Il computo del tempo presso gli egizi
Anime dei defunti che risiedono nelle stelle

Un'approfondita e originale ricerca dell'egittologo Riccardo Manzini

La storia ha sempre documentato come le antiche civiltà si siano cimentate, per necessità pratiche e culturali, nella difficile sfida della misurazione e datazione del tempo.

In pratica l’obiettivo dell’ingegno umano, date le scarsissime conoscenze tecnico-scientifiche del tempo, era la realizzazione di un “calendario” che riuscisse a rispettare la ciclicità degli eventi astronomici del cielo che regolavano interamente la vita e la sopravvivenza della comunità.

Pertanto, possedere uno strumento sufficientemente affidabile per regolare l’attività della vita quotidiana, la durata dei mesi, delle stagioni e dell’anno, costituiva un obiettivo importantissimo che garantiva ricadute vitali nella società e che conseguentemente poteva assumere anche una profonda valenza religiosa.

In quel lontano contesto storico, caratterizzato da empirismo e dalla mancanza di conoscenze scientifiche, è comprensibile che i tentativi di modifiche migliorative, al fine di ridurre le inevitabili discrepanze temporali, si rendessero all’occorrenza necessari. Ne consegue, con la dovuta ammirazione di noi moderni, l’apprezzamento e la conferma delle capacità intellettuali degli antichi studiosi, di proporre soluzioni ingegnose che si avvicinavano in modo sorprendente alle moderne attuali conoscenze scientifico-astronomiche. 

Ci giunge in merito un articolo del dr. Riccardo Manzini, medico chirurgo ed egittologo di lungo corso, che ci presenta un’approfondita ricerca su “Il computo del tempo presso gli egizi”, strumento fondamentale per l’economia agricola e per le relazioni sociali, che riportiamo con il ricco corredo di immagini che offrono un solido sostegno al contenuto del testo.

Nel ringraziare l’Autore, per la sua precedente e attuale collaborazione, auguriamo buona lettura (m. b.).

 

Il computo del tempo presso gli egizi

 

Per l’uomo preistorico la vita era probabilmente scandita dal succedersi dei giorni e delle stagioni, ma quando le società iniziarono ad organizzarsi divenne indispensabile codificare lo scorrere del tempo creando un calendario condivisibile da tutti. Questa necessità di “inventare il tempo” venne quindi soddisfatta dalle varie culture in modo differente ed in alcuni casi tale diversità perdura tuttora (slide 1).

Se quindi è comprensibile che la società egizia in formazione abbia concepito una delle più antiche forme di calendario, la difficoltà a trovarne uno soddisfacente la portò a numerosi tentativi finché non ne idearono uno di notevole affidabilità.

Ma in accordo con il timore egizio per ogni cambiamento questi vari tentativi non vennero mai abbandonati del tutto e convissero, seppur in ambiti differenti, generando probabilmente una notevole confusione agli stessi egizi ma sicuramente grandi difficoltà al nostro tentativo di ricostruire una cronologia assoluta attendibile.

Ogni manifestazione della cultura egizia evidenzia l’amore per la razionalità e l’armonia (slide 2) derivato dal loro concetto cosmogonico che imponeva il rigoroso rispetto dell’Ordine cosmico perché non si interrompesse il regolare scorrere degli eventi, cui sarebbe seguita la sospensione del fluire tempo e la conseguente fine dell’Universo. Sebbene quindi il concetto di tempo e del suo scorrere fosse ben presente ed importante in quella cultura, curiosamente il suo conteggio è uno degli aspetti meno razionali in essa.

Il più antico calendario egizio di cui si abbia notizia, risalente quanto meno al periodo protodinastico, è quello “lunare” basato sul ciclo di 12 successioni annue, ognuna delle quali era di 29-30 giorni (slide 3) divisi in 4 periodi pressoché corrispondenti alle nostre settimane, per un totale di 354 giorni, risultando eccessivamente corto rispetto all’anno astronomico che è determinato dal ritorno apparente della Terra nella medesima posizione astrale dopo circa 365 giorni. Sebbene si siano resi conto della discrepanza generata da questo metodo ed abbiano tentato di compensare l’evidente errore inserendo ogni tre anni un’ulteriore lunazione di 30 giorni, portando quindi quel solo anno a 13 lunazioni ed a 384 giorni, lo abbandonarono comunque presto, riservandolo però come scadenzario alle festività religiose fino al termine della storia egizia (slide 4).

Poiché l’economia era basata sull’agricoltura e questa era scandita dal naturale cambiamento di portata del Nilo, nacque parallelamente una datazione “agricola” relativa al succedersi delle fasi di lavorazione dei campi. Questo calendario “nilotico” divideva l’anno in tre stagioni, le quali iniziavano con quella “dell’Inondazione” (Akhet) che andava secondo il nostro calendario approssimativamente da fine luglio a fine novembre, continuava con “l’emersione delle terre” (Peret) da fine novembre a fine marzo (slide 5), e terminava con “la calura” o “il raccolto” (Shemu) da fine marzo a fine luglio.

Poiché l’anno lunare era sensibilmente sfasato rispetto a quello siderale ed il livello del Nilo si presentava in tempi differenti alle varie latitudini sul territorio egizio in quanto l’onda di piena provenendo da Sud le raggiungeva successivamente, entrambi questi calendari non erano adatti ad un uso amministrativo univoco, per cui fu necessario concepire un nuovo sistema di datazione che consentisse una relazione con gli anni di regno del sovrano.

Nel tentativo di trovare questo sistema di datazione amministrativa, già durante le prime due dinastie dell’Egitto unificato (Periodo protodinastico) fu concepito un singolare calendario basato sull’identificazione di ogni anno in base a particolari avvenimenti di quel regno (slide 6), che consentiva una buona definizione ma era svincolato dal conteggio astronomico.

Poiché la finalità di questi calendari era amministrativa e quindi legata alla sovranità, nella ricerca di un metodo più soddisfacente parallelamente a questo calendario ne venne adottato un altro ancor più complesso relativo al “Computo del bestiame”. Questo faceva riferimento al censimento per fini fiscali del bestiame presente sul territorio (slide 7) che il sovrano compiva in origine (o delegava) ogni due anni per i primi tre conteggi per poi divenire annuale; in questo modo il VII Computo di un sovrano corrispondeva al suo 10° di regno. Dal Medio Regno questo conteggio fu semplificato divenendo annuale.

A complicare qualunque sistema di datazione vi era inoltre la volontà amministrativa di conteggiare gli anni di un sovrano dalla sua ascesa al trono (slide 8), ognuno dei quali era cadenzato dal calendario agricolo e terminava quindi con l’Inondazione. L’enorme limite di questo sistema è ovviamente che era totalmente svincolato dalla datazione progressiva, per cui un anno siderale in cui fossero ascesi al trono e defunti tre sovrani sarebbe stato conteggiato tre volte come anno “uno”. Questo sistema, estraneo a quello siderale, è il nostro maggior ostacolo a ricostruire attraverso gli anni di regno una credibile datazione assoluta confrontabile con le altre civiltà.

Il successivo e definitivo passo per superare tutti questi ostacoli fu trovato nell’astronomia con il calendario detto “sotiaco”, basato sulla constatazione che la stella più splendente, Sirio (slide 9), compariva annualmente nel cielo egizio all’incirca in coincidenza dell’inizio della piena del Nilo.

Notarono infatti che ogni anno Sirio ricompariva quasi alla metà di luglio (del nostro calendario) pressoché contemporaneamente alla piena del Nilo alla latitudine dell’allora capitale Menfi dopo un periodo di circa 70 giorni in cui era assente anche dal cielo notturno, e che tale ricorrenza si ripeteva periodicamente con le stesse caratteristiche. Esaminando tale particolarità si accorsero che tra due eventi intercorreva costantemente un periodo di 365 giorni che divenne il loro “anno”, il quale fu diviso in 12 mesi uguali di 30 giorni ognuno raggruppati in gruppi di 4 mesi in ognuna delle 3 stagioni del calendario nilotico, cui aggiunsero 5 giorni detti dai greci epagomeni, ognuno dei quali era dedicato ad una delle cinque maggiori divinità egizie (Osiri, Isi, Horo, Nefti, Seth).

Il calendario sotiaco fu quindi un ottimo artificio che consentì di fondere il tempo astronomico con quello “nilotico” dell’agricoltura, ma aveva altresì il difetto intrinseco di considerare l’anno costituito da 365 giorni esatti, mentre nella realtà dura circa 6 ore e qualche minuto in più, cioè circa ¼ di giorno. Ma se questa differenza può sembrare trascurabile, portò come conseguenza che ogni quattro anni solari le ricorrenze egizie si spostavano di un giorno (4/4) generando infine una situazione singolare. Riassumendo la questione, il Capodanno egizio corrispondeva ogni anno al primo giorno in cui riappariva Sirio sull’orizzonte orientale al termine del citato periodo di 70 giorni di assenza, ma era anche l’unico in cui Sirio fosse visibile di giorno pochi istanti prima del sorgere del Sole (levata eliaca di Sirio).

É noto che la Terra ruota sul proprio asse da Ovest ad Est, per cui il moto apparente del Sole e delle stelle è da Est ad Ovest; ma a causa del moto di rivoluzione della Terra e dell’inclinazione del suo asse, con il succedersi delle stagioni si osserva un progressivo spostamento verso Ovest degli astri non circumpolari (slide 10), fino a scomparire totalmente oltre l'orizzonte terrestre per un certo periodo.

Come tutte le stelle non circumpolari (quelle che non tramontano mai) Sirio si sposta quindi progressivamente verso Ovest precedendo il suo sorgere sull’orizzonte orientale di circa 2 ore ogni mese (~4 minuti ogni giorno), giungendo infine a rimanere celata per un certo periodo sotto l’orizzonte occidentale (70 giorni alla latitudine di Menfi). In pratica, supponendo che nel Capodanno egizio Sirio sorga alle ore 6 del mattino, il mese successivo si leverà alle 4, il terzo alle 2 e così via, fino a ritornare dopo un anno solare a sorgere alla medesima ora del Capodanno iniziale.

In conformità a queste variazioni del cielo gli egizi scelsero quindi come Capodanno il giorno in cui guardando verso Est vedevano per l’unica volta nell'anno comparire sopra l’orizzonte questo astro splendente pochi istanti prima del sorgere del Sole (a causa della brevità del crepuscolo a quelle latitudini), al termine del periodo di 70 giorni in cui era rimasto nascosto sotto l’orizzonte. Nei giorni successivi infatti Sirio, seppur presente nel cielo diurno, non sarebbe stato più visibile di giorno perché sovrastato dalla luminosità solare in quanto, sorgendo sempre più anticipatamente durante la notte, al levare del Sole era ogni giorno più alto nel cielo; ovviamente a causa di questo anticipo Sirio era in quelle notti sempre più visibile ed alta sull’orizzonte.

Poiché quindi ogni 4 anni il calendario egizio precedeva di circa un giorno quello solare, nel IV anno il Capodanno avveniva il giorno 2, dopo 8 anni il giorno 3 e così via (slide 11), tornando nuovamente a coincidere con quello iniziale solamente dopo 1460 anni che si definisce "ciclo sotiaco".

La differenza apparentemente trascurabile di circa ¼ di giorno comportò quindi un notevole sfasamento degli eventi civili che dopo 730 anni ricorrevano 6 mesi dopo di quanto desiderato in origine; solamente dopo 1460 anni questa coincidenza si sarebbe ripristinata.

Sebbene quindi la fatalista mentalità egizia non portò a drammatizzare questa singolarità che fu amministrativamente ignorata, è comunque ovvio che si trovassero dopo 730 anni a festeggiare con 6 mesi di ritardo la stagione “dell’Inondazione” durante la stagione “della secca”, per tornare in accordo solo al termine del ciclo sotiaco.

Questa datazione, pur essendo errata per una frazione di giorno che a lungo andare produsse discordanze macroscopiche, era comunque molto avanzata in quanto fu migliorata solamente dalla riforma giuliana (per altro imperfetta) che si imitò ad inserire 1 giorno in più ogni 4 anni creando l’anno bisestile per compensare l’errore del calendario sotiaco.

Un calcolo a ritroso basato sulla data riportata da un astronomo romano che segnalò l’effettiva coincidenza in Egitto del Capodanno con la levata di Sirio ha permesso di ipotizzare nel 2874 a.C. circa l’anno di comparsa di questo calendario sotiaco. Poiché questa data coincide approssimativamente con quella presunta della II dinastia egizia (slide 12), troverebbe conferma nella necessità in quel periodo in cui si stava formando lo Stato egizio di poter disporre di un preciso computo del tempo per organizzare una valida amministrazione.

 

A dimostrazione della praticità della cultura egizia è da notare che la ricorrenza di molte dei numeri comparsi in questa datazione influenzarono alcuni aspetti della loro cultura, come la durata della fase di disidratazione del cadavere regale durante la mummificazione che durava 70 giorni similmente al periodo in cui Sirio rimaneva celato al cielo notturno.

Riccardo Manzini

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Articolo pubblicato il 23/12/2021