Tra un calciobalilla e un Babbo Natale un po' meno invisibile (dicembre 1956)

Di Alberto Serena

Era la Vigilia di Natale del 1956, un lunedì sera, Piazza Craveri era tutta colorata di bianco per la neve caduta in quei giorni e tante palle di neve avevano già fatto il loro dovere e c’era stato il mercato di Natale con i miei genitori indaffarati più che mai nel loro negozio di scarpe fino a tardi sera ed in casa non si respirava tanto l’aria natalizia.

Nel presepio, che era stato fatto in cucina, in quei pochi momenti liberi dal lavoro nel negozio di scarpe, le statuine erano state messe di corsa e si vedeva perché ad esempio davanti al castello di Re Erode c’era un pastore con la pecorella in braccio e il Re cattivo era finito accanto a quella che girava la polenta.

Inoltre, si era messo anche Mario, il fratello tredicenne, che ci aveva messo due indiani a cavallo con dei comboys che li inseguivano proprio vicino alla capanna, che se San Giuseppe li avesse visti sarebbe scappato via di corsa, altro che aspettare la mezzanotte.

Giovanni invece, con i suoi 19 anni, aveva fatto sapere che lui, ormai diplomato ragioniere, non credeva più a tutte quelle storie del presepio e di quella nascita miracolosa dove quel falegname non sarebbe stato il padre vero, per cui non aveva aiutato minimamente il gruppo.

Io e Febo, il terranova nero, invece quelle statuine non avevamo potuto toccarle, perché ci era stato detto che le avremmo rotte, in quanto erano state acquistate nel Natale del’49 ed erano un prezioso ricordo.

I miei fratelli avevano aiutato i genitori nel negozio fino a tardi, perché non c’era un orario di chiusura ma nemmeno di apertura.

Le serrande del negozio si alzavano sempre prima delle sei del mattino e si chiudevano ben oltre le ventidue e a volte si arrivava anche alla mezzanotte.

Alle sei della mattina entravano a lavorare gli operai della Manifattura Mazzonis, la fabbrica che si trovava al fondo di Via Craveri, vicino al nostro negozio e alle ventidue uscivano quelli del secondo turno, perché qualcuno sarebbe passato per qualche acquisto di scarpe o per ripararle.

A scuola, frequentavo la terza elementare e la maestra Giuseppina Varda ci aveva rassicurato che tutti noi avremmo ricevuto un regalo, ma tanti erano i miei dubbi su come e quando sarebbe arrivato in casa nostra, visto l’andamento del negozio o se avesse ricevuto la letterina, che era stata mandata qualche mese prima.

L’insegnante ci aveva detto che il vecchietto con la barba bianca sarebbe arrivato a mezzanotte e che avremmo trovato i regali al mattino, al nostro risveglio, ma nessuno aveva mai visto Babbo Natale perché era invisibile e se lo diceva lei c’era da crederci.

Le serrande del negozio si abbassarono poco prima della mezzanotte e finalmente si mangiò qualcosa insieme, ma stranamente al tavolo della cucina, con mia mamma Albina e i miei due fratelli mancava papà Alessandro e la sua dolce signora ci disse che avrebbe dovuto fare ancora dei lavori nel negozio per cui sarebbe arrivato più tardi.

Ad un tratto sentimmo il campanile della chiesa di San Costanzo suonare dodici tocchi che annunciavano la mezzanotte e stavo per correre in camera per andare a letto, quando successe un fatto incredibile, quando sentimmo bussare alla finestra della cucina.

Nel vedere una mano dietro al vetro ne rimasi impaurito, ma subito mia mamma e i miei fratelli mi dissero che era arrivato Babbo Natale, anche se io non riuscivo a capacitarmi, perché la maestra ci aveva detto che Babbo Natale era una creatura invisibile e le maestre non raccontavano balle altrimenti anche le lezioni sarebbero state da prendere con le molle.

Avevo però visto la sua mano e anche un pezzo di una manica bianca, che sembrava quasi il bordo di una camicia più che a quello di una tunica di uno che era partito dal gelido Polo Nord.

Sapevo che quel signore con la barba bianca indossava un vestito rosso bordato di bianco con tanto di cappuccio, ma non ero al corrente che indossasse anche una camicia e forse chissà magari era cambiata la moda anche da quelle parti.

Aperta la porta, feci uscire prima lui, perché la paura non era ancora passata del tutto e la mia gioia fu enorme nel vedere un calciobalilla appoggiato al muro, di quelli senza le gambe, che si dovevano mettere sul tavolo per poter giocare.

Un regalo meraviglioso che sia io che mio fratello Mario desideravamo da tempo e che lui aveva anche cercato di costruire da solo con tanta fatica, ma senza riuscirci ed era proprio l’unico regalo, che avevo scritto nella lettera a Babbo Natale.

Messo sul tavolo della cucina iniziammo subito a fare una partita, io e lui contro Giovanni, il fratello maggiore, cambiando più volte la formazione, ma intanto era arrivato anche mio padre che si mise a giocare con noi, mentre si era tolto il pullover ed era rimasto con una camicia bianca.

Peccato per lui che aveva perso l’occasione di vedere almeno la mano di Babbo Natale, altro che invisibile come ci aveva detto la maestra, che stavolta si era sbagliata, perché anche loro non sono poi così tanto infallibili come credevo.

Partita su partita erano arrivate le due di notte e la mamma ci disse che era ora di andare a letto, perché eravamo tutti stanchi e quando fui sotto la spessa trapunta, prima di addormentarmi pensai a quel magico momento vissuto.

Mi giravano per la testa tante cose, dalla manica bianca di Babbo Natale, che sapeva di camicia, al fatto che lui doveva essere anche molto amico degli animali, soprattutto dei cani.

Infatti, nel balcone dove lui era sceso dal cielo per portarci il calciobalilla c’era la cuccia del nostro cane da guardia “Febo”, il terranova nero e la cosa strana era che abbaiava sempre quando qualcuno, che non fosse della famiglia, si fosse avvicinato al balcone o se passava nelle vicinanze, ma quella volta se ne stette bravo e zitto.

Mi domandavo perché mai quella sera Febo si fosse comportato in quel modo e forse l’unica spiegazione poteva essere che agli animali, terranova neri compresi, Babbo Natale continuava ad apparire invisibile.

(Tratto dal libro Alberto Serena, Dall’asilo al matrimonio in un piccolo paese del Canavese, Atene del Canavese, 2021).

Alberto Serena

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Articolo pubblicato il 25/12/2021