Aosta e i suoi Santi
Aosta – Chiostro e campanile di Sant’Orso

Spiritualità, storia e un quadrato magico (prima parte)

Sant’Orso

Aosta è la città di Sant’Orso e un antico detto popolare valdostano rivela la sua importanza.

“Se fa bello il giorno di Sant’Orso l’inverno dura ancora quaranta giorni” (Se feit cllier lo dzor de sèn-t-Or, l’or baille lo tor et dor euncò pe quarenta dzor).

Qual è, dunque, il giorno di Sant’Orso?

Secondo una antica tradizione sarebbe morto il primo febbraio del 529...

In suo onore, ogni anno, il 30 e il 31 gennaio artisti e artigiani valdostani espongono i prodotti del proprio lavoro alla fiera di Sant’Orso, lungo le vie del centro cittadino.

Nel Medioevo la fiera si svolgeva nel Borgo di Aosta, nell’area circostante la Collegiata che porta il nome del Santo.

Racconti leggendari narrano che tutto ha avuto inizio proprio davanti alla chiesa dove Orso era solito distribuire ai poveri indumenti e “sabot”, tipiche calzature in legno.

Le notizie pervenutaci sulla sua vita sono desunte, oltre che dalle tradizioni orali, da una “Vita Beati Ursi” di autore sconosciuto, della quale esistono due redazioni, una più antica e breve, della fine del secolo VIII o inizio del IX, la seconda più ampia ed elaborata, della seconda metà del XIII secolo. Veniamo così a sapere che era un presbitero aostano, vissuto fra V e VIII secolo; aveva il compito di custodire e celebrare, nella chiesa cimiteriale di San Pietro (Non documentata, un’antica e diffusa tradizione popolare gli attribuisce il prodigio di aver fatto scaturire, in tempo di siccità, con il solo tocco del suo bastone, la sorgente di Busseyaz, nei pressi di Aosta, ancora oggi chiamata “Fontana di Sant’Orso”).

La figura di custode e celebrante di una cappella o chiesa cimiteriale era diffusa nei secoli passati; quando questi edifici si trovavano in zone più isolate, i custodi-celebranti prendevano il nome di eremiti, ai quali si rivolgevano i fedeli durante le calamità o per le loro necessità spirituali.

Il complesso monumentale di Sant’Orso

Nel cuore della città si trova questo insieme affascinante di elementi, che comprende il campanile medievale, il chiostro (risalente al XII secolo), la Collegiata (sulla cui facciata spicca una ghimberga centrale a forma piramidale), gli edifici del Priorato (XV secolo), il museo del Tesoro, gli affreschi ottoniani (insieme a quelli della cattedrale, essi rendono Aosta uno dei principali centri dell’arte ottoniana) e il vecchio cimitero di Sant’Orso.

Basterebbe questo elenco per comprendere che ci troviamo di fronte ad un unicum assoluto di arte e religiosità, che affonda le sue radici nella notte dei tempi.

L’attuale chiesa viene realizzata nel secolo XI; sappiamo che nel 1032 si insedia nella Collegiata la prima comunità monastica e che la chiesa aveva una cripta.

L’area è da sempre ritenuta un luogo sacro: qui - tra V e VIII secolo - era situata la necropoli orientale romana, sulla quale verrà costruito un edificio di culto formato dalla chiesetta di San Pietro, titolare della quale era proprio il sacerdote aostano di nome Orso, che aveva rifiutato l’eresia e gli intrighi del Vescovo Ploceano e con alcuni suoi compagni aveva preferito rifugiarsi fuori città.

Proprio di fronte alla Collegiata, sotto l’attuale chiesa sconsacrata di San Lorenzo, è situata un’altra grande necropoli del V secolo, sotto la basilica paleocristiana, dove sono sepolti i primi vescovi della Diocesi di Aosta.

Nella piccola piazza in cui svetta la Collegiata voglio ricordare il maestoso tiglio che fa da guardiano da oltre quattrocento anni (è stato piantato tra il 1530 e il 1550), in sostituzione di un antico olmo abbattuto dal vento (una leggenda vuole che sia stato piantato da Sant’Orso nel VII secolo).

Il complesso deve molto a Giorgio di Challant Varey (1440 – 1509), che introduce la contabilità nell’istituzione, come attestato dai Computa Sancti Ursi, gli unici registri contabili dell’ente pervenutici e significativamente compilati durante il suo mandato di Priore (1494 - 1509).

Nell’ambito familiare, nel 1487, alla morte prematura del cugino Luigi di Challant Aymavilles, Giorgio è nominato tutore di Filiberto e Carlo (i due giovani figli di Luigi e di Marguerite de la Chambre), e si occupa della ristrutturazione del Castello di Issogne, trasformando il maniero medievale in una elegante dimora signorile di gusto rinascimentale, che ben rappresentasse il prestigio della famiglia Challant, feudataria della Valle d’Aosta.

Questa è un’altra affascinante storia, già tratteggiata in due precedenti articoli di Civico20News che si possono leggere QUI e QUI.

La Collegiata di Sant’Orso

Ha origini molto antiche, se ne hanno notizie dal V secolo. Ha subito un primo rifacimento intorno al Mille e poi un altro nel 1131, quando per volere di Gontier d’Aime vengono apportate le variazioni in stile romanico ancora visibili, come l’adattamento a campanile della torre di difesa e la realizzazione del meraviglioso chiostro simbolico.

La parte più antica è la cripta, dove si trova un curioso passaggio, tra l’altare e il pavimento, scavato nella roccia per una pratica devozionale antichissima, chiamata del “Musset”, in cui - tra i fumi dell’incenso e delle candele - una processione si infilava strisciando nel cunicolo per sbucare dalla parte opposta; durante tale rito si propiziava la fertilità femminile e si implorava un effetto lenitivo contro i dolori articolari, chiedendo la protezione di Sant’Orso.

Questa ritualità deve essere stata praticata, per motivi di spazio, soltanto dopo lo spostamento delle sue reliquie dalla cripta all’altare maggiore, voluto dal Priore Guglielmo di Liddes (1359).

L’antico rito valdostano

In tema di religiosità, mi piace ricordare come la Diocesi di Aosta abbia avuto per secoli riti religiosi particolari (il cosiddetto rito valdostano, soppresso nel 1828). Era una serie di “usi e costumi altri”, come nel caso degli Usages riportati in luce dal Canonico Pierre-Antoine Cravel, dissonanti e quasi in opposizione ai rituali e alle pratiche ecclesiastiche e liturgiche.

Uno, fra tutti, era il caso della recitazione della preghiera per i defunti “Libera me” al termine della celebrazione della messa nuziale. Con questo gesto gli sposi, prima di poter essere legittimati e fare il loro ingresso nella comunità come coppia, dovevano ottenere il consenso dei morti.

Queste ritualità si erano formate, a partire dal secolo XI, grazie agli scambi culturali che avvenivano attraverso il passaggio del Gran San Bernardo, importando influenze prima germaniche e poi lionesi.

@Ezio Marinoni

(Fine della prima puntata - Continua)

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Articolo pubblicato il 31/12/2021