Il cuore di un apparente antieroe

La vicenda umana di Giacomo Cat Berro (di Alessandro Mella)

Nel ripercorre gli aneddoti della storia e le tante vicende umane che ne hanno costruito il racconto, spesso tormentoso, è tipico imbattersi in figure eroiche ed adamantine. Altre, stranamente, possono passare quasi inosservate e perdersi nel grande calderone della memoria pur non meritando affatto l’oblio.

Il personaggio di cui parlerò in questo articolo, per fortuna, non è stato dimenticato e la sua memoria è viva nella comunità di Favria (Torino) ove al nostro fu dedicata anche una strada. Tuttavia, non credo se ne parli mai abbastanza al di fuori delle contrade in cui visse.

La sua vicenda umana e personale si svolse nel lontano autunno del 1944. Erano mesi in cui la lotta fratricida aveva assunto dimensioni inenarrabili dopo l’armistizio dell’anno prima, la nascita della Repubblica Sociale fascista e parallelamente quella della Resistenza. Lo scontro tra le parti, i fascisti repubblicani ormai in balia d’un disperato e violento crepuscolo, e i partigiani, alla ricerca di una rinnovata libertà o dell’affermazione dei propri ideali politici, portò la violenza più feroce nelle case delle famiglie senza mancare di dividerle a loro volta tra le fazioni.

In mezzo ci fu una grande zona grigia nella quale sarebbe stato possibile scorgere di tutto. C’erano gli ipocriti che stavano a guardare per schierarsi dalla parte dei vincitori o non passare guai, c’erano coloro i quali desideravano solo curare i propri affari, c’erano quelli per cui quanto accadeva rientrava solo negli avvicendamenti della politica e poi c’erano i sofferenti ed i disillusi che, stremati, non trovavano animo per reagire e disperatamente cercavano una ragione per vivere e sopravvivere.

In quei giorni l’atmosfera del Canavese, ed in particolare del territorio tra Favria e Rivarolo, si stava facendo incandescente. La Guardia Nazionale Repubblicana aveva trasmesso un promemoria al suo capo di stato maggiore per segnalare che:

 

Fonte fiduciaria attendibile comunica: “I banditi preparerebbero nei prossimi giorni un’azione contro i reparti repubblicani di FELETTO e RIVAROLO (Torino)”. (1)

 

Come se non bastasse a questo “allarme” si aggiunse un’altra questione che, forse, concorse a smuovere pesantemente le acque in quel territorio. Questa volta la GNR non inviò l’appunto riservato solo al console generale Nicchiarelli ma, anche, direttamente a Mussolini a Gargnano dove questi aveva posto l’ufficio personale al tempo della Repubblica Sociale:

 

Fonte fiduciaria segnala: “Nel CANAVESANO circola con insistenza la voce che truppe germaniche di stanza in RIVAROLO e COURGNE’ (AOSTA), siano venute ad accordi con le bande partigiane locali stringendo anche buoni rapporti di amicizia”. (2)

 

Forse nel timore di quell’azione annunciata giorni prima, forse per smentire almeno in parte il vociare, il giorno successivo truppe tedesche si portarono nelle campagne tra Favria e Rivarolo rastrellando il territorio ed arrestando i renitenti alla leva che si nascondevano nelle varie cascine. Tra loro venne fermato un giovane con una camicia a quadri ed un paio di sospetti scarponi militari.

Si chiamava Giacomo Cat Berro ed era nato a Favria il 25 giugno 1922 da Antonio e Margherita Foriero.

Volente o nolente, appena ragazzo, venne spedito obtorto collo sul Fronte Russo. Per mesi affrontò la morte, la guerra, la violenza fino alla disperazione della ritirata terribile del 1942-1943 riuscendo, se non altro, a tornare a casa da quell’inferno di ghiaccio. (3)

Con la promulgazione del “Bando Graziani” per l’arruolamento forzato nell’esercito fascista repubblicano egli, come molti giovani, non si presentò e di fatto divenne un renitente passibile perfino di immediata fucilazione.

Per quali ragioni Giacomo non salì in montagna unendosi alle formazioni partigiane? Meditava di farlo? O forse la morte, le armi, la violenza della Russia l’avevano così nauseato e turbato da rendergli impossibile l’idea di combattere ancora seppur per una nobile causa?

Difficile rispondere a questa domanda, purtroppo i fatti non gli diedero comunque scampo.

Lui e gli altri vennero radunati in frazione Mastri di Bosconero dalla soldataglia germanica e lasciati in snervante attesa. Giacomo, però, in Russia aveva imparato un poco di tedesco e ascoltando i loro sorveglianti parlottare capì subito che tirava brutta aria e che c’era poca speranza di salvarsi.

Quando il giovanissimo Guido Mautino venne liberato egli lo pregò di avvisare la sua famiglia.

Le sorelle tentarono di salvargli la vita invocando financo il vano soccorso del datore di lavoro di Giacomo, dirigente del Cotonificio Valsusa, il quale era d’origine tedesca. Questi accorse ma non riuscì a riportare a casa il suo dipendente.

I più vennero radunati per la deportazione verso la Germania ma quelli indubbiamente non solo renitenti ma anche palesemente partigiani, tra cui Giacomo alla cui smentita i tedeschi non vollero credere, vennero allineati sulla provinciale Feletto – Bosconero e qui fucilati.

Quei poveri corpi caddero in terra trafitti dal piombo alemanno e nulla poterono le loro parole, i loro sogni, le loro speranze.

Giacomo, che non aveva imbracciato il mitra sten o messo il foulard al collo, si accasciò in terra insieme a loro. Ne condivise la drammatica sorte coraggiosamente, fieramente senza disperazione tanto che all’amico Guido aveva solo chiesto di avvisare la famiglia perché venisse a recuperarne il corpo.

Nella bufera della storia e della guerra egli potrebbe sembrare uno come tanti, una vittima casuale, uno che restò nella zona grigia. Invece non è così perché scegliere di rifiutare quella chiamata alle armi, quella costrizione, rappresenta già di per sé una precisa scelta di campo.

Nel suo cuore egli ebbe la forza di ripudiare la guerra a soli 22 anni anche a costo della sua stessa vita. Basterebbe questo a nobilitarne la figura e invece no perché la sua tragica vicenda ebbe un ulteriore incredibile epilogo.

Dopo la fine del conflitto, partiti i tedeschi, ritrovata un poco di serenità, il nuovo sindaco del CLN si recò da Antonio Cat Berro per comunicargli che avrebbe voluto fargli avere la pensione che spettava ai congiunti prossimi dei partigiani caduti.

In un periodo in cui fame e povertà ancora mettevano a dura prova le campagne quel genitore, in un estremo atto d’onore ed onestà, rifiutò perché suo figlio nelle formazioni partigiane non era stato. Fa pensare questo esempio, quel denaro quella famiglia l’avrebbe meritato. Non lo volle, lo lasciò ad altri.

Questo aneddoto, specialmente se paragonato alla cronaca quotidiana dei giorni nostri, fa molto pensare.

E si aggiunge alle molte buone ragioni per ricordare il cuore, non da antieroe ma da eroe vero, di Giacomo Cat Berro martire innocente della libertà italiana.

 

NOTE

1)         Appunto per il Capo di Stato Maggiore della GNR, 5 ottobre 1944.

2)         Promemoria inviato al Duce e al Capo di Stato Maggiore della GNR, 8 ottobre 1944.

3)         I caduti di Favria Oglianico, Ecco alcuni volti della Resistenza Canavesana, documenti tratti dai testi della sezione ANPI di Favria – Oglianico, p. 2.

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Articolo pubblicato il 10/01/2022