Che fine ha fatto la capacità di ascoltare?

Purtroppo oggi tutti parlano, spesso di cose che non conoscono, senza fermarsi mai ad ascoltare. Eppure non è difficile capire che ascoltando gli altri si impara e si cresce.

Dov’è finita la capacità di ascoltare? Forse bisognerebbe spedire un novello Astolfo sulla Luna per ritrovarla? O più prosaicamente potremmo dedicarle una puntata di Chi l’ha visto? Certamente è sparita dai salotti (si fa per dire) televisivi e comunque in generale dalle conversazioni (anche in questo caso, si fa per dire) che avvengono davanti ad un pubblico, pagante o meno che sia.

E fin qui, niente di straordinario: quello che avviene durante un confronto televisivo, radiofonico, digitale  e chi più ne ha più ne metta, ha come scopo primario quello di attirare l’attenzione e aumentare l’audience, i click, i like e via dicendo. Per carità, esistono conduttori e  programmi serissimi, che svolgono un’ opera di divulgazione responsabile, così come confronti di opinioni pacati e costruttivi; sono eccezioni, ma esistono, per fortuna. Il dramma è che la capacità di ascoltare è sparita anche nel privato, nelle chiacchiere tra conoscenti sulla spiaggia, al ristorante o davanti ad una cioccolata calda in montagna. 

Tra le prime cose che ricordo di aver imparato alle elementari c’è uno dei principi basilari della democrazia, declinato attraverso i gesti e i comportamenti che un bambino può attuare e capire. Tutti in classe potevano parlare, ma solo dopo aver alzato la mano per chiedere la parola. E la maestra dava la facoltà di parlare seguendo solo l’ordine dell’alzata di mano: non esistevano bambini di serie A o di serie B, domande di serie A o di serie B. Semplicemente ed altrettanto rigorosamente l’ordine del diritto di  parola era legato a quello dell’alzata di mano. E se qualcuno parlava quando non era il suo turno doveva aspettare che tutti coloro che avevano chiesto la parola terminassero il loro discorso e allora, assolutamente solo allora, avevano facoltà di parlare. Un principio semplice e molto democratico, a mio avviso.

E anche oggi i bambini, di fronte ad un adulto autorevole, si comportano così. Così come gli adolescenti, penso di poter aggiungere dopo quarant’anni passati tra i ragazzi del triennio del liceo, studenti quindi tra i sedici e i diciotto anni. Il problema forse sta nell’autorevolezza di chi deve condurre il dibattito. Probabilmente i conduttori televisivi, radiofonici, digitali che siano non riescono ad essere autorevoli, oppure devono tenere conto degli ascolti, che, si sa, purtroppo aumentano quanto più la conversazione assomiglia ad una rissa. Che anche il pubblico, quindi, abbia la sua parte di colpa?

Forse è uno spunto su cui riflettere

Ma torniamo al privato. In famiglia, tra amici e conoscenti non sempre c’è una figura carismatica capace di moderare davvero la conversazione. Quando c’è, che sia la benvenuta; spesso anche i più riottosi ci faranno il piacere di consentirci di ascoltare le opinioni di tutti e di esprimere la nostra. Ma disgraziatamente il più delle volte non è così. Vediamo quindi alcuni tipi di non-ascoltatori in cui tutti ci siamo imbattuti, temo, a più riprese.

C’è il non-ascoltatore petulante che, pur non sapendo assolutamente nulla dell’oggetto della conversazione, si atteggia a profondo conoscitore della materia e, privandosi delle importanti informazioni che potrebbe ottenere ascoltando chi ne sa più di lui sull’argomento, va flautando idiozie fotoniche. Sono stata testimone, per esempio, di una dotta, si fa per dire, conversazione tra una non-ascoltatrice petulante che dissertava di periodo ipotetico dipendente e consecutio temporum, infliggendo alle mie povere orecchie un cumulo di idiozie senza fine, e una solida conoscitrice della sintassi italiana.

La seconda, che, come spesso avviene a chi è davvero esperto, taceva educatamente, dopo aver sopportato con la pazienza di Giobbe una sequela di colpi al suo cuore di linguista, alla fine disse solo due parole e zittì la non-ascoltatrice petulante con la sua risposta che distrusse in un nanosecondo tutte le pseudo-argomentazioni della sedicente conoscitrice della lingua italiana. La quale, comunque, ebbe ancora il coraggio di dire: “Sì, però, qualche volta…” , ma gli occhi di fuoco, miei e dell’altra interlocutrice, la zittirono definitivamente. Temo  però che alla successiva occasione  si sia comportata nello stesso modo. Poi c’è il non-ascoltatore assoluto: vale a dire colui che, quando parli, sembra ascoltarti, ma non è vero.

Quando fai una pausa, che è chiaramente tale per chi ti ascolta davvero, non ti consente di proseguire, ma prende la palla al balzo e continua il discorso che aveva, bontà sua, interrotto, generalmente non guardando in viso nessuno degli interlocutori, ma diritto davanti a sé, proprio come se gli altri non esistessero. Il che, per questo esemplare di non-ascoltatore, corrisponde probabilmente al vero. Perché diamine parli, rimane perciò un mistero insondabile: non sarebbe più proficuo che esercitasse le sue corde vocali davanti ad uno specchio, senza infliggere le sue sciocchezze a chi ha la sfortuna di capitargli a tiro? Poi c’è il non-ascoltatore selettivo.

Mediamente gli esemplari di questo genere, molto diffuso in Europa, a quanto mi consta, sembrano possedere un apparato uditivo particolare, che consente di ascoltare solo alcune parole, vale a dire quelle  che paiono loro le più adatte ad apparire colti e informati, quando in realtà non lo sono affatto. Dopo aver fatto incetta di termini come incipit, che per molti di loro è espressione ebraica, ossimoro e via dicendo, li usano in continuazione assolutamente a sproposito.

Giuro che ho sentito con le mie orecchie espressioni come “nell’incipit, cioè nella conclusione, come tutti sanno” o come “con valore ossimorico, cioè metaforico, per usare un termine più comune”. Credo che queste frasi inascoltabili non abbiano bisogno di alcun commento. Potrei continuare, ma credo di avere già individuato un numero di categorie sufficiente per definire i non- ascoltatori in modo abbastanza chiaro. 

Quindi, che conclusione possiamo dare a queste modeste riflessioni? Sinceramente non posso far altro che rimpiangere la mia maestra e sperare, poiché sono un’inguaribile ottimista, che ce ne siano ancora molte (o molti, per carità) simili a lei.     

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Articolo pubblicato il 16/12/2021