Cronache criminali del passato

4 gennaio 1991: La strage del Pilastro, a Bologna

Ricorre quest’anno il trentunesimo anniversario della Strage del Pilastro di Bologna: l’uccisione, verso le ore 22:00, in un conflitto a fuoco di tre giovani Carabinieri di pattuglia nel turbolento quartiere: Mauro Mitilini (Casoria, 1969), Andrea Moneta (Roma, 1969) e Otello Stefanini (Roma, 1968), poco più di sessant’anni in tre come spesso sottolineato dalle cronache. 

Il gravissimo episodio ha trovato con la sentenza del 1997 una verità giudiziaria: i colpevoli sono i fratelli Savi componenti della Banda della Uno Bianca, come possiamo leggere in rete:

[...] La banda si trovava in quel luogo per caso, essendo diretta a San Lazzaro di Savena in cerca di un’auto da rubare. All’altezza delle Torri, in via Casini, l’auto della banda fu sorpassata dalla pattuglia dall’Arma.

La manovra fu interpretata dai criminali come un tentativo di registrare i numeri di targa e pertanto essi decisero di liquidare i carabinieri. Dopo averli affiancati, Roberto Savi esplose alcuni proiettili verso i militari, sul lato del conducente Otello Stefanini.

Nonostante le gravi ferite riportate, il militare cercò di fuggire, ma andò a sbattere contro dei cassonetti della spazzatura. In breve tempo l’auto dei Carabinieri fu investita da una pioggia di proiettili.

Gli altri due militari, Andrea Moneta e Mauro Mitilini, riuscirono a uscire dall’abitacolo e a rispondere al fuoco, ferendo tra l’altro Roberto Savi.

La potenza delle armi utilizzate dalla banda però non lasciava speranze ed entrambi i militari caddero feriti sull’asfalto. I tre furono finiti con un colpo alla nuca.

Il gruppo criminale si impossessò anche del foglio di servizio della pattuglia e si allontanò dal luogo del conflitto a fuoco.

La Uno bianca coinvolta nel massacro fu abbandonata a San Lazzaro di Savena nel parcheggio di via Gramsci e incendiata; uno dei sedili era sporco del sangue di Roberto Savi, rimasto lievemente ferito all’addome durante il conflitto a fuoco. (Fonte: Wikipedia – Banda della Uno bianca).

Tutto chiaro? Parrebbe di no. La scomparsa del foglio di servizio dovuta ad asportazione da parte dei Savi è soltanto una ipotesi, non verificata. E questo è il primo di una lunga serie di punti oscuri.

Massimiliano Mazzanti, giornalista e scrittore, è autore del libro più approfondito su questa vicenda (Uno Bianca. La banda di Roberto e Fabio Savi, 2008 e 2012). In un recente video del suo canale YouTube, Mazzanti spiega il motivo della presenza dei Carabinieri al Pilastro.

In questo periferico quartiere si era verificato un episodio di intolleranza razziale con lancio di bottiglie molotov. Il Questore di Bologna, il 23 settembre 1990, aveva predisposto un servizio di vigilanza “statica”, svolto da Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, davanti alla Scuola Romagnoli di via Alfredo Panzini dove erano ospitati numerosi extracomunitari: in pratica un mezzo con alcuni agenti era parcheggiato davanti al cancello dell’edificio scolastico, dalle 19:00 alle 07:00 del mattino.

Questo servizio era principalmente svolto dai Carabinieri, ma in modo “dinamico”, ovvero compiendo con l’auto di servizio anche dei giri per il quartiere.

Una “interpretazione” delle disposizioni del Questore a quanto pare mai ufficializzata, ma confermata da testimoni oculari. Lo scontro mortale non è infatti avvenuto davanti alla Scuola, ma a una certa distanza da questa, nella via Tommaso Casini. Perché i tre Carabinieri si erano allontanati dalla postazione che il Questore voleva fissa? Lo spostamento è avvenuto senza comunicazione alla Centrale Operativa. Dopo la scomparsa del foglio di servizio non sono emersi altri documenti ufficiali che possano chiarire questo aspetto, ancor oggi irrisolto, come ha evidenziato Mazzanti.

Va anche detto che la responsabilità dei componenti della Banda della Uno Bianca è emersa molto più tardi rispetto alla strage.

Le indagini, infatti, - come leggiamo in Wikipedia - avevano preso una direzione sbagliata:

Gli inquirenti seguirono delle piste errate, che li portarono a incriminare soggetti estranei alla vicenda: la DIGOS di Bologna dichiarò di avere una testimone oculare, tale Simonetta Bersani, che fornì indicazioni dirette sugli autori degli omicidi, accusando un pregiudicato, Peter Santagata, con dovizia di particolari, quali, ad esempio, “le fiamme che uscivano dalle mani del Santagata mentre sparava”; il 20 giugno 1992 furono arrestati i due fratelli Peter e William Santagata e il camorrista Marco Medda (ex braccio destro di Raffaele Cutolo), accusati di aver fatto parte del commando omicida, cui seguì una maxi-operazione con 191 arresti sul quartiere del Pilastro definita “Quinta mafia” per una serie di reati ulteriori connessi a quelli della Uno bianca, operazione condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna che vi impiegò enormi energie investigative.

Il 24 gennaio 1995 i Santagata e Medda furono dichiarati estranei ai fatti dalla Corte di Assise di Bologna poiché i veri assassini confessarono il delitto durante il processo.

Anche per questo risvolto della vicenda occorrono alcune considerazioni.

Il magistrato che ha condotto questa infelice indagine, Giovanni Spinosa, nel 2012 ha pubblicato un libro, L’Italia della Uno Bianca (Chiarelettere, 2012), dove si dà una diversa lettura del caso.

Leggiamo infatti in quarta di copertina che l’autore è «il pm che ha iniziato le indagini sfociate nei processi che hanno visto condannare i colpevoli rinunciando però a chiarire i moventi dei fatti. Concatenati l’uno all’altro, essi portano a una sola verità: l’azione criminale dei FRATELLI SAVI è stata eterodiretta, troppe armi, troppe munizioni, troppo sangue. A volte per un bottino di poche lire. Allora chi li proteggeva e perché? Spinosa documenta le voragini investigative, le bugie, i depistaggi operati dai Savi soprattutto in relazione ai rapporti che essi ebbero con la criminalità organizzata, cioè con la MAFIA catanese, con la CAMORRA cutoliana (che trattò con lo Stato per la liberazione di Ciro Cirillo) e casalese. E ricostruisce i numerosissimi interventi della FALANGE ARMATA, la misteriosa sigla che dal 1990 al 1995 segna ogni strage mafiosa e molti episodi misteriosi di quegli anni. Alla fine i nodi -- che i processi non hanno voluto chiarire -- vengono al pettine: l’arresto dei Savi è l’atto conclusivo di una STRATEGIA STRAGISTA di destabilizzazione di Cosa nostra e dei suoi referenti che finora nessuno aveva fatto emergere. Ce n’è abbastanza per riaprire un caso chiuso troppo in fretta».

Una lettura contestata dal giornalista Sandro Provvisionato, fondatore del sito Misteri d’Italia.

Tornando allo specifico caso della Strage del Pilastro, nel 1996 è stata affacciata una ipotesi inquietante: tre compagni di cella di Alberto Savi, Antonio Carozzo, Gianvito Galia e Antonio Tarroni, hanno riferito ai magistrati le sue confidenze. Alberto avrebbe detto che la strage era stata commissionata da un esponente del Sisde (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica) per rilanciare l’immagine dell’Arma, trasformando i tre militari uccisi in eroi!

Questa ipotesi propone un cinismo istituzionale che non ha avuto conferme giudiziarie.

Chi inizia a documentarsi sulla Banda della Uno Bianca resta ben presto colpito dalla connotazione politica che i fatti criminali vengono ad assumere secondo i diversi autori e saggisti che se ne sono occupati.

Ad esempio, Antonella Beccaria pubblica nel 2007 Uno bianca e trame nere. Cronaca di un periodo di terrore, titolo che fa comprendere la visione dell’autrice. Per contro, il già ricordato Mazzanti, nel suo libro afferma di smantellare ricostruzioni avventurose e strumentalizzazioni politiche della sinistra che aveva ravvisato chissà quali complotti terroristici. Mazzanti insiste piuttosto sulle critiche - molto ben documentate - rivolte a investigatori e magistrati.

Quindi non protezioni inconfessabili ma un’errata ottica di chi indagava: «Per anni e anni inquirenti e investigatori ritennero per lo più che i delitti che venivano consumati tra la Romagna e Bologna necessitassero di qualche vasta rete di organizzazione, quando, al contrario, poterono essere posti in essere fondamentalmente da due persone [Roberto e Fabio Savi, N.d.R.], compiendo un errore di valutazione di dimensioni clamorose». Errore che secondo Mazzanti scaturiva da questa idea: «La civile Bologna, la democratica Bologna, la vetrina Emilia non poteva e non doveva aver generato simili mostri che agivano per procurarsi ciò che si pretende che la terra, l’operosità e l’ingegno di chi vi abita garantiscano a chiunque accetti lo stile di vita e le regole predominanti».

Quello che accomuna i vari autori dei libri dedicati alla Banda della Uno Bianca è l’idea che i vari processi non abbiano fatto emergere tutti gli aspetti della vicenda.

Si contrappongono le affermazioni di Daniele Paci, magistrato che a Rimini ha coordinato le indagini sulla Banda, espresse nel corso del convegno “I falsi misteri d’Italia e il caso della Uno Bianca”, svoltosi in questa città il 21 novembre 2019, promosso dall’Associazione culturale J.F. Kennedy. Il dottor Paci ha concluso il suo intervento proponendo di attivare un sito internet dedicato ai “falsi misteri d’Italia”.

Vero è che si riferiva in particolare ai presunti legami della banda con servizi segreti e con “entità eversive”, ma come cronisti dobbiamo registrare una notizia successiva: esattamente un anno fa, nel gennaio del 2021, la Procura di Bologna ha riaperto le indagini per chiarire aspetti ancora oscuri della Strage del Pilastro.

Il provvedimento è stato preso a seguito di un esposto presentato da Massimiliano Mazzanti, basato principalmente su un’informativa della Questura di Rimini del 1991, dove si indicava Fabio Savi come possessore di un fucile del modello usato al Pilastro, praticamente ignorata dagli inquirenti bolognesi. Si parla anche della suggestiva intercettazione di una telefonata fatta dal padre della supertestimone Simonetta Bersani nell’agosto 1992, che lascerebbe intendere una eterodirezione della figlia nell'accusa ai Santagata.

Anche Ludovico Mitilini, fratello di uno dei Carabinieri uccisi, in occasione del 30° anniversario della strage aveva formulato la richiesta di riaprire le indagini.

A un anno di distanza, ci auguriamo di avere presto notizie.

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Articolo pubblicato il 04/01/2022