3 - i rappresentanti del restante 99,999% delle forme di vita animale che abitano il Pianeta, senza nazionalità, ma che vengono duramente colpite dalle attività umane che, in molti casi, consapevolmente, ne stanno causando l’estinzione. Certamente avrebbe presentato un’istanza di sterminio volontario;
4 - i rappresentanti del 100% delle forme di vita vegetale, anch’esse opera di ecocidio volontario a scopo di lucro, con totale disprezzo verso ogni forma di biodiversità. Certamente avrebbero molto da dire a mister Bolsonaro.
Punti di vista alternativi che forse, per la loro macroscopica realtà, sfuggono ai leader politici che rappresentano il 29% delle terre emerse, e le priorità incluse nei propri confini, continuando per forza di cose nate male e difficili da gestire, quel bla-bla bla, che non è da motteggiare. “Bla-bla poi, non è altro che un sostantivo onomatopeico al pari di “flop” e “Crash”. Voci incluse nel vocabolario, che ben condensano quel parlare a vuoto, quell’insuccesso, e quello schianto a cui stiamo andando incontro, a forza di gas serra e lentezza di provvedimenti.
Ma l’argomento è talmente vasto che l’immensità di altri numeri è demandata a un prossimo articolo in divenire. Chiunque condivida almeno in parte questi contenuti, partecipi a diffonderne la filosofia (attività intellettuale autonoma atta ad osservare comportamenti passati e presenti, ipotizzando al futuro)
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Articolo pubblicato il 17/11/2021