Il Summit per le democrazie “made in Usa”

L’America stringe i Paesi allineati attorno a sè, escludendo tutti gli altri.

“The Summit for Democracy”: si chiama così l’evento virtuale del 9 e 10 dicembre che il Dipartimento di Stato ha annunciato martedì notte, e a cui sono state invitate 110 nazioni.

 

Tra questi figura anche Taiwan, e non la Cina. Fra i grandi esclusi, oltre a Pechino, anche Russia, Iran, Corea del Nord, e tutte quegli stati “colpevoli” di non essere allineati col Pentagono.

 

"Di fronte alle sfide da sostenere verso allarmanti cambiamenti per la democrazia, per i diritti umani universali violati in tutto il mondo, la democrazia ha bisogno di campioni", ha detto Biden all'inizio del vertice. Chiaramente il Presidente “dem” si è dimenticato di citare in giudizio il Messico e l’Arabia Saudita. Grandi alleati Usa, ma forse un po’ meno “campioni” degli altri...

 

Il raduno virtuale dei leader “dem” filo-Usa è incentrato sulla lotta alla corruzione, sulla difesa dall'autoritarismo e sulla promozione dei diritti umani.

 

Tuttavia non si comprende il motivo per cui una potenza globale, egemone dopo la Seconda Guerra Mondiale, debba continuare a fare da garante per la democrazia nei prossimi mille anni.

 

Sopratutto se il Paese in questione è lo stesso che ha usato per primo delle armi di distruzione di massa (Hiroshima e Nagasaki); ha mantenuto leggi incentrate sulla segregazione razziale fino agli anni ‘60; ha ancora la pena di morte in molti dei suoi Stati; possiede uno degli stati sociali peggiori del mondo; e ha sostenuto svariate dittature, fra cui quella dei Khmer rossi, in chiave antisovietica.

 

All'inizio di questa settimana, Biden ha tenuto una telefonata di due ore con il presidente russo Vladimir Putin, minacciando sanzioni economiche contro la Russia nel tentativo di dissuaderlo dall'invasione dell'Ucraina. La Casa Bianca ha anche recentemente annunciato che i diplomatici americani avrebbero boicottato i Giochi olimpici invernali del 2022 in Cina, in risposta alle continue violazioni dei diritti umani nel Paese.

 

Il presidente dovrebbe parlare separatamente con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky "per discutere circa la concentrazione militare della Russia ai confini dell'Ucraina" ; e con il gruppo dei Nove di Bucarest(Intermarium - Visegrad) "per informarli sulla sua chiamata con il presidente Putin, ascoltare le loro prospettive sull'attuale situazione della sicurezza europea e sottolineare l'impegno degli Stati per la sicurezza transatlantica".

 

In pratica, Washington raduna tutti i suoi alleati, veri o presunti, per testare da un lato la loro fedeltà(Francia e Italia hanno risposto timidamente all’appello anticinese e antirusso); dall’altro per scongiurare possibili alleanze di natura energetica e tecnologica fra l’Europa Occidentale con Mosca e Pechino.

 

Dietro le roboanti notizie propagandistiche dei nostri media, in realtà questo summit manifesta solo le infinite preoccupazioni di Biden, il quale non si sente all’altezza di dettare un’agenda globale; specie in riferimento ai suoi omologhi cinesi e russi.

 

Oltretutto, gli USA sono in perenne allarme da quando gli è arrivata la notizia che una nuova base cinese è stata avvistata nell'Oceano Atlantico.

 

Secondo fonti dell'intelligence statunitense, la Cina intende stabilire una presenza militare permanente sull'Oceano Atlantico, nel piccolo paese dell'Africa centrale della Guinea Equatoriale.

 

Un rapporto pubblicato sul Wall Street Journal afferma che l'intenzione cinese di stabilire la sua prima presenza militare permanente ha sollevato preoccupazioni alla Casa Bianca e al Pentagono, poiché le navi da guerra cinesi sarebbero in grado di riarmarsi e rifornirsi di fronte alla costa orientale degli Stati Uniti. Praticamente a pochi “passi” da casa loro.

 

Il principale vice consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jon Finer, osserva il rapporto, ha visitato il paese dell'Africa centrale a ottobre e ha invitato il presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo a respingere le aperture della Cina.

 

Gli sviluppi riflettono le crescenti tensioni tra Washington e Pechino, che negli ultimi anni sono state ai ferri corti su una serie di questioni: dal commercio alla sicurezza, fino alla gestione della pandemia.

 

Il generale Stephen Townsend, comandante del comando “USA Africa”, mentre testimoniava al Senato ad aprile, ha affermato che la "minaccia più significativa" dalla Cina sarebbe stata "una struttura navale militarmente utile sulla costa atlantica dell'Africa. Per militarmente utile intendo qualcosa di più di un luogo in cui possono fare scalo e ottenere carburanti e generi alimentari. Sto parlando di un porto dove possono riarmarsi con munizioni e riparare navi militari".

 

Dall'altro canto la Cina tramite un portavoce, non citato nel rapporto di intellingence statunitense, sottolinea che: "Ironia della sorte, l'amministrazione Biden chiede aiuto al Paese il cui Dipartimento di Stato ha più volte accusato di esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate, torture e altri abusi.

 

Secondo i funzionari statunitensi citati nel rapporto, il governo cinese avrebbe preso di mira la città di Bata per la costruzione militare.

 

Bata è la più grande città del paese dell'Africa centrale; in cui la Cina ha già costruito un porto commerciale nelle acque profonde sul Golfo di Guinea. La città dispone di eccellenti autostrade che la collegano al Gabon e all'interno dell'Africa centrale.

 

In un rapporto al Congresso di quest'anno, il Pentagono ha affermato che la Cina "probabilmente ha preso in considerazione di creare nuove basi africane anche in Kenya, Seychelles, Tanzania e Angola".

 

Tutto questo preoccupa Washington, molto più delle violazioni dei diritti umani.

 

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Articolo pubblicato il 10/12/2021